        Si chiamava Tazio Giorgio Nuvolari, ma per tutti era &ldquo;il Mantovano Volante&rdquo;, o pi&ugrave; semplicemente &ldquo;Nivola&rdquo;. Nato a Castel d'Ario, piccolo paese in provincia di Mantova, nel 1892, Nuvolari sarebbe diventato nel corso della sua vita uno dei piloti pi&ugrave; apprezzati, vincenti e famosi a livello globale. Tanto che ancora oggi, a 70 anni dalla sua scomparsa avvenuta l'11 agosto 1953, il suo mito &egrave; ancora intatto. Il peggior digiuno dello sport italiano &egrave; quello del Mondiale F.1 Il mito di Nuvolari Caratterizzato da un fisico tutt'altro che imponente (Lucio Dalla, nella canzone dedicata al pilota, cantava &ldquo;Nuvolari &egrave; basso di statura, | Nuvolari &egrave; al di sotto del normale, | Nuvolari ha cinquanta chili d'ossa, | Nuvolari ha un corpo eccezionale, | Nuvolari ha le mani come artigli&rdquo;) il Mantovano Volante prese parte a numerosi campionati sia in ambito motociclistico che automobilistico, riuscendo a imporsi trionfalmente sia con le due che con le quattro ruote. Rendendosi spesso protagonista di imprese apparentemente impossibili e rimonte eccezionali, alimentando il mito di pilota invincibile e soprattutto immortale. A stupire della carriera di Nuvolari, infatti, non fu solo la sua grande velocit&agrave; e costanza, ma anche la capacit&agrave; di evitare incidenti in un'epoca in cui quello del pilota era un mestiere estremamente pericoloso. Un fatto di cui il mantovano stesso era consapevole, e sul quale non mancava di fare ironia: &ldquo;Dicono che sei un bravo amministratore &ndash; disse una volta Nuvolari a Enzo Ferrari, dopo che il Drake gli aveva fatto pervenire i biglietti del treno di andata e ritorno per una gara - ma mi accorgo che non &egrave; vero. Dovevi farmi riservare solo il biglietto di andata, perch&eacute; quando si parte per una corsa bisogna prevedere la possibilit&agrave; di tornare in un baule di legno&rdquo;. Nuvolari correva sempre con il suo portafortuna, una piccola tartaruga d'oro donatagli nel 1932 da Gabriele d'Annunzio. &ldquo;All'uomo pi&ugrave; veloce, l'animale pi&ugrave; lento&rdquo; fu la dedica del poeta al pilota. Pochi giorni dopo, Nuvolari vinse la Targa Florio al volante di una delle Alfa Romeo della Scuderia Ferrari, e la tartaruga divenne una parte immancabile del suo equipaggiamento.  Dal N&uuml;rburgring alla Mille Miglia Tra le tante vittorie leggendarie di Nuvolari ne spiccano alcune che sono entrate nella storia soprattutto per la capacit&agrave; del mantovano di ribaltare ogni pronostico e stupire i tifosi. Particolarmente significativa da questo punto di vista fu l'affermazione ottenuta nel 1935 in Germania, sul circuito del N&uuml;rburgring. Al volante di un'Alfa Romeo che sulla carta era nettamente inferiore alle favoritissime tedesche Mercedes e Auto Union, Nivola port&ograve; in trionfo la sua Tipo B/P3 ammutolendo le oltre 300mila persone presenti grazie a una rimonta forsennata. Una vittoria cos&igrave; inaspettata che al termine della gara, non avendo una registrazione dell'inno italiano, i tedeschi furono costretti a far suonare &ldquo;O' sole mio&rdquo;. Mentre la leggenda vuole che lo stesso Nuvolari, sicuro di poter vincere, avesse portato con s&eacute; un Tricolore italiano nuovo, per sostituire quello vecchio e logoro presente sul circuito in Germania. Un altro episodio che ben mostrava il carattere e il coraggio di Nuvolari and&ograve; in scena pochi anni prima, nel 1930, durante la Mille Miglia. Secondo al volante dell'Alfa Romeo 6C 1750 alle spalle di Varzi, Nivola durante la notte decise di spegnere i fari per non far capire al rivale di essere dietro di lui. Dopo aver guidato parte della gara seguendo le luci posteriori di Varzi, Nuvolari riusc&igrave; a sorprendere e a superare l'avversario, conquistando il successo della Mille Miglia del '30. Ma Nuvolari riusciva a stupire anche quando non vinceva, e perfino quando era protagonista di un incidente. Come quando, a seguito di un'uscita di strada mentre era in allenamento con il compagno Giuseppe Campari, fin&igrave; in una scarpata profonda 30 metri. Campari, che era riuscito a saltare fuori dall'auto, si affacci&ograve; disperato sullo strapiombo urlando "Tazio, in dov' &egrave; che te set?". Quest'ultimo, seraficamente, rispose da in mezzo all'erba: "Zitto che c' &egrave; un nido di quaglie, e i quagliotti appena nati. Vieni a vedere". L'addio del Mantovano Volante Malgrado la sua vita da cavaliere del rischio, la morte raggiunse Nuvolari nel modo in cui forse egli temeva di pi&ugrave;, sotto forma di una lunga malattia. Il Mantovano Volante si spense infatti l'11 agosto 1953, esattamente 70 anni fa, a seguito di un ictus. Al suo funerale parteciparono decine di migliaia di persone, e il suo feretro venne portato dai colleghi Alberto Ascari, Luigi Villoresi e Juan Manuel Fangio, e fu sepolto al cimitero monumentale di Mantova vestito con la sua tenuta da pilota. Enzo Ferrari comment&ograve; la scomparsa del pilota raccontando questo aneddoto: &ldquo;Non appena mi giunse notizia della sua fine partii per Mantova. Nella fretta mi persi in un dedalo di strade sconosciute della citt&agrave;. Scesi di macchina, chiesi a un negozio di stagnino la via per villa Nuvolari. Ne usc&igrave; un anziano operaio, che prima di rispondermi fece un giro intorno alla macchina, per leggere la targa. Cap&igrave;, mi prese una mano e la strinse con calore. 'Grazie di essere venuto" - bisbigli&ograve; commosso - "Come quello l&agrave; non ne nasceranno pi&ugrave;'&rdquo;. 125 anni di Enzo Ferrari: il Drake dalla A alla Z       

<p>L'11 agosto 1953 moriva, nella sua Mantova, uno dei piloti pi&ugrave; famosi di tutti i tempi. "Non cess&ograve; mai di essere un sagace regista di s&eacute; stesso" disse di lui Enzo Ferrari</p>

Tazio Nuvolari, 70 anni fa se ne andava il Mantovano Volante

Ogni film ha una genesi, un innesco, una scintilla. Ciascuna scintilla fisicamente nasce da un acciarino, anzi - siamo meno antichi, va&rsquo; -, un accendino, il quale deve il suo potere incendiario a una piccola pietra appositamente graffiata. Ecco, fuor di metafora, nel film &ldquo;Quando corre Nuvolari&rdquo; v&rsquo;&egrave; tutto un gioco di rimandi ab origine, di specchi, sogni e soggetti, all&rsquo;interno del quale ciascuno ha la sua parte.  Immaginate, in poche parole, un lungo e complesso cammino con un inizio, un lungo sviluppo e un approdo. L&rsquo;inizio &egrave; quello che vede Tazio Nuvolari, vecchio e malato, al via all&rsquo;ultimo momento nella 1000 Miglia edizione 1948, al volante di una Ferrari 166 Sc, ingaggiato addirittura durante le verifiche tecniche a Brescia, da Enzo Ferrari in persona. Il quale gli mette al fianco in veste di co-pilota il giovane e coraggioso Sergio Scapinelli, di fatto un intrepido meccanico-collaudatore.  Sembra una partecipazione sottotraccia e malinconica, viste le premesse, invece diventer&agrave; ben presto una delle cavalcate pi&ugrave; leggendarie, poetiche e entusiasmanti nella storia dell&rsquo;automobilismo da corsa. Perch&eacute; il vecchio pilota, che ha perso due figli per malattia, dato per finito e considerato ormai una nota a margine nella corsa delle corse, dopo un inizio guardingo si lancia all&rsquo;attacco all&rsquo;altezza del Furlo, quindi al transito per l&rsquo;Italia centrale d&agrave; vita a una progressione irresistibile, che lo colloca clamorosamente in testa alla gara.  L&rsquo;Italia intera, alla radio, si commuove nel sapere che l&rsquo;eroe delle tre decadi &egrave; ancora lui, pronto a scrivere un&rsquo;altra, indimenticabile pagina della sua storia. E Tazio Nuvolari la scrive eccome, anche se la sua macchina va in pezzi, perde il cofano, un parafango, si sbriciola, diviene simbolo ferito dell&rsquo;Uomo che non s&rsquo;arrende, sempre pi&ugrave; carezzato e incitato dall&rsquo;Italia che spera nella prodezza del vecchio campione. Fino a che, a Villa Ospizio di Reggio Emilia, cede una balestra e il Campionissimo si ritira, davanti a un bimbo di nove anni d&rsquo;et&agrave;, Romano Prodi. Fin qui la storia. Da qui e oltre la leggenda.  Da bambino mio padre mi raccontava, al posto delle favole, questa vicenda, ma ci metteva in mezzo una parte sconosciuta alla storia ufficiale. Del tutto ignorata. Al passaggio di Tazio Nuvolari a Gualdo Tadino, in provincia di Perugia, ossia la mia citt&agrave;, all&rsquo;altezza della frazione di Rigali, Tazio Nuvolari perdeva il cofano che voleva via schiaffeggiato dal vento a oltre duecento all&rsquo;ora. E la storia di mio padre andava ben oltre, divergendo ancor pi&ugrave; dalla vulgata ufficiale, perch&eacute; quel cofano veniva raccolto da uno spettatore locale, Gildo Remigi, il quale decideva di tenerselo per ricordo. Salvo, tanti anni dopo, cederlo al proprietario di un distributore, in cambio di un ciclomotore usato. Quest&rsquo;ultimo, il gualdese titolare della stazione di servizio Chevron, ossia Federico Cirelli, &egrave; da sempre grande amico di mio padre. Passano anni e anni ancora e succedono un po&rsquo; di cose.  Smesso d&rsquo;essere bimbo, inizio a scrivere articoli per il settimanale automobilistico Rombo e mi torna in mente la favola con la quale mio padre mi dava la buonanotte. Confrontata con la storia ufficiale fa un effetto strano, perch&eacute; in realt&agrave; nessuno la conosce, &egrave; una specie di buco nero della cronaca leggendaria della 1000 Miglia 1948, cos&igrave; mi metto a far ricerche come un investigatore, incontrando decine di testimoni e arrivando, alla fine, a una verit&agrave; piuttosto sorprendente. Il cofano esiste ancora, conservato e nascosto tra le macine di un vecchio frantoio dell&rsquo;olio e, insieme a esso, c&rsquo;&egrave; tutta una ricostruzione che scrive una pagina ben diversa da quella ritenuta fin l&igrave; quella giusta dai libri di storia, con Gualdo Tadino e la frazione di Rigali che meritano di essere al centro di uno degli episodi pi&ugrave; entusiasmanti nella storia delle corse.  Per me &egrave; un buon punto di partenza e, dopo averci scritto un articolo, vado avanti, trovo di tutto e di pi&ugrave; e ne faccio nascere un libro, &ldquo;Il Rombo del Cigno&rdquo;, edito da Giorgio Nada nel 2006. Non &egrave; finita. Passano altri anni, quando una sera a Bologna, il regista cinematografico Tonino Zangardi a cena con il cantante Lucio Dalla e il nobile interfaccia Roberto Roversi si sente raccontare la storia del cofano ritrovato, viene colpito dalla scintilla creativa e decide di partire da essa, per realizzare un film che da quell&rsquo;episodio risalga in flashback alla storia di Tazio Nuvolari.  In poche parole, il mio libro diviene punto di partenza per una narrazione che poi Tonino fa sua, sviluppa autonomamente e rende in uno stupendo bianco e nero, appunto segnale cromatico del flashback d&rsquo;un racconto vissuto a ritroso, mentre il presente storico della narrazione - che &egrave; poi cornice, ouverture e finale del film - viene girato a colori. E la storia del ritrovamento del cimelio &egrave; condensata incentrando tutto su un unico personaggio,  Mario - interpretato da Alessandro Haber -, il quale recita una parte che unisce colui che raccoglie il cofano, il suo detentore successivo e il giornalista che poi riporta il cofano a Mantova, dandolo in comodato al museo di Tazio Nuvolari, cio&egrave; il sottoscritto. Mario, quindi, &egrave; il mio nome e per sintesi narrativa tutto riassume anche se in verit&agrave; la vera storia ne comprende, come abbiamo visto, almeno altri due. Infine, l&rsquo;incontro felice tra Tonino Zangardi, il produttore Mauro Venditti e la Format, diviene fucina creativa e sintesi in grado di dar vita a &ldquo;Quando corre Nuvolari&rdquo;.  Opera delicata, coraggiosa, gioiellino da cinema indipendente che racconta un Tazio Nuvolari pi&ugrave; persona che personaggio, pi&ugrave; uomo che mito, pi&ugrave; fallibile, dolce e dolente che non invincibile, osannato e verticale. E il film diviene - aggiungo purtroppo - anche testamento artistico del regista Tonino Zangardi, venuto a mancare proprio quando poteva finalmente vedere apprezzato anche dagli spettatori il frutto della sua fatica e della sua non comune sensibilit&agrave; artistica.  Pi&ugrave; introspettiva e carezzevole che non stordente, perch&eacute; non troverete effetti speciali, clamori e clangori abbacinanti in &ldquo;Quando corre Nuvolari&rdquo;, ma la poesia della provincia umbra, la poesia d&rsquo;un vecchio pilota, la poesia d&rsquo;un ragazzo che lo ammirava e che intanto &egrave; diventato vecchio e la poesia stessa d&rsquo;una storia che da settant&rsquo;anni esatti viene raccontata e suscita ogni volta clamori e sorrisi struggenti. La poesia di una storia che da bambino, tutte le sere in cui mi veniva raccontata prima di prender sonno, consideravo, semplicemente, la favola mia. 

<p>Venerd&igrave; 13 aprile in anteprima a Mantova e il 23 e 24 in tutte le sale&nbsp;il film &ldquo;Quando corre Nuvolari&rdquo;, ispirato da un libro di Mario Donnini, giornalista di Autosprint, che qui svela come tutto ha avuto inizio...</p> 

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Tazio Nuvolari, 70 anni fa se ne andava il Mantovano Volante

Quando corre Nuvolari, l'ultima cavalcata del mito è al cinema