Che Silverstone signori e signore! Il doppio Gp in Gran Bratagna incorona un Re che non ti aspetti e frena anche qualche campione. Ecco la nostra rubrica video del lunedì con il meglio e il peggio del speciale Gran Premio dei 70 anni del Circus! Siete d'accordo con noi?

F.1, Gp 70° Anniversario: i nostri Top e Flop VIDEO

C&rsquo;&egrave; un qualcosa che mi consola, in questo peraltro monocorde, spaventosamente chiaro e privo di residue speranze Gran Pemio di Gran Bretagna. Perch&eacute; se &egrave; vero che le macchine ormai hanno preso letteralmente il sopravvento sugli uomini - e non lo scoprio mica io e tanto meno stavolta, perch&eacute; &egrave; vero da una vita, ben peggio che nella saga di Terminator -, &egrave; anche vero che, a quanto pare, Silverstone rappresenta una bella rivincita per le capacit&agrave; individuali e il valore aggiunto che un pilota sa dare, ovviamente a parit&agrave; di macchina.    In altre parole, non &egrave; andata come tante, tantissime, troppe altre volte, in cui si notava una sterile processione di vetture dello stesso colore a due a due, a dare un senso di triste processione a prestazioni livellate e quasi indistinguibili tra compagni di squadra. Al contrario, dal barbecue di Silverstone i verdetti pi&ugrave; importanti etranchant son tutti umani e creano sensazioni contrastanti, spettacolari e forti. In casa Mercedes, tanto per cominciare, dato per assodato che la W11 &egrave; la sola top model che sculetta tra una mitragliata di panzone col culo basso, il resto della faccenda lancia segnali del tutto decisivi. Il problema di Bottas non &egrave; nelle capacit&agrave;, nella velocit&agrave; n&eacute; tanto meno nello scatto. Il finlandese &egrave; in possesso di doti di talento assolutamente prodigiose, ma, al cospetto di Hamilton, soffre desolatamente, inesorabilmente e immancabilmente di braccino. Chiamasi complesso d&rsquo;inferiorit&agrave;, timore reverenziale, eccesso di sussiego. Sono tanti e diversi i modi per definire lo stesso problema, che, per&ograve;, essendo interiore e non avendo niente a che fare con tattiche e assetto, appare francamente a oggi irrisolvibile.  Gp Gran Bretagna: i 5 temi della gara  La verit&agrave; &egrave; semplice e delineata: cos&igrave; come in passato, fino al 2016, in seno alla Mercedes Nico Rosberg non aveva nessun problema a mettere inconto di fare il muso e litigare, cordialmente contraccambiato, con Lewis Hamilton, Valtteri Bottas vive invece un inferiority complex pi&ugrave; mentale che reale e tale da vederlo scattare meglio di Lewis al via ma da non affondare, guai mai come avrebbe dovuto, la staccatona alla prima curvaall&rsquo;insegna dell&rsquo;o la va o la spacca. Proprio perch&eacute; &egrave; e resta letteralmente terrorizzato all&rsquo;idea di toccarsi con Lewis e danneggiarlo. Bottas, in altre parole, per dirla alla Checco Zalone, ama molto pi&ugrave; il posto fisso alla Mercedes che non l&rsquo;opportunit&agrave; che esso stesso potrebbe dargli se lo sfruttasse come trampolino. Cos&igrave; con questa postura psicologica pu&ograve; battere Lewis solo in qualifica, perch&eacute; l&igrave; neanche lo vede, o, al limite, in corsa, ma solo se il Capitano ha problemi, parte dietro penalizzato o &egrave; vittima di uno sfigato contrattempo. Senn&ograve;, se il primo cambio gomme avviene regolare in regime di Safety e il sorpasso decisivo va fatto in pista, Bottas ad Hamilton non lo infiler&agrave; mai, quand&rsquo;anche abbia i numeri, la classe e la capacit&agrave; per riuscirci, perch&eacute; solo l&rsquo;idea di provare a farlo a oggi gli d&agrave; infinita ansia, consigliandolo d&rsquo;astenersi.    E queste cose la Dea Fortuna, che &egrave; Dea bendata ma mica scema esoprattutto femmina, le fiuta animalescamente e deliziosamente le elabora in un nanosecondo, decidendo l&igrave; per l&igrave; di buttarsi tra le braccia di chi il braccino non lo ha, abbracciandolo con volutt&agrave;. Ecco, la spiegazione psico-cabalistico-cinetica del Gran Premio di Gran Bretagna, ma temo anche dell&rsquo;intero mondiale 2020, salvo sommovimenti caratteriali, metamorfosi belluine o colpi di scena hitchcockiani maimplausibili, &egrave; tutta qui. L&rsquo;uomo conta ancora. Una cifra. Prendi la Red Bull. Ormai i giochini di adattamento, la pazienza da luna di miele e gli sconti Ikea son finiti: laverit&agrave; &egrave; che Albon rispetto a Verstappen va peggio adesso che nei primi Gran Premi. Perch&eacute; Max &egrave; uno che farebbe smettere di lavorare pure il leggendario Aleksej Grig&oacute;r&rsquo;evic Stach&aacute;nov. Perch&eacute; Max &egrave; belva, martello, uno che psicologicamente a parit&agrave; di macchina in pista ti devasta da subito e poi, pi&ugrave; ti ci confronti e peggio stai.  Cos&igrave;, dopo aver spiegato come funzionala faccenda nell&rsquo;ordine a Sainz, Ricciardo e Gasly, adesso sta facendo lastessa cosa anche con Alexander, il quale, a parte il bel finale in rimonta - ma non &egrave; che la cosa cambi le carte in tavola -, sta vivendo un supplizio psicologico atroce, per niente invidiabile e presumibilmente senza rimedio. Gasly ora pare il pi&ugrave; indicato a dargli il cambio, proprio perch&eacute; sta ottenendo risultati bellissimi, tra il finale con podio della scorsa stagione in Toro Rosso e il settimo posto a Silverstone 1 con AlphaTauri, ma la sensazione &egrave; che la rivincita eventuale a parit&agrave; di Red Bull non potr&agrave; che finire allo stesso modo. Perch&eacute; Max &egrave; uno di quelli talmente bravi che per secondo devi mettergli una zia, cos&igrave; non si arrabbia mai, te la tieni a vita e tranquilli tutti.  Anche in McLaren, sfighe gommiste di Sainz nel finale a parte, Lando Norris &egrave; sempre pi&ugrave; una sensazionale rivelazione. Per come spinge sul giro secco, per come tiene bene il passo gara e per quanto sa essere intenso nei finali. Tutto il contrario di quello che sembrava in formula cadetta, quando pi&ugrave; di una volta aveva mostrato una tendenza ad ammosciarsi, specienella seconda parte della stagione. Macch&eacute;, il ragazzo &egrave; cresciuto quelt anto e quanto da farlo sembrare uno dei talenti pi&ugrave; interessanti e indivenire dell&rsquo;intero Circus.  Stessa cosa alla Ferrari. Passano i Gran Premi e le differenze tra il confermatissimo, stabilizzatissimo e futuribilissimo Leclerc con il giubilato Vettel si evidenzano, crescono e si moltiplicano senza dubbio alcuno. Certo, a Silverstone, come &egrave; successo in gara tra Hamilton e Bottas, le prove hanno indirizzato la sfortuna tutta sul biondo, per&ograve; &egrave; anche vero che Seb, comprensibilmente, sta andando al lavoro in azienda, ovvero in pista, timbrando gli ultimi cartellini prima del TFR solo con lavoglia che il tempo da qui a fine stagione passi presto e senza residue rotture di scatole. In una situazione cos&igrave;, meritata e pure anche no, che Leclerc in confronto sembri Jim Clark ci sta eccome.  E in Reanult? Daniel Ricciardo, anche se non sta mica pi&ugrave; tanto simpatico al boss del team, ancora una volta fa vedere chi comanda, in pista, capitanando alla grande la riscossa di una squadra, la quale gara dopo gara sta facendo crescere una monoposto che potrebbe diventare un piatto sempre pi&ugrave; stuzzicante in chiave 2021 per la fame del rientrante, voracissimo e astinente&nbsp; Fernando Alonso. Quanto alla Haas, i tanto indagati e criticati Grosjean e Magnussen restano talenti scabri, duri e puri, talmente umorali e imprevedibili che &egrave; rarissimo vederli fare una gara bella, intelligente e piana incontemporanea. Statisticamente funzionano bene, come minimo, uno alla volta.  E anche in Gran Bretagna, complice una speronata di Albon giustamente sanzionata, il destino segue trame da copione. Alla Williams, Russell ha tutto un altro passo rispetto a Latifi, il quale comunque non va pianissimo, non &egrave; certo male e ha anche un suo perch&eacute;, ma &egrave; in F.1 sol perch&eacute; ha chi gli paga i salti sui gonfiabili. Quanto a Racing Point, tra indagini Fia e Covid per Perez, mi astengo dal giudizio, augurando il meglio a chi sta male. E poi, per chiudere, c&rsquo;&egrave; l&rsquo;Alfa Romeo e anche qui la differenza umanamente in questo 2020 paretanta. Perch&eacute; il&nbsp; 3-1 in qualifica a vantaggio di Giovinazzi e i puntualiesiti di gara paiono sempre pi&ugrave; tombali e conclusivi verso le residue motivazioni e speranze del vecchio Raikkonen, il quale ormai sta correndo con una saziet&agrave; psicologica rispetto all&rsquo;Alfa Romeo tale da ricordare quella di Tot&ograve; per la moglie Ave Ninchi, nell&rsquo;immortale film Tot&ograve; e le Donne.  E cos&igrave; il mondiale 2020, quello pi&ugrave; ritardato e anche pi&ugrave; banale e scontato sul piano dei confronti tecnici tra monoposto rivali, sta mostrandosi interessante, spietato e indicativo soprattutto nei derby, ovvero nel torneo intersocietario e intracutaneo fatto di convivenze e connivenze sofferte, di coabitazioni scomode e di confronti diretti rivelatori all&rsquo;interno dei singoli team.  Non a caso questo pare tanto il mondiale che, paradossalmente, ribadendola supremazia delle macchine, sta premiando sempre pi&ugrave; l&rsquo;incidenza dell&rsquo;uomo. La sua capacit&agrave; di dare e fare qualcosa di diverso e di pi&ugrave;, rispetto al compagno di squadra.&nbsp; Della serie, tanto &egrave; moscia e spersonalizzante sul piano tecnico-prestazionale la formula turboibrida, che nel suo appiattimento porta quasi senza volerlo al fiorire di un consolatorio, gustoso e rivalutante neo-umanesimo delle individualit&agrave;.  Certe volte penso a quanto sarebbe bello vedere questo campionato monomarca, con 20 Mercedes W11 al via e i ragazzi di oggi tutti sullo stesso piano. Ma nel frattempo, proprio come nella saga di Terminator, ti odio sempre pi&ugrave;, macchina. E, a prescindere, bentornato, Uomo. Chiunque tusia. 

In un mondiale sempre pi&ugrave; scontato e deciso dalle macchine, mai come ora il fattore umano sta riemergendo Con i derby interni a ciascun team capaci di fornire indicazioni e verdetti da urlo

Applaudo il ritorno dell&#39;Uomo

Sviluppata tra il 1983 e il 1985, la Tyrrel 012, montava un Ford Cosworth DFV. Nonostante gli ingenti finanziamenti dovuti&nbsp;alla sponsorizzazizne del Team da parte della Benetton, la vettura non risult&ograve; mai competitiva, soprattutto per la maggior resa dei motori turbo che andavano sempre pi&ugrave; diffondendosi in quel periodo, a scapito di quelli aspirati. Nel 1985 la Tyrrell 012 conobbe una nuova primavera nella neo nata Formula 3000 del Barron Racing Team, ma con poca fortuna anche in questa categoria.&nbsp;&nbsp;

Formula 1 Tyrrell 012: grandi investimenti ma poca resa

  Credeteci o no, c&rsquo;&egrave; stato un tempo in cui la monoposto del campione del mondo di F.1 &egrave; retrocessa nella serie inferiore, in formula cadetta, finendo sonoramente battuta dalle concorrenti, pi&ugrave; giovani, agili e a loro agio. E con la gloriosa Williams Fw08, gi&agrave; iridata piloti nel 1982 con Keke Rosberg al volante, altre vetture appartenenti al mondo dei Gran Premi vivono lo stesso destino - in particolare la Tyrrell 012, la Arrows A6, la Ram 04 pi&ugrave; un paio di Minardi e una ex Dywa che s&rsquo;era vista solo nelle prove della F.1 Aurora Afx a Monza 1980 -, un destino appunto decisamente poco felice anche se pittoresco quanto curioso e interessante. E tutto questo non accade un secolo fa, ma solo nel corso della stagione 1985, in un contesto strano, originalissimo e assolutamente degno d&rsquo;essere ricordato e rivissuto.     La fine del primo ciclo aspirato in F.1  Il 1985 ufficialmente entra nella storia delle corse come ultimo anno e tramonto annunciato del primo ciclo del motore aspirato in F.1, sostituito dal turbo, nettamente pi&ugrave; potente. L&rsquo;ultima presenza di un&rsquo;unit&agrave; aspirata in F.1, segnatamente del leggendario Cosworth 8 cilindri a V di novanta gradi, in versione Dfy, &egrave; ad opera della Tyrrell 012 di Martin Brundle, con un decimo posto al Gp di Germania di quell&rsquo;anno. Lo stesso pilota prover&agrave; pochi giorni dopo a qualificare la vettura in Austria, ma non ci riuscir&agrave; e con questo rovescio si chiuder&agrave; un&rsquo;epoca. Da l&igrave; in poi i Cosworth sono tutti disoccupati, dunque che fare? L&rsquo;idea &egrave; del solito Bernie Niente paura, la soluzione &egrave; gi&agrave; stata trovata alla fine della stagione precedente e, anche in questo caso, il grande agitatore d&rsquo;uomini e di programmi &egrave; Bernie Ecclestone.  Cosa accade, in realt&agrave;? Semplice.  Il parco macchine e motori F.1 della civilt&agrave; atmosferica &egrave; in disarmo gi&agrave; da fine 1983 e bisogna trovare un modo intelligente per riciclare il tutto. Niente di meglio che far morire la vecchia e amata F.2, dando vita a una nuova categoria, in cui eiettare propulsori e telai ormai obsoleti per la F.1. Nel frattempo lo stesso Ecclestone fa incetta a prezzi da realizzo dei vecchi Cosworth, pronto a rimetterli in circolazione a listini ritoccati quando sar&agrave; ufficializzata la nuova categoria, che non a caso si chiamer&agrave; F.3000, dalla cilindrata dell&rsquo;iconico Dfv, che diviene spina dorsale della nuova formula cadetta. Telai liberi e possibilit&agrave; di far correre le vecchie F.1 con motori aspirati, ma i gloriosi motori Cosworth avranno un regime di rotazione limitato a 9000 giri al minuto.  &nbsp;    Lotta dura tra F.2 riadattate contro le ex F.1!  In poche parole, all&rsquo;inizio della stagione 1985 del nuovo campionato, al BRDC International Trophy di Silverstone, in programma il 24 marzo, si presentano 17 vetture, quattro ex F.1 e 13 monoposto di derivazione F.2, ma tutte indistintamente dotate dell&rsquo;onnipresente Cosworth limitato a 9000 giri. Il primo verdetto &egrave; sorprendente, perch&eacute;, pur disponendo di un centinuaio di cavalli in pi&ugrave;, le vetture della formula cadetta non riescono ad avvicinare i tempi delle sopresse F.2 di 2000 cc. Michel Fert&eacute; con una March di nuova generazione stacca la pole in 1&rsquo;17&rdquo;92, lontano di quasi due tombali secondi dal record di Mike Thackwell con la leggendaria RalfHonda F.2, in 1&rsquo;16&rdquo;00. Ma questo &egrave; niente. In realt&agrave; le vetture derivate dalle ex F.2 a livello telaistico, ossia March, Ralt e Ags, surclassano nettamente le F.1 Williams e Tyrrell, oltre alle goffe Lola riadattate dal progetto di F.Indy. La migliore delle ex F.1, la Tyrrell 012 guidata da Roberto Moreno per i colori del Barron Racing, si becca 1&rdquo;7 al giro dalla pi&ugrave; veloce delle March, mentre le Williams Fw08 del team di Peter McIntosh, guidate dal belga Thierry Tassin e dall&rsquo;italiano Lamberto Leoni, viaggiano a quasi quattro secondi al giro dalle monoposto pi&ugrave; competitive. In poche parole, l&rsquo;incredibile duello tra ex F.2 e ex F.1 unificate dal comune dominatore dei Cosworth, &egrave; gi&agrave; morto sul nascere e tocca proprio al buon Lamberto Leoni raccontare perch&eacute;.  &nbsp;    Leoni a podio con la Williams ex F.1!  Lamberto Leoni nasce ad Argenta (Ferrara) il 23 maggio 1953 e ha il merito d&rsquo;essere - oltre che uno dei giovani piloti d&rsquo;assalto pi&ugrave; talentuosi nella seconda met&agrave; degli Anni &rsquo;70 -, race winner in F.2 e al via di due Gp di F.1, a inizio 1978 con la Ensign. Ecco il racconto della sua avventura con la Williams F.1: &laquo;A inizio 1985 il team manager Peter McIntosh mi offre la possibilit&agrave; di correre con una delle migliori F.1 del mondo, la Fw08 iridata con Rosberg, con un&rsquo;offerta economicamente molto vantaggiosa. Stavo cercando di rientrare nel giro buono e non potevo che dire s&igrave;&raquo;. Quando capisci che non c&rsquo;&egrave; trippa per gatti? &laquo;Subito, dalla prima gara del campionato, a Silverstone, in un fine settimana molto piovoso. Io e il mio compagno di squadra Tassin prendiamo atto che la vecchia Williams &egrave; grande, pesante e molto sottosterzanze. Per regolamento dobbiamo montare ali pi&ugrave; piccole rispetto a quelle utilizzate nei Gp veri e cos&igrave; l&rsquo;assenza di carico si fa sentire terribilmente. Poi usiamo il serbatoio sovradimensionato da F.1 da 180 litri, mentre in formula cadetta per le gare, molto pi&ugrave; corte, ne bastano poco pi&ugrave; della met&agrave;. In poche parole, le vetture di March, Ralt e Ags, derivate dai progetti di F.2, appaiono subito pi&ugrave; piccole, pi&ugrave; leggere, pi&ugrave; strette e pi&ugrave; corte delle nostre ex F.1, che arrancano staccate senza piet&agrave; e senza rimedio, con un&rsquo;entrata in curva deludente e una scorrevolezza priva di speranza&raquo;. Eppure, Lamberto, sei ricordato come l&rsquo;unico capace di portare a podio una ex F.1 in una gara di F.3000, ossia a Pau 1985. &laquo;Pensa che quel giorno nei primi giri l&rsquo;amico Alfredo Somaschini mi vede 3&deg; inseguito da una muta di cani rabbiosi, ossia da non meno di tre-quattro avversari, e scommette 50mila lire che li terr&ograve; dietro fino al traguardo. Detto e fatto. Contento lui e io di pi&ugrave;&raquo;.    Per fortuna in F.3000 a fine 1985 ti ingaggia il compianto Pier Luigi Corbari che ha delle buone March e vai a podio pure in Austria, a Zeltweg. &laquo;La March di F.3000 - che poi vincer&agrave; il primo titolo con Danner schierato dalla BS Fabrication, ndr -, proprio non aveva niente a che vedere con le ex F.1. Era agile, velocissima e imprendibile, al confronto. L&rsquo;idea di riciclare le F.1 era interessante e capace di catturare l&rsquo;interesse, ma nell&rsquo;appicazione concreta il tutto non aveva alcun senso. Appena mi diedero una March buona mi ritrovai in testa, a Pergusa. Questo dice tutto...&raquo; - conclude Leoni.  &nbsp;    La breve storia della PMC-Williams  L&rsquo;equipe di Peter McIntosh schiera nella F.3000 1985 due Williams Fw08, s&igrave;, lo stesso modello che vede Rosberg iridato nel 1982, ma in realt&agrave; questa &egrave; la versione C. Tassin ha il telaio numero 10, il quale &egrave; un muletto che non ha mai corso nel mondiale, mentre Leoni porta nella scocca il numero di serie 11, quello di un&rsquo;altra vettura di riserva mai utilizzata nei Gp. Due fondi di magazzino, insomma. Lamberto disputa sei corse, con quel terzo posto a Pau quale gemma in un mare di delusioni, mentre Tassin in due sole corse non cava un ragno dal buco.  Le due Tyrrell della Barron hanno corso nei Gp  Diverso il discorso relativo alle due Tyrrell della Barron Racing per Moreno e Langes. Il telaio 012/1 a suo modo vanta una bella storia, perch&eacute; usato nei Gp da Alboreto, Sullivan e Bellof. In F.3000 ci corre per due gare Langes (15esimo a Thruxton come miglior risultato), quindi passa a Moreno, dignitoso quinto a Estoril, poi va nelle mani di Campos per la gara del Nurburgring che per&ograve; viene annullata per neve e, infine, ci ricorre Moreno, nono a Vallelunga. L&rsquo;altro telaio &egrave; lo 012/4 con cui hanno corso in F.1 Bellof e poi Johansson. Con questa vettura lo stesso Roberto &ldquo;Pupo&rdquo; Moreno giunge buon sesto nella gara d&rsquo;apertura della F.3000 a Silverstone. Curiosamente, la Barron, delusa, smette di usare le 012 in F.3000 due mesi prima che il team Tyrrell chiuda la sua avventura col modello nella F.1 vera. In poche parole, la monoposto riciclata viene smessa in anticipo rispetto a quella ancora proposta nei Gp!  Gran delusione per Borgudd sulla Arrows  Lo svedese Slim Borgudd nel 1985 &egrave; alla soglia dei quarant&rsquo;anni e per lui salire su una Arrows &egrave; un&rsquo;ottima chance per rilanciarsi. Il team di Roger Cowman gli mette a disposizione una A6 numero di telaio 4, monoposto che ha all&rsquo;attivo 17 Gp iridati nel biennio 1983-1984, nelle mani di Marc Surer e - una sola volta - di Thierry Boutsen, gran 5&deg; a San Marino 1984. Borgudd per&ograve; in F.3000 fa una fatica boia, non qualificandosi a Thruxton, ottenendo poi un decimo posto a Vallelunga come miglior risultato, seguito da due ritiri e da una mancata classificazione al traguardo nella gara finale di Curacao, fuori campionato. In altre parole, un disastro.  &nbsp;    Ram e Montecarlo Gp, gli altri flop  E non finisce qui, perch&eacute; l&rsquo;anno dopo altre ex F.1 tentano l&rsquo;avventura in F.3000, con zero fortuna. Si distingue esteticamente la Ram 04, derivata dalla 03 di F.1, prima da James Weaver e poi per sei corse da Eliseo Salazar, che manca la qualificazione tre volte e ottiene niente di meglio di un 11esimo posto. Quanto alla Montecarlo Gp (o Monaco Gp), altro non &egrave; che una ex Dywa di F.1 rimaneggiata e gi&agrave; vista in azione con Piercarlo Ghinzani al volante nelle prove della gara Aurora Afx di Monza 1980. Ballabio &egrave; trentaseiesimo a Imola in prova, su 36 partecipanti alle qualifiche, quindi niente gara. Nessun riscontro anche per le iniziative che riciclano monoposto Minardi, senza alcun coinvolgimento di patron Gian Carlo. Nel 1986 il Team Adolfo tenta la qualificazione tre volte prima con Aldo Bertuzzi e poi con Bruno Corradi ma senza mai centrare l&rsquo;obbiettivo. In chiave 1989 il team Pavesi rileva una Minardi M188, in gara nella F.1 iridata 1988, con l&rsquo;idea di schierarla in F.3000 e fa un test a Vallelunga a fine febbraio con Luis-Perez Sala, con l&rsquo;intento di schierare poi nella serie Dindo Capello, ma l&rsquo;iniziativa per mancanza di sponsor finisce sul nascere. E con essa tramonta per sempre la stagione intensa ma sfortunata delle F.1 retrocesse tra i cadetti, al suono lacerante e indimenticabile dell&rsquo;amatissimo Cosworth 8 cilindri 

Nel 1985 la F.2 non c&#39;&egrave; pi&ugrave; e prende il via una serie cadetta che ricicla i vecchi Cosworth aspirati e alcunevetture da GP che per&ograve; vengono sonoramente battute

Quelle Formula 1 Retrocesse in Formula 3000

E&nbsp;adesso Lewis Hamilton con sei iridi in saccoccia dice che sta preparando un capolavoro e c&rsquo;&egrave; da credergli. D&rsquo;altronde sta andando ad ampie falcate verso un 2020 che ripropone di fatto lo stesso scenario tecnico e umano di quest&rsquo;anno e proprio non si vede perch&eacute; non dovrebbe essere lui il favorito pure al settimo sigillo iridato personale. Traguardone che riscriverebbe non solo la cronaca e la storia della F.1, ma soprattutto la leggenda, eguagliando l&rsquo;eptaprimato del Kaiser Michael Schumacher, con facolt&agrave; d&rsquo;andare perfino oltre.  Ecco, qui ed ora non si tratta di tifare o meno per questo o quello. La faccenda non &egrave; personale. Anzi, dir&ograve; quello che sto per dire col massimo rispetto nonch&eacute; totale e commosso affetto non solo per ci&ograve; che la figura di Michael Schumacher rappresenta e ispira nell&rsquo;enciclopedia sportiva, emotiva ed esistenziale del Motorsport, ma anche con convinta e toccata empatia per tutto ci&ograve; che la sorte ha riservato e riserva a lui e alla sua stupenda e unita famiglia, Mick in testa. Il punto &egrave; un altro. Ci sono cose da dire e penso vadano dette.&nbsp;  Anzitutto continuo a essere dell&rsquo;idea che i dodici titoli mondiali consecutivi dell&rsquo;era turboibrida Mercedes non valgano - alla barba della matematica - gli undici dell&rsquo;epopea aspirata a 10 cilindri della Ferrari di Schumi, perch&eacute; questi ultimi furono conquistati sfidando team rivali ben pi&ugrave; agguerriti e con regole che mutavano le carte in tavola di continuo, mentre di questo passo, continuando all&rsquo;infinito a correre con questi tram di quasi 6 metri dotati di cicchetti elettrici, i tedeschi e i loro piloti vincerebbero e vinceranno anche 50 iridi di fila. Perch&eacute; la vera concorrenza &egrave; rappresentata solo dalla Ferrari, partita sei anni fa con almeno mezzo lustro di ritardo tecnico, in quanto a Maranello di elettrificato alla radice ne capivano quanto Kit Carson della processione del Venerd&igrave; Santo. Per tacere della Honda, arrivata a festa stracominciata, che ci ha messo una vita ad entrare nel ritmo del ballo e adesso chiss&agrave;.  Ma torniamo al motivo di questo pezzo. I sei legittimissimi titoli di Lewis Hamilton - s&igrave; legittimi perch&eacute; non ha mica colpa lui nelle sperequazioni del turboibrido e poi comunque ha vinto ma anche perso da un rivale in Mercedes, nel 2016 - contrapposti ai sette di Michael Schumacher, uno dei quali resta roba di cui &egrave; sportivamente lecito solo vergognarsi.    Perch&eacute; la pestilenziale, intenzionale e scandalosa sportellata rifilata alla Williams di Damon Hill - togliendolo dolosamente di gara dal Gp d&rsquo;Australia ad Adelaide 1994 -, quando Michael era gi&agrave; andato a barriere rovinando la sua, di corsa e le sue, di aspirazioni iridate, rappresenta una ferita aperta nella storia della F.1 e dello Sport. Tra l&rsquo;altro un atto gravissimo antisportivo mai sanato, mai formalmente rinfacciato n&eacute; minimamente sanzionato dalla Fia, che apre e subito chiude a caldo un&rsquo;inchiesta sulla faccenda, considerandola mero incidente di gara. Stupefacente. Folle. Una presa per il culo vera. Con Schumacher che dichiara, nascondendo la mano dopo aver tirato il sasso: &laquo;Non &egrave; stata certamente una bella conclusione, non sono riuscito a controllare la vettura. In quel momento ero cos&igrave; preso dai miei problemi, che non ho guardato lo specchietto e quando ho visto sopraggiungere Hill era ormai troppo tardi. Mi avrebbe potuto sorpassare pi&ugrave; avanti, sfruttando la situazione&raquo;. E Briatore, aggiunge, alla Briatore: &laquo;Sicuro che Michael l&rsquo;ha visto. Ma chi ha perso il Mondiale &egrave; Damon. Se avesse visto che Michael era in difficolt&agrave;, alzava il piede dall&rsquo;acceleratore e passava. Per cui non ha meritato il titolo&raquo;.    Maddai. La squadra, ossia la Benetton sospettata gravemente di avere l&rsquo;antispin in camuffa, indagata per le stranezze al launch control, pescata dopo il rogo di Hockenheim del pap&agrave; di Verstappen - meno male che incruento -, senza un filtro nell&rsquo;apparecchiatura di rifornimento dell&rsquo;Intertechnique, la monoposto col pattino troppo raspato a Spa e tolta di classifica e recidiva poich&eacute; guidata dal pilota che aveva ignorato la bandiera nera a Silverstone e quindi plurisqualificato... Cio&egrave;, voglio dire, tirate le somme di questa squisita compagnia cantante, arriviamo ad Adelaide e viene inscenato l&rsquo;epilogo pi&ugrave; inaccettabile, nauseante nonch&eacute; rubereccio in tutta la storia dello sport a motore e tutti zitti?&nbsp;  Poi, guarda caso, questo alloro non &egrave; che conti poco o solo per se stesso, ma diventa - e di questo Michael mica ne ha colpa, ma le cose stanno ahim&eacute; proprio cos&igrave; -, ma diventa, dicevo, la gettata fondante, la base, il piedistallo infrastrutturale del record dei record. No, guarda, quando sento dire che Hamilton &egrave; a caccia ora del primato dei primati di Schumi, mi viene da ridere, perch&eacute; la verit&agrave; sportiva incontrovertibile &egrave; che Michael ha vinto legittimamente sei titoli e non sette e Lewis, ragionando qualitativamente e sportivamente, a questo score c&rsquo;&egrave; gi&agrave; arrivato nel recente pomeriggio di Austin. E adesso che nessuno venga a dirmi che sto applicando a un&rsquo;era passata i dettami ben pi&ugrave; polizieschi, sorvegliati e stringenti del presente, perch&eacute; tutti sanno che non &egrave; cos&igrave;. Questo si pu&ograve; dire quando Jones al primo via di Montreal 1980 attacca malamente il rivale per il titolo Piquet contro il muro, costringendolo a partire poi con un muletto dal motore spompato, che presto rende l&rsquo;anima e consegna l&rsquo;iride all&rsquo;australiano. S&igrave;, quella era un&rsquo;era filosoficamente diversa, nella quale imperava la legge del menga e per cortesia evitatemi di sciorinare la rima con menga. Il 1994 no. Era l&rsquo;anno della morte di Senna. Della Grande Presa di Coscienza. Ed anche, magari lo cito del tutto casualmente, neh, giusto per non trascurare nessun elemento, del grande rapporto tra Michael e il suo pigmalione Bratore che aveva un&rsquo;immensa amicizia col padrone della F.1 Bernie, il quale mai come in quel periodo andava d&rsquo;accordo col Presidente della Fia Mosley e non posso certo aggiungere la chiusa alla Branduardi &ldquo;che al mercato mio padre compr&ograve;&rdquo; perch&eacute; questa non &egrave; la canzone la Fiera dell&rsquo;Est, ma la Formula Uno del 1994 e quella volta nessuno aveva comprato nessuno. Zero. Semplicemente, a quel punto ci si guard&ograve; tutti nelle palle degli occhi e si decise che Michael in fondo era stato abbastanza figlio di buona donna da meritarsi quel mondiale e Damon Hill - la vera rivelazione di quell&rsquo;anno, con un trionfo sotto la pioggia battente di Suzuka la cui visione andrebbe tuttora resa obbligatoria nei licei, nelle sale d&rsquo;aspetto degli aeroporti e pure nelle sale riunioni dei corsi di guida sportiva - s&igrave;, appunto, Damon Hill alla fin fine era stato troppo onesto e boccalone, cos&igrave; ciao cocco, fatti furbo pure te, la prossima.     Una ladrata senza ladri, quindi. Un furto senza effrazioni. Ma una refurtiva che ora fa mappo e scrive la differenza, un quarto di secolo dopo, nella sfida delle sfide, tra il Grande Detentore Michael Schumacher e The Great Pretender Lewis Hamilton.&nbsp;  E non mi venite a dire che mi straccio le vesti per niente, visto che Prost e Senna nel 1989 e nel 1980, stessa spiaggia e stesso mare, a Suzuka avevano fatto rispettivamente uguale o peggio.&nbsp;Oh yes, &egrave; verissimo, si tratt&ograve; di due momenti non meno irrespirabili, ma in quel caso, a sanare il tutto, in saecula saeculorum amen, ci ha pensato il principio della compensazione, perche Alain e Ayrton, fregandosi un titolo ciascuno, alla fine &egrave; come se non ne avessero inficiato nessuno, a prescindere dall&rsquo;aiutino mica tanto carino del presidente d&rsquo;allora Balestre al connazionale Alain. Quand&rsquo;anche la Ferrari e soprattutto Cesarone Fiorio avrebbero - e lui ha tuttora - montagne di rimpianti e ragioni comunque da far valere per aver preso una tramvata senza colpa, alla curva 1 di Suzuka 1990, legnata pur&rsquo;essa impunita che cambi&ograve; la vita e la storia di quel Cavallino. Fatto sta che nel 1997 alla curva Dry Sac di Jerez Schumi prova a rifare lo scherzetto di Adelaide 1994 non pi&ugrave; a Hill bens&igrave; alla Williams di Jacques Villeneuve, ma stavolta viene gi&ugrave; il teatro con tanto di maschere e loggione e poco ci manca che al tedesco non gli tolgano pure la licenza da pesca e la tessera del Club del Libro.&nbsp;    Perch&eacute; era un aridaje, perch&eacute; perfino Bernie &amp; Mosley buttarono l&agrave; un mo&rsquo; basta, perch&eacute; la verit&agrave; poco popolare ma sacrosanta &egrave; che l&rsquo;impresentabile sportellata di Adelaide 1994 ancora gridava vendetta, sportivamente sanguinava e, per come sono poi andate le cose, la grida tuttora. Tanto che Damon Hill, a fine 2012, al momento del definitivo ritiro dalle corse del caro Michael, se ne esce con una delle battute pi&ugrave; belle da Omero a Oscar Wilde: &laquo;Saluto Michael Schumacher, top driver che ha lasciato grandi tracce nella storia delle corse, parecchie delle quali sulla fiancata della mia Williams&raquo;.    Per questo, ribadisco il concetto: a titoli buoni e giusti, Hamilton, dopo Austin, &egrave; gi&agrave; sei a sei con Schumi. E nel mondo dello Sport con la maiuscola, se vince anche l&rsquo;anno prossimo, vuol dire che come Campionissimo, per quanto i confronti tra epoche diverse son disomogenei, eccetera eccetera, bla, bla, altro che pari: Hammer gli sar&agrave; gi&agrave; idealmente davanti.&nbsp; 

Non vedo l&rsquo;ora che Hamilton raggiunga Michael a quota&nbsp;7 titoli mondiali. Perch&eacute; l&rsquo;alloro che il Kaiser ha ora&nbsp;di vantaggio &egrave; nient&rsquo;altro che il premio avuto&nbsp;a fine 1994, a seguito dello scandaloso finale di Adelaide.&nbsp;Ghermendo un campionato che spettava a Damon Hill.&nbsp;Onore, rispetto e affetto per il tedesco for ever, ma non certo per ci&ograve; che combin&ograve; in quella stagione...&nbsp;

Per me Lewis &egrave; gi&agrave; pari con Schumi

Prendo atto con immenso piacere che la posizione presa da Autosprint subito dopo il Gp del Canada, non a favore o contro questo o quell&rsquo;altro, ma schieratissima in difesa del sacro valore di una lotta in pista pi&ugrave; libera, sciolta e svincolata dal tormentoso occhio delle autorit&agrave; giudicanti, incontra consenso, adesione e rispetto da parte della stragrande maggioranza degli addetti ai lavori e degli stessi appassionati. Bene. L&rsquo;idea di evitare polemiche personali, attacchi o crocifissioni idiote, concentrando l&rsquo;attenzione sul vero problema - che &egrave; e resta quello normativo della troppa intromissione concessa a chi indaga e giudica - e auspicando un cambiamento del principio ispiratore dell&rsquo;azione degli steward -, sta scatenando un dibattito tuttora in corso tra gli addetti ai lavori. C&rsquo;&egrave; solo da sperare che alla fine prevalgano gradualmente buon senso e amore per le corse gestite con attenzione alla sicurezza ma anche nel pieno rispetto della F.1 vista e vissuta come sport estremo.    La stessa Ferrari, rinunciando a percorrere fino in fondo la strada dell&rsquo;appello, preferisce concentrarsi intelligentemente nel duplice scopo d&rsquo;ottenere idealmente in altro modo una diversa valutazione di un evento come quello che ha visto protagonista Seb &amp; Lewis nella esse di Montreal, e, soprattutto, in proiezione, facendo s&igrave; che che il concetto di comportamento pericoloso sia vissuto in futuro in senso ben diverso e senz&rsquo;altro meno restrittivo da quello inteso in sede di giudizio, in diretta, nel Gp del Canada.  Se necessario, mutando quel tanto che basta le regole del gioco, ovvero rendendo applicabile il principio con pi&ugrave; equa e ragionevole elasticit&agrave;.  Per certi versi Mattia Binotto, di fatto e magari senza volerlo, ha finito con l&rsquo;avvicinarsi molto, moltissimo, alle posizioni espresse su Montreal a caldo da Autosprint e meglio cos&igrave;. Per tutti e per l&rsquo;avvenire della F.1.    Niente appelli secchi e pi&ugrave; azioni verso il cambiamento in meglio. Zero avvocati e maggior dialogo diretto a sanare storture, esagerazioni e eccesso di zelo delle autorit&agrave; giudicanti in tempo reale, lasciando il pi&ugrave; possibile i piloti liberi in pista.&nbsp;  Intervenendo con provvedimenti repressivi e/sanzionatori solo in caso di comportamento palesemente, scientemente e flagrantemente pericoloso. Senn&ograve; proprio non se ne esce. Altrimenti, ogni sette-otto curve, comparir&agrave; sullo schermo un lugubre alert di &ldquo;under investigation&rdquo; contro qualcuno. E non ha senso che chi sta in poltrona dietro mille monitor obblighi i venti piloti pi&ugrave; bravi e forti del mondo a guidare secondo le regolette della scuola guida pi&ugrave; veloce e irreale del Pianeta Terra.&nbsp;    Allora, schiariti i fumi della battaglia e i clangori della pugna - non quelli dei contatti maschi, perch&eacute; Hamilton e Vettel non s&rsquo;erano neanche abrasi, nel non-contatto pi&ugrave; duramente condannato in tutta la storia dell&rsquo;automobilismo - tanto vale rasserenarsi, dire grazie ai tanti, tantissimi che ci hanno scritto anche sui social, manifestando comunanza, simpatia e empatia per la posizione di Autosprint e fare un bel brindisi ideale e multiplo, tutti insieme. Pronti? Si comincia.&nbsp;  Visto che pochissimi tra i pochi cui non siamo piaciuti ci tacciano di passatismo, di culto dei bei tempi andati che non tornano pi&ugrave;, per tirarli ancor pi&ugrave; scemi il brindisi ripetuto medesimo lo facciamo, tra noi e voi, con due meravigliose bevande sospettate d&rsquo;essere andate fuori moda, ovvero cedrata e chinotto. Perch&eacute;, hai voglia, in certe sere d&rsquo;estate restano fantastiche. Anzi, che ne sai, se solo le conoscessero, magari pure Sfera Ebbasta e Greta Thunberg si sfonderebbero di cedrata e chinotto.&nbsp;    Il brindisi, dicevo, &egrave; multiplo quanto variegato. Alla faccia di qualcuno e in onore a qualcun altro. Per varie ragioni e a pi&ugrave; levate di bicchieri, tanto con &rsquo;sto caldo la sete &egrave; tanta.&nbsp;  Anzitutto qui si brinda alla faccia di quegli idioti che hanno riempito di insulti violenti e stupidi, nei social e in ognidove, chi aveva contribuito a prendere la decisione di Montreal. Decisione appunto corale e assunta in buona fede da un organo giudicante collettivo, con voti di pari dignit&agrave;, pertanto non individuale.  Gente cos&igrave; becera nel nostro sport non la vogliamo. Va bene incazzarsi, ma lo stile d&agrave; dignita alla sostanza. E stavolta, da parte di certi tipi, la forma &egrave; stata irricevibile, deprecabile, condannabile e raccapricciante. Gli assedi agli arbitri fanno schifo, figuriamoci contumelie e minacce elettroniche o meno, sprangando alla mille contro uno. Basta, mai pi&ugrave;. Se avete palle davvero, chiedete scusa a chi di dovere, perch&eacute; in luogo dell&rsquo;atto di forza &egrave; sempre da preferire un atto di intelligenza.  Il secondo brindisi alla faccia di qualcuno, lo facciamo alle suorine barbute: a quello sparuto drappello di perbenisti pelosoni, baciapile e incarogniti leccalumi rombanti che continuano a squittire all&rsquo;infinito rantolando all&rsquo;inverosimile il loro noiosissimo &ldquo;Safety first&rdquo; brandito come una clava, nella speranza che la F.1 diventi vibrante come la bocciofila e strappacuore quanto un picnic col parroco.  Il terzo brindisi &egrave; in onore a tutti coloro - e sono milioni - i quali si sono educatamente rotti i coglioni di una Formula Uno in cui di fatto non si corre quando piove, ovvero di una Formula Uno che ha solo paura di farsi la bua e esce solo con l&rsquo;accompagnamento, usando la safety car come una badante moldava. Una Formula Uno letteralmente terrorizzata del concetto stesso di aderenza precaria, di sorpasso vero o di circuito tosto o di curva cazzuta o di rettilineo o di segmento estremo.  Il quarto brindisi va in onore a chi s&rsquo;&egrave; stufato di di quelli che io chiamo i paravegani della staccata. S&igrave;, quelli che considerano i sorpassi con staccatona come vietabili e rinunciabili bistecche e che invece ci hanno imposto per fin troppo tempo tonnellate di tofu morale rappresentato da Drs e fermate obbligatorie con gomme a mescole variabili.  Il quinto brindisi &egrave; dedicato a quelli che non vogliono mai pi&ugrave; vedere una Formula Uno che utilizza i suoi organi di vigilanza e controllo in pista in maniera occhiuta, guardona, intrusiva, invadente e istericamente atterrita - da un pezzo, mica solo in Canada, neh - al piegarsi d&rsquo;una bavetta e mezzo nolder, al minimo contatto di gara. E, da Montreal in poi, financo irretita dal temuto contatto, precedente che ormai autorizza a indagare non pi&ugrave; danni e pericoli paventati o in atto, ma perfino le sole intenzioni a 300 all&rsquo;ora, in un evento durato otto decimi di secondo.&nbsp;  Il sesto e ultimo brindisi, premia quegli amici vostri e nostri che sposano ancora l&rsquo;ideale di una F.1 romantica, coraggiosa e meritocratica, in cui l&rsquo;osare e soprattutto il sapere osare restino valori fondamentali del massive start e della corsa l&rsquo;uno al fianco all&rsquo;altro, senn&ograve; tanto vale sfidarsi a cronometro, come si faceva nella pur meravigliosa Targa Florio stradale.  La Formula Uno bacata in cui qualsiasi ammaccatura di gara apre una procedura, un processino e una sentenziola, va senz&rsquo;altro considerata uno degli aspetti pi&ugrave; trash dell&rsquo;automobilismo moderno. S&igrave; ai romantici e ai passionali e no agli intrusivi, a quelli che mettono, dopo qualsiasi azione audace, le monoposto sul divaricatore e poi con la lampadina in testa guardano, guardonano, palpano e violano il sacro e intimo valore della lotta pura e dura in pista.&nbsp;  S&igrave; alle autorit&agrave; sportive che puniscano chi crea volontariamente pericoli palesemente inutili e no deciso alla Formula Uno dei ginecologi a oltranza. Basta, basta, basta, con questa mentalit&agrave; orrenda e deturpante degli ecografi agonistici sempre al lavoro per spiare, zoomare e punire stilando poi il cid e poi trasformando i dottori in periti dell&rsquo;assicurazione.&nbsp;  Cos&igrave;, col rinnovato e perenne ottimismo di chi, malgrado tutto, questo sport lo ama, prepariamoci spiritualmente a goderci il Gp di Francia.  Eh, s&igrave;, &egrave; stato bellissimo, tuttavia coi brindisi bisogna proprio fermarsi, perch&eacute; di argomenti ce ne sarebbero tanti altri, avoja, ma ormai qui quasi si trabocca di cedrata e chinotto.  E sar&agrave; bene darci un taglio, per evitare le conseguenze di Fantozzi alle prese con la terribile acqua Bertier.&nbsp;  &nbsp; 

Non ha senso correre con piloti &ldquo;under investigation&rdquo; a ogni pie&rsquo; sospinto

Anche no alla F.1 per ginecologi

Parlo per paradosso, ma sono sincero e faccio terribilmente sul serio: resto felicissimo di quello che &egrave; successo nel Gp del Canada, perch&eacute; almeno, finalmente, tutti possono rendersi conto di come s&rsquo;&egrave; ridotta questa F.1.&nbsp;  Ora nessuno potr&agrave; dire ma no, ma dai, &egrave; il progresso, safety first, non si torna indietro, la modernit&agrave; &egrave; un dogma e il presente un imperativo morale infallibile che abroga tutto e tutti.&nbsp;  In due parole: il problema non &egrave; che abbia perso la Ferrari, il problema non &egrave; che abbia vinto la Mercedes, il problema non &egrave; chi e come ha preso la decisione, il problema non &egrave; che Emanuele Pirro faceva parte del collegio dei commissari.&nbsp;  Come persona, come commissario - e aggiungo anche come amico -, difender&ograve; sempre l&rsquo;integrit&agrave;, la competenza e la dedizione di Emanuele al suo compito. Il punto &egrave; un altro. Qui gli arbitri non c&rsquo;entrano niente, complotti non ce ne sono e personaggi da odiare proprio non ne vedo. Di pi&ugrave;. Dai, mettiamola cos&igrave; che facciam prima, magari il collegio dei commissari ha applicato la regola perfettamente, stupendamente e infallibilmente contro Vettel.    D&rsquo;altronde: summum ius, summa iniuria. Per dirla con Cicerone, una applicazione acritica del diritto - che non tenga conto delle circostanze a cui le sue norme devono essere applicate nel singolo caso e delle finalit&agrave; reali a cui esse dovrebbero tendere - ne uccide lo spirito e pu&ograve; facilmente portare a commettere ingiustizie o addirittura costituire strumento per perpetrare l&rsquo;ingiustizia.  Ma resta un punto ineludibile e fondamentale sul piatto: &egrave; questa la Formula Uno che vogliamo? Anzi: la Formula Uno &egrave; questa?  E io rispondo no, manco per niente.&nbsp;  E la colpa non &egrave; di chi applica le regole, ma di chi le regole le fa.&nbsp;    &nbsp;  Ormai la F.1, in pista, non &egrave; pi&ugrave; uno sport estremo. Tutto &egrave; indagato, auscultato, spiato, analizzato. Qualsiasi azione in pista &egrave; sottoposta a giudizi, processini in diretta e sentenziole. Everything potenzialmente &egrave; under investigation.  Prendi il sorpasso di Perez a Grosjean, al 32esimo giro: il francese becca l&rsquo;infilata maschia ma totalmente esente da scorrettezze e per lui priva di danni, eppure s&rsquo;aggrappa subito al team radio e prova a denunziare il messicano, chissapoi per cosa.&nbsp;  Nel dritto di Vettel al 48esimo giro s&rsquo;arriva addirittura a penalizzare e a intervenire non tanto l&rsquo;arrecato ingiusto detrimento all&rsquo;avversario, ma una presunta intenzione d&rsquo;averlo voluto infliggere. Peggio. Se poi in pista Hamilton fosse riuscito a superare Vettel all&rsquo;esterno, a sua volta sarebbe stato automaticamente indagato per ingiusto vantaggio in corso d&rsquo;opera nel superamento dei track limits. E avanti cos&igrave; via all&rsquo;infinito.    Ecco, primo: la Formula Uno non &egrave; pi&ugrave; lo sport che era stato, in senso valoriale. Secondo, questa Formula Uno cos&igrave; concepita fa schifo.&nbsp;  &Egrave; un torneo di regolarit&agrave; veloce, non pi&ugrave; uno sport estremo. &Egrave; un burraco che va di fretta, un confronto per il quale viene richiesto il galantomismo, il prego s&rsquo;accomodi, la flemma e l&rsquo;adrenalina bassa degli scacchi subacquei, mentre, fino aprova contraria, il Motorsport &egrave; una galassia di discipline sportive in cui, volenti o nolenti, ci si gioca la pelle confortati da una percentuale di rischio normativamente, filosoficatemente e moralmente ragionevole ma mai e poi mai - ficcatevelo bene in testa - dicevo, mai e poi mai assente. Perch&eacute; il rischio c&rsquo;&egrave; sempre. Piaccia o meno.    Invece questi, no. Hanno deciso di intervenire sempre e comunque. Nei test, abolendoli, nelle prove e nelle qualifiche, paranoidilizzandole col terrore dell&rsquo;impeding. In pit-lane, con la terrorizzante spada damoclea dell&rsquo;unsafe release, in gara con qualsiasi immaginabile e, ormai, inimmaginabile, scusa per intervenire, cazziare, inibire, regolare, coartare, obbligare qualsiasi pilota in pista, di fatto intimidiendo chi corre molto pi&ugrave; che educandolo a correre.  Lo dico da tempo: il modello della Formula Uno che viene contrabbandato &egrave; quello della massima disciplina mondiale dei compitini. Rischia pochino, sorpassa perbenino, parla pochino e pianino, guida dolce e simpatichino e, vedrai, consegnando pulitini tanti bei compitini sarai un campioncino.    Hanno cominciato squalificando circuiti bellissimi, poi parti di loro, polverizzando frazioni memorabili di piste - vedi Hockenheim e la rientrante Zandvoort, che a forza di subire massacri e attrarre sponsorizzazioni imperiali &egrave; incredibilmente ma spiegabilissimamente passato da circuito devastato a impianto del futuro, pensa te - quindi l&rsquo;opera di pulizia etnica della F.1 s&rsquo;&egrave; concentrata sui piloti e sul pubblico. Di pubblico ne vogliamo con la grana - al paddock club o davanti alla Tv fa lo stesso - e fuori dalle palle tutti gli altri.&nbsp;  Quanto ai piloti, i pestaggi regolamentari e normativi ormai gli hanno messo un&rsquo;ansia addosso tale, per cui, fateci caso, i veri attacchi s&rsquo;effettuano con gli undercut e, una volta passati i tre quarti di Gran Premio, in pista di vere infilate non ne azzarda pi&ugrave; nessuno, hai visto mai che per una frenatina ritardata e un nolder sbilenco non si finisca sotto processo, con quel che costano gli avvocati.  Cose cos&igrave;, insomma.&nbsp;  Dai, cari Signori del Vapore e Mammasantissima di questa F.1, piantatevela. Non ha colpa chi fa lo steward, la responsabilit&agrave; &egrave; la vostra, che volete comandare, straguadagnare e godervi il giocattolo senza troppe rotture di maroni, addomesticando la bestia feroce che era una volta la massima espressione dell&rsquo;automobilismo e non solo, rendendola miagolante, moscia e castrata, sempre pi&ugrave; simile a un gattuccio d&rsquo;appartamento.  Al giorno d&rsquo;oggi, se avessero avuto a che fare con teste come le vostre, Gilles Villeneuve sarebbe stato costretto ad andare da uno strizzacervelli e Alessandro Zanardi avrebbe consegnato la vittoria a Bryan Herta, quel leggendario pomeriggio a Laguna Seca 1996.  Volete una F.1 somigliante sempre di pi&ugrave; al mondo orrendo di tutti i giorni da cui, da un secolo a questa parte, la gente fugge per andare a sognare nelle corse e con le corse.  Forse capite tanto di business administration e di come rimpolpare conti in banca, segnatamente, nella fattispecie, i vostri a danno dei nostri di appassionati, ma di vita, di onore, di dignit&agrave; sportiva, di spina dorsale elevata a valore, proprio non capite una mazza.  Il problema non &egrave; solo di Vettel, della Ferrari, di Binotto o chicchessia. La storiaccia orrenda del Gp del Canada &egrave; un campanello, anzi, un campanone d&rsquo;allarme che dovrebbe far insorgere tutti i veri appassionati, compresi quelli ai quali la Rossa manco sta simpatica.  Una F.1 cos&igrave; &egrave; sbagliata nella filosofia, nella scala valoriale, nelle sue preleggi ispiratrici e, di conseguenza, in quello che accade in pista al verificarsi di ogni situazione apparentemente critica.  E vergogna due volte, cari reggitori della baracca, perch&eacute; questa brutta pagina di sport passa agli archivi proprio in Canada, la patria del Rosso 27, su un tracciato intitolato a un grande pilota e soprattutto a un uomo meraviglioso che si chiamava Gilles Vileneuve, il quale per tutta la carriera rischi&ograve; entro e oltre il limite non mettendo mai nessuno in pericolo, se non se stesso.&nbsp;  Proprio per questo, da qui in avanti, i giochi sono chiari e ciascuno dica democraticamente la sua. Cosa volete voi, ora &egrave; ben chiaro e lo era pure prima.&nbsp;  Prendete dunque atto che i veri appassionati, molto umilmente ma altrettanto fermamente, dopo la serataccia di Montreal, non la vogliono pi&ugrave;, una Formula Uno come questa.  Segui Autosprint anche su Instagram 

In Canada non &egrave; stata offesa solo la Ferrari ma il concetto stesso di sport estremo. La colpa non &egrave; dei giudici, ma di chi gli detta principi contrari al motorsport puro

Chi vuole una F.1 per voci bianche si dia alla lirica

Questo articolo mi gustava tanto d&rsquo;intitolarlo semplicemente &ldquo;sogno di una notte di mezza primavera&rdquo;, l&rsquo;ho fatto e mo&rsquo; ve lo racconto.  C&rsquo;entra il Gran Premio della Cina, che mi si ripropone come la parmigiana, e c&rsquo;entra una certa voglia, un po&rsquo; romantica e un po&rsquo; nostalgica, di rivedere all&rsquo;opera oggi Enzo Ferrari, per risolvere i problemi della Ferrari medesima con la sua testa e con la sua personalit&agrave;.  Prendetelo come un semplice gioco, volutamente dolce ma anche no.  Vedete, torno ai giorni belli, ai miti fondanti, ma mica alla poesia, no, no, piuttosto, ai principi strutturali espressi dal padre fondatore del Cavallino Rampante.  Il Drake diceva che se le cose non andavano bene, prima bisognava provare a cambiare le macchine.&nbsp;  Poi, se il problema non si risolveva, era ora di cambiare gli uomini, in pista e a bordo pista.&nbsp;  Infine, di fronte a risultati ancora deludenti, bisognava prendere il coraggio a due mani, battere i pugni, fare il diavolo a quattro e cambiare le regole del gioco, evidentemente troppo favorevoli all&rsquo;avversario.  Non sto dicendo che sia giusto, sportivo, auspicabile e dolce farlo, ma non c&rsquo;&egrave; altra via.  Ho come la sensazione - pur provando fiducia per Mattia Binotto in quanto tale -, che di questo passo non si vada da nessuna parte.&nbsp;  &nbsp;  Bilancio turboibrido monocolore  Dal 2014 a oggi dei 123 Gp turboibridi, 81 ne ha vinti la Mercedes, a segno in dieci mondiali su dieci. E adesso (ri)eccola, con tre doppiette in tre gare.  Di cosa altro vogliamo parlare? Il problema non &egrave; tecnologico, umano, di teste da rasare, appuntire o tagliare, ma di forza sistemica della Ferrari, di licenza d&rsquo;incidere nel suo mondo, nel brodo primordiale della F.1.  Il sogno, dicevo. Oppure, per dirla tra lo sciamanico e il manageriale, la visione. Ovvio, impossibile, ma a suo modo significativa, di cosa avrebbe fatto Enzo Ferrari a proposito di questa F.1 turboibrida.  Okay, l&rsquo;ho avuta e ve la racconto.    La visione del Drake con Gozzi  Il Drake, in sintesi, avrebbe preso Chase Carey o chi per lui di Liberty Media, e, inviatatolo a Maranello, insieme a emissari della Federazione gli avrebbe detto davanti a sontuosi piatti di tortellini in brodo, con rispetto parlando e con un Franco Gozzi costernato, ma ficcante nela traduzione: &laquo;Guardi, io del semi elettrificato, della F.1 che guarda al futuro e all&rsquo;ecosensibile, nonch&eacute; del turbo ibrido e della Mercedes messa fin dall&rsquo;inizio in condizione di stravincere, ne ho totalmente e sinceramente i coglioni pieni. Le Ferrari di F.1 non devono&nbsp;mica andare a elettricit&agrave;, cos&igrave; come Charlize Theron non va in giro con burqa e i cosciali da pescatore. Me ne frego di sostenibilit&agrave;, segnali politically correct e anime belle per regalare festa, premi e gloria sempre ai soliti. Bravi ma anche cos&igrave; furbi da esser e sembrare&nbsp; bravi solo loro. Da cinque anni avete stravolto completamente e sterilmente il concetto di motore trasformandolo in power unit e, di fatto, al di l&agrave; delle chiacchiere delle anime belle, regalando a chi era strutturalmente pi&ugrave; prontissimo, prossimo e preparato a quel salto nel buio, ossia alla Mercedes, un vantaggio immenso, quasi incolmabile sugli avversari e a oggi difficilmente quanto duramente fin solo pareggiabile. No, ora basta. Azzeriamo tutto, tornino i V12 aspirati, tornino i test senza calmiere, torni la mia pista di Fiorano, altrimenti da fine anno la Ferrari se ne va a correre altrove. Lei si tenga la sua F.1 diventata una specie di simpatica Smart Cup per semielettriche tutta kartodromi e simulazioni e, tranquillo, ordini pure anche una bella bistecca, ch&eacute; il conto di oggi lo offro io&raquo;.    Cose sognate  Mio Dio, quanto sto meglio solo a pensarle e a sognarle, queste cose. Che mi e ci fanno compagnia molto pi&ugrave; di un&rsquo;auspicabile riscossa Ferrari in quel di Baku.    Perch&eacute; dopo tutto, passati questi altri anni di digiuno, me ne frega e spero sempre di meno su una Ferrari che batta la Mercedes, ma vorrei tanto - pi&ugrave; semplicemente, profondamente e orgogliosamente - una Ferrari che sul piano politico, della pura realpolitik, del potere sportivo e della capacit&agrave; di farsi ascoltare, tornasse ad essere davvero e per sempre la Ferrari. 

Un Gp di Cina mal digerito peggio di una parmigiana ispira la visione di cosa avrebbe fatto Enzo Ferrari con questa F.1 turboibrida

Sogno d&rsquo;una notte di mezza primavera&nbsp;

Una classifica finale come tante altre, quella del Gp del Bahrain, ma all&rsquo;interno di una gara palpitante e rivoluzionaria. Un bengala all&rsquo;orizzonte che annuncia qualcosa di nuovo, di bello e di grande, nel cielo sempiterno della F.1.  Con una stella che adesso ha un nome e pure un cognome: Charles Leclerc, astrale dominatore in prove libere, qualifiche e gara e costretto a rallentare nel finale solo per un guaio di affidabilit&agrave;.  Tanto da creare un&#39;onda d&rsquo;urto mediatico-emotiva impressionante e gi&agrave; portatrice di una nuova realt&agrave; ricchissima di sviluppi nel futuro immediato e non.    Perch&eacute; altro che tifo per Leclerc... No, dopo Sakhir per lui il race fan ferrarista prova di pi&ugrave;.&nbsp;  Charles &egrave; un campione allevato dalla Rossa, l&rsquo;unico da decenni a questa parte in grado di sovvertire possibili gerarchie di scuderia o anzianit&agrave; che fanno grado. &Egrave; un campione pazientemente coccolato e accompagnato a esprimere il suo talento al calduccio del focolare di casa Ferrari.  Su, &egrave; ora di prenderne atto: in Bahrain &egrave; esplosa la Febbre di Leclerc.  &Egrave; chiaro che il segnale politico-agonistico-meritocratico che arriva da Manama &egrave; ineludibile. E rilancia ancor di pi&ugrave; quello che lo scorso anno giorno dopo giorno stava diventando sempre pi&ugrave; il testamento mai aperto e realizzato di Sergio Marchionne: il Teorema Leclerc. Quale unica, possibile ed efficace strategia Ferrari dal punto di vista umano, per cercare di contrastare nel modo migliore lo strapotere Mercedes. E avere la chance di poter contare su un manico freddo e spietato, capace di mettere in dubbio l&rsquo;autostima e l&rsquo;imperforabilit&agrave; di un campionissimo dal nasino all&rsquo;ins&ugrave; quale Lewis Hamilton &egrave;. In fondo, la fretta, la prontezza e l&rsquo;inequivocabile buon gusto con cui il campionissimo inglese &egrave; andato a complimentarsi con Charles sia nel dopo qualifiche per come aveva trionfato e nel dopo gara per come aveva perso, parlano chiaro.  Con uno come Leclerc, la pacchia potrebbe essere finita, l&agrave; davanti. Hammer sa benissimo che il monegasco &egrave; un martello che a forza di Bam! Bam! Bam! pu&ograve; far male davvero e lo stesso Max Verstappen &egrave; avvisato.&nbsp;  In questo momento Charles sembra avere pregi che sono l&rsquo;esatto contrario del punto debole di cui sta soffrendo da quasi otto mesi Sebastian Vettel: velocit&agrave; sul giro secco tale da artigliare la pole se la macchina l&rsquo;aiuta, unita a una freddezza in condizioni gara per piazzare sorpassi risolutivi a una manciata di secondi dal suo unico e duplice errore in tutto il weekend del Bahrain, con quell&rsquo;esitazione al via e col sorpasso subito da Bottas. Mezzo giro sbagliato e poi un altro mezzo giro da extraterrestre. Come se la mente di Charles avesse resettato il programma. O, per dirla alla Osho, ah&ograve;, avesse provato col classico spegni e riaccendi al cervello. Ecco, questa non &egrave; solo classe, forza, talento, no, c&rsquo;&egrave; dell&rsquo;altro. Se un pilota fa una prodezza gigantesca del genere, vuol dire che all&rsquo;interno dell&rsquo;abitacolo pu&ograve; anche contaresu due immensi, monumentali e michelangioleschi coglioni quadrati.    Allora, gira gira, stavolta fare dietrologia non &egrave; lo sport vigliacco dei rimpianti facili, ma l&rsquo;onore dovuto, la gratitudine tardiva verso chi uno scenario del genere l&rsquo;aveva immaginato prima di tanti altri. Anzi, di tutti. Visione, la chiama qualcuno. Qualit&agrave; magica e scientificissima, mix sconvolgente, tra il massimo dello sciamanico e il pi&ugrave; raffinato talento manageriale. Sergio Marchionne la visione l&rsquo;ha avuta: tanto e quasi sempre. Non solo davanti al computer, su piazza affari o dietro una scrivania, ma anche, evidentemente, dalle parti del muretto, nel paddock e dentro il box Ferrari.&nbsp;  E allora, dopo un weekend cos&igrave;, essere ferraristi o meno poco importa. Se si guarda e si legge dolcemente la storia recente, non si pu&ograve; non sentirsi assaliti da rabbia montante. Ma, attenzione, nella vita esiste una rabbia buona e una rabbia cattiva, proprio come accade col colesterolo. E questa non &egrave; la rabbia che distrugge, ma quella che costruisce. Quella bella sana, che ti fa venire un groppo in gola. Che ti fa spegnere la Tv che non vedi l&rsquo;ora di riaccenderla per il prossimo Gp.&nbsp;  Perch&eacute; adesso chiunque ama le grandi corse e le belle storie, sente d&rsquo;aver contratto un debito morale immenso. Un debito, s&igrave;, col dna ancora non premiato e baciato dal trionfo liberatorio di Charles Leclerc. Con la sua esaltante, fragile e poetica cavalcata verso un successo che sarebbe stato il primo iridato per un ragazzo formatosi alla Ferrari Drivers Academy.    &Egrave; un credito acceso col destino, una ricevuta morale che esige riscossione, un riscatto che adesso affascina, avvince, commuove, avviluppa e coinvolge, come se fossimo tornati agli anni ruggenti della F.1 la quale faceva piangere prima di rabbia e infine di gioia. Il futuro Ferrari profuma di passato prossimo e la sua realt&agrave; pi&ugrave; bella coincide col sogno di un uomo che non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;: il Presidente che fu.&nbsp;  E del suo testamento finalmente aperto, letto in Bahrain e composto da due parole dal suono dolce, franzoso e carico di domeniche cui aneliamo e che a lungo ricorderemo: Charles Leclerc, viso pulito sempre coperto da un velo di pudica malinconia. Insieme a lui, il solo ferrarista che esce sicuro vincitore morale, &egrave; quello che meno ti saresti aspettato: rest easy, Sergio Marchionne.  &nbsp; 

Il messaggio che arriva dal Bahrain &egrave; agonistico-astrale e indica la nascita di un nuovo punto di riferimento per la Ferrari e il suo tifo.&nbsp;

Leclerc &egrave; roba da Febbre!

Il messaggio chiarissimo Valtteri Bottas lo ha inviato via radio nel giro di rallentamento, subito dopo aver vinto la gara australiana: &ldquo;A coloro che li riguarda, andate affan...&rdquo;. Chiaro, no? Un messaggino mica tanto in codice regalato in diretta ai criticoni dell&rsquo;anno prima. E in effetti ci&ograve; che &egrave; accaduto nel Gp di Melbourne deve rappresentare una lezione tosta e un bagno d&rsquo;umilt&agrave; non tanto e non solo per Lewis Hamilton - il quale appena sceso di macchina aveva la faccia di un negoziante che ha le Fiamme Gialle in bottega -, ma soprattutto per tutto il Circus e noi giornalisti in particolare.  Perch&eacute; dal weekend australe, il primo di una lunga stagione che ci vedr&agrave; in prima linea fino a inizio dicembre, esce esaltato, riabilitato e aggiungo giustamente valorizzato il pilota pi&ugrave; pericolante dell&rsquo;intero Circus iridato.    Quello che era dipinto come una specie d&rsquo;ingiallito nonnetto con l&rsquo;avvoltoio sopra la spalliera, leggasi il terzo pilota del team Mercedes Esteban Ocon, il quale ha assistito con muto imbarazzo per tutta la gara alla torrenziale cavalcata vincente di Bottas, dallo spegnimento dei semafori ala benedizione del sistema elettronico che da questo Gp ha reso solo di parata la bandiera a scacchi.&nbsp;  L&rsquo;Ocon medesmo che poi ha rivolto al suo caposquadra e patron Toto Wolff uno dei sorrisi pi&ugrave; finti nella storia delle labbra arcuate, dal giorno in cui Alain Prost ne abbozz&ograve; uno smile a Marlene Knaus, moglie di Niki Lauda che gli aveva appena fottuto il mondiale per mezzo punto, a Estoril 1984. A proposito, perch&eacute; vedi, la mente vaga, ma non sempre a sproposito: forza Niki, torna presto, perch&eacute; per evitare di dire e pensare banalit&agrave; questo mondo della F.1 ha sempre pi&ugrave; disperatamente bisogno del tuo ritorno sulla scena, pensante e bello parlante.  Reduce da un brutto periodo     Anche perch&eacute; &egrave; da pi&ugrave; di un anno che di cavolate se ne sentono dire a bizzeffe. Per esempio che Valtteri Bottas fosse un mezzo paracarro pericolante, in attesa d&rsquo;essere collocato ai servizi sedentari, quando in realt&agrave; il finlandese dal 2017 a oggi rappresenta la soluzione perfetta alla situazione interna della Mercedes. Basterebbe storicizzare e tornare agli ultimi giorni del concitato 2016 per ricordare un team Mercedes vincente ma dal clima irrspirabile, dopo il mondiale vinto da Nico Rosberg, il finalaccio litigioso con Hamilton nei team radio di Abu Dhabi, seguito dall&rsquo;inatteso ritiro per rinuncia psicologica nel neocampione che lascia inquietantemente vacante l&rsquo;abitacolo pi&ugrave; ambito del mondo. E chi ti arriva? Valtteri Bottas, il pilota che non sogna nessuno. Tranquillo, felpato, con quel sorriso timido tipico di chi si vuol scusare d&rsquo;esistere.&nbsp;  Boy della scuderia manageriale di Toto Wolff e proveniente dalla neomoribonda Williams, quindi, figuriamoci, deve baciarsi i gomiti e non stufarsi mai di dir grazie e ringraziare tutti, madonna di Pompei included. Ebbene, lo ricorderete, alla prima stagione Valtteri Bottas fa tutto ci&ograve; che da lui &egrave; lecito e auspicabile attendersi.  Andando a vincere gi&agrave; alla quarta gara con la Mercedes, a Sochi 2017, facendo il bis in Austria e il tris nel finalone di Abu Dhabi, tanto da piazzarsi buon terzo nel mondiale. Garantendo un clima tranquillissimo nel team, pur sopravanzando non spesso ma benvolentieri a tratti il disumanamente bravo Hamilton in qualifica. Quindi arriva il disgraziatissimo 2018, nel quale Valtteri - peraltro meno in palla della stagione precedente, questo s&igrave; -, diviene improvvisamente il puntaspilli dell&rsquo;anno. Anzitutto perch&eacute; non vince neppure un Gran Premio, pur trovandosi al volante della pigliatutto Mercedes.    Cio&egrave;, momento: il Raikkonen del ritorno in Ferrari ci mette una vita a vincere una gara - e meritatamente - ad Austin 2018, poi e prima il nulla per quasi cinque stagioni, ma Kimi merita la stima e l&rsquo;affetto dell&rsquo;universo mondo, ci mancherebbe. Perch&eacute; a Montecarlo e Ungheria 2017, quando avrebbe trionfato a occhi chiusi, &egrave; stato costretto a rinunciarci per fare un favore al capitanissimo Vettel lanciato verso (ehm, quasi) l&rsquo;iride.  Ecco. Se il ragionamento vale a scusare e a giustificare, anzi anche per certi versi giustamente a compiangere e a indignarsi nei confronti dei mancati successi del malcapitato ma fedelissimo Raikkonen, per quale motivo la stessa esimente, scriminante e giustificazione non dovrebbe valere per Valteri Bottas?  Un 2018 da dimenticare   Perch&eacute; per lui il 2018 si rivela catastrofico non solo e non tanto per quanto va o non va in pista, ma per come viene utilizzato dalla squadra tedesca. Ossia pervicacemente e implacabilmente nel ruolo di assistman, laddove assistman &egrave; un termine elegantissimo che potrebbe anche essere sostituito in modo elegantissimo con quello meno charmant di scopetto del cesso. perch&eacute; tutte le volte in cui c&rsquo;&egrave; da far da tappo a qualcuno, da distruggere la gara di un rivale o da cedere una posizione buona, buonissima a uso e consumo del caposquadra, &egrave; a Bottas Valtteri che tocca e zitto. Il quale ubbidisce e zitto ogni volta con la nuvoletta sopra il casco che reca scritto &ldquo;I keep familiy&rdquo; (ah&ograve;, tengo famija). Per&ograve; due pole le strappa comunque, mentre l&rsquo;anno prima era partito al palo quattro volte. Niente male, no? Dai, su se pensate che sul giro secco contro Hamilton, a parit&agrave; di macchina sia facile fare 7 a 13 nel 2017 e 6 a 15 nel 2018, provate pure, poi ne riparliamo. E dello scorso anno in gara ne vogliamo parlare davvero? In Cina pu&ograve; trionfare ma gli distrugge la gara la Safety Car, a Baku sta vincendo, quando una foratura della quale non ha nessuna colpa gli impedisce la gioia del trionfo e a Sochi, tracciato sul quale ogni anno si dimostra belva incontenibile - occhio che gli gusta pure l&rsquo;A1 Ring, in Austria -, in qualifica tiene dietro il compagno di squadra di 145 millesimi, ma poi in corsa &egrave; costretto ancora una volta a comportarsi come da copione, ossia seguendo team orders che lo vogliono ovviamente cedere il passo a sua maest&agrave;, Hamilton, il Sciur padrun da li beli braghi bianchi.&nbsp;    Baku e Sochi. Due vittorie meritatissime e sfumate per motivi che non hanno nulla a che vedere con le sue capacit&agrave; di guida, eppure finire il 2018 a zero tituli equivale a dover essere messo in croce per manifesta indegnit&agrave;.&nbsp;  La verit&agrave; un po&rsquo; scomoda &egrave; che noi italiani spesso e non sempre ragioniamo a cavolo di cane.&nbsp;  Mettiamoci d&#39;accordo sul metodo   Quando cede il posto e una vittoria un ferrarista al suo capitano, &egrave; un gesto nobile di virile e cameratesca consonanza d&rsquo;amor del pi&ugrave; bello dei color. Quando a comportarsi nello stesso identico modo &egrave; obbligato uno della squadra rivale e per questo non certo amata, ecco che costui diventa un cameriere, signors&igrave;, moscione e antisportivo puro e odioso. Con l&rsquo;aggravante che se poi all&rsquo;occorrenza &egrave; pure utilizzato per fare da tappo, apriti cielo. Mentre, che ne so, quando Rob Smedley pregava ostentatamente il ferrarista Felipe Massa di distruggere la gara di Lewis Hamilton a Singapore 2011 - dicendo sportivissimamente un memorabile e udito in mondovisione: &ldquo;hold Hamilton as much we can. Destroy his race as much we can, c&rsquo;mon, boy! -, aveva reso il brasiliano ancor pi&ugrave; simpatico proprio poich&eacute; ben uso ad obbedir tacendo. Dai, a volte &egrave; cos&igrave; che va il mondo. Se poi Valtteri a Monza 2018 ammette candidamente: &ldquo;Eh, s&igrave;, per strategia del team dovevo rallentare la corsa del ferrarista Raikkonen&rdquo;, ecco che viene gi&ugrave; il teatro.&nbsp;  Chiudiamo con l&#39;emotivit&agrave; da bar...   Smettiamola di giudicare in base all&rsquo;emotivit&agrave; da baretto, all&rsquo;implacabilit&agrave; di quando scolpiamo sul granito i presunti torti vergando furbamente sulla cancellabilissima polvere gli stessi identici sgarri, quando sono gli altri a subirli.&nbsp;  Ritariamo queste bilance, please, approfittando proprio del weekend di Melbourne, per dire, semplicemente, onestamente e oggettivamente che Valtteri Bottas da Nastola &egrave; un signor pilota, un gran bel gregario e il meritatissimo vincitore del Gp d&rsquo;Australia 2019.  Gran Premio che per la settima volta nelle ultime otto edizioni va al pilota che non deteneva la pole position. Quanto a Valteri Bottas, il solo che ha titolo per giudicarlo adesso &egrave; proprio Esteban Ocon, che sperava e ora solo sogna di prendere il suo posto sulla seconda Mercedes W10. Il sorriso teso, contrito e disperato con cui il francese dal box accanto a Toto Wolff ha accolto il quarto successo in F.1 del biondo pilota titolare della Mercedes &egrave; la miglior recensione alla ritrovata stima e autostima di Valtteri. Che non sar&agrave; il pi&ugrave; bravo del mondo, ma resta uno che quando si sveglia bene e si trova sul circuito amico e nel momento giusto, poi son dolori per tutti. E la prossima volta che ci tocca parlare di Bottas non pensiamo a lui come un paracarro o peggio ancora da cameriere. Assumendo per lezione quanto altre volte, parlando male di lui, abbiamo rischiato d&rsquo;essere noi i camerieri: camerieri dei nostri pregiudizi e dei nostri paraocchi.&nbsp; 

Il finlandese della Mercedes trionfando in Australia spiega al mondo che anche un gregario sa convincere e vincere

La giusta rivalutazione di Valtteri Bottas

Ha iniziato come &egrave; suo costume: a razzo. Lo status di titolare della Ferrari, Charles Leclerc, il pilota della Rossa numero 16, lo ha battezzato alla grande nei test di Abu Dhabi, svettando il secondo giorno. Per ora non dimostrando nulla di definitivo, ma dando segnali in proiezione galvanizzanti e carichi di premesse e promesse. Guai affidarsi ai proclami prematuri, mai caricarlo di troppa pressione, che sarebbe solo dannosa in questo momento, eppure a dirgli bravo e a dargli il benvenuto, in fondo, &egrave; il minimo sindacale dell&rsquo;educazione, visto quant&rsquo;&egrave; promettente, consistente e volitivo il 21enne neo-compagno di squadra di Sebastian Vettel. Comunque vada, in questo momento strutturalmente e geneticamente Charles &egrave; l&rsquo;uomo ideale per questa Ferrari, reduce da una stagione a corrente alterna e nel pieno dell&rsquo;operazione di recupero morale e psicologico del caposquadra Seb Vettel, fiaccato da una serie preoccupante di errori che hanno consegnato prima del tempo il mondiale Piloti a Lewis Hamilton. Ebbene, in questo nuovo quadro Charles ha l&rsquo;intelligenza e la serenit&agrave; per inserirsi nel team rispettando chi e cosa trova, ma nello stesso tempo possiede la classe per poter dire la sua e fungere da pungolo e piano di riscontro, oltre che da cartina tornasole e interfaccia pronto al dialogo e allo scambio d&rsquo;informazioni. Consistente come il diamante, dialetticamente sottotraccia, &ldquo;soft spoken&rdquo; direbbero i britannici e puntualmente signorile, Charles, malgrado l&rsquo;et&agrave; da post-teenager &egrave; gi&agrave; al top quanto a stile e approccio comunicativo, il che non &egrave; male. Eppoi va sottolineato che proprio in qualifica potrebbe essere lui a mettere ancora pi&ugrave; pepe alla Rossa, considerando che quest&rsquo;anno gli &egrave; bastata una Sauber per entrare nove volte su ventuno tra i top ten in qualifica, con un miglior risultato di settimo a Sochi e Interlagos. Curiosamente, la miglior prestazione assoluta in Sauber l&rsquo;ha invece staccata il compagno Marcus Ericsson, strepitoso sesto proprio a Interlagos, ma complessivamente Charles lo ha asfaltato sul giro secco in prova con un 17-4 nei confronti diretti che non lascia spazio a dubbi. Tra l&rsquo;altro due punti a suo favore Marcus li aveva messi a segno proprio nei primi due Gp, quando Charles era ancora piedidolci assoluto, in F.1. Quanto alla comparazione della redditivit&agrave; in gara, 39-9 &egrave; lo score dei punti sommati dai due. Da ricordare anche che in Gp2 con l&rsquo;italianissima Prema, nel 2017 Leclerc aveva anche ottenuto 8 pole, battendo cos&igrave; il record appartenente a Vandoorne, tanto per dare ulteriore credito alla sua nomea d&rsquo;affondatore puro da qualifica. Per la cronaca il primato di Charles resta tuttora valido visto che quest&rsquo;anno il neo-campione George Russell, protetto della Mercedes e neo-acquisto Williams, con la Art ha ottenuto 5 partenze al palo. Chiss&agrave; che non si riveli proprio Leclerc, cammin facendo, uno stimolo aggiuntivo, un pungolo e anche la ragione indiretta di un&rsquo;auspicabile, rinnovata e ficcante aggressivit&agrave; in prova dello stesso Vettel... Intanto, per ora, a Leclerc non si deve n&eacute; si pu&ograve; chiedere troppo. A lui il compito di crescere gradualmente, di costruirsi all&rsquo;interno del top team pi&ugrave; difficile e esigente, in un momento particolarmente delicato nella storia del Cavallino Rampante in F.1. L&rsquo;unica cosa certa &egrave; che, dopo avero visto ancora una volta cos&igrave; veloce, dotato di talento, sereno e determinato Charles Leclerc &egrave; divenuto il motivo pi&ugrave; nuovo e serio che gli appassionati hanno per attendere con trepidazione la prima corsa dell&rsquo;anno. Non certo perch&eacute; ci si aspetta subito prodezze da lui, ma solo perch&eacute; regna la piena e duplice certezza che possa fare bene perch&eacute; incarna ora a Maranello il ragazzo giusto al posto giusto. 

Calma coi proclami, certo, ma la promozione a titolare del monegasco &egrave; la scossa che ci voleva per questa Ferrari

Grazie, Leclerc, per farci desiderare il 2019

&Egrave; Joel Eriksson il vincitore del Masters F.3 2016. Il diciottenne&nbsp;svedese si era imposto nella gara di qualifica di sabato, assicurandosi la piazzola&nbsp;del poleman dopo che in qualifica aveva colto il secondo tempo. Il pilota del team Motopark, al via &egrave; stato impeccabile tenendo la prima posizione e imboccando per primo la mitica curva Tarzan. Dietro di lui, si &egrave; infilato il compagno di squadra Niko Kari che ha avuto la meglio su Callum Ilott, decisamente il grande deluso del weekend. Dopo pochi giri, anche Sergio Camara con un bellissimo sorpasso alla Curva 3 ha avuto ragione di Ilott estromettendolo anche dal terzo gradino del podio.  La gara ha quindi visto le prime tre posizioni occupate dai piloti Motopark, squadra tedesca che ha festeggiato una indimenticabile tripletta. Ilott ha chiuso appena quarto dopo aver dominato le prove libere e la sessione di qualifica. Alessio Lorandi, ottavo al via, &egrave; stato passato da David Beckmann al via, ma l&rsquo;italiano si &egrave; ripreso la posizione dopo pochi giri chiudendo ottavo. Gran weekend quindi per Eriksson, al primo anno di F.3 e gi&agrave; capace di inserire il suo nome nel prestigioso albo d&rsquo;oro del Masters oltre che essere il miglior rookie della F.3 europea.  Classifica gara finale Masters F.3 a Zandvoort: 1 -&nbsp;Joel Eriksson (Dallara-VW) - Motopark - 25 giri 38&#39;53&quot;053 2 -&nbsp;Niko Kari (Dallara-VW) - Motopark - 0&quot;838 3 -&nbsp;Sergio Camara (Dallara-VW) - Motopark - 5&quot;816 4 - Callum Ilott (Dallara-Mercedes) - VAR - 6&quot;625 5 - Alexander Albon (Dallara-Mercedes) - Hitech - 7&quot;256 6 - Pedro Piquet (Dallara-Mercedes) - VAR - 9&quot;135 7 - Anthoine Hubert (Dallara-Mercedes) - VAR - 9&quot;523 8 - Alessio Lorandi (Dallara-VW) - Carlin - 17&quot;195 9 - Sam MacLeod (Dallara-Mercedes) - Fortec - 18&quot;375 10 - David Beckmann (Dallara-Mercedes) - Mucke - 19&quot;428 11 - Tom Randle (Dallara-Mercedes) - Double R - 27&quot;448 12 - Harrison Scott (Dallara-Mercedes) - Hitech - 27&quot;937 13 - Colton Herta (Dallara-VW) - Carlin - 33&quot;652 14 - Ricky Capo (Dallara-Mercedes) - Fortec - 58&quot;806 15 - Ameya Vaidyanathan (Dallara-VW) - Carlin - 59&quot;768 16 - Guan Yu Zhou (Dallara-VW) - Motopark  Giro pi&ugrave; veloce: Guan Yu Zhou: 1&#39;31&quot;709 &nbsp; 

Lo svedese, al primo anno di F.3&nbsp;e gi&agrave; capace di inserire il suo nome nell&#39;albo d&rsquo;oro del Masters, oltre che essere il miglior rookie della F.3 europea.

Masters F.3 a Zandvoort, gara finale:&nbsp;trionfo di Eriksson

Pole position di Callum Ilott nella qualifica del Masters F.3 di Zandvoort. Il pilota britannico del team Van Amersfoort, gi&agrave; leader delle prove libere del venerd&igrave;, ha conquistato il miglior crono nei minuti finali della sessione. Ilott, che guida una Dallara-Mercedes del team Van Amersfoort (che ha la sede a pochi chilometri dal circuito) ha duellato con Joel Eriksson e alla fine l&rsquo;ha spuntata per 12 millesimi: 1&rsquo;29&rdquo;820 contro 1&rsquo;29&rdquo;832. Bravo lo svedese del team Motopark la cui Dallara-VW nelle libere aveva problemi di bilanciamento, poi brillantemente risolti. Con Ilott ed Eriksson in prima fila nella gara di qualifica, in seconda fila troviamo Alexander Albon (Hitech) che rientra nella F.3 per questa occasione in quanto partecipa al campionato GP3 che lo vede secondo in classifica, e Niko Kari (Motopark).  Albon aveva anche occupato la prima posizione, ma nel finale ha dovuto cedere ad Ilott ed Eriksson. L&rsquo;anglo-thailandese &egrave; stato chiamato dalla Hitech per rimpiazzare George Russell che ha preferito non partecipare al Masters anche se &egrave; presente nel paddock. Anche la Prema ha scelto di non essere al via del Masters e cos&igrave; manca il leader del FIA F.3, Lance Stroll, oltre al secondo in classifica Max Gunther. Tornando alla qualifica, terza fila per Guan Yu Zhou della FDA e Pedro Piquet, seguito dal padre tre volte iridato F.1. Alessio Lorandi &egrave; stato a lungo in lotta per un posto in seconda fila, ma negli ultimi due giri non &egrave; riuscito a migliorarsi ed &egrave; scivolato nono. Cinque i debuttanti assoluti che hanno scelto il Masters per saggiare l&rsquo;ambiente della F.3 europea: Harrison Scott (il pi&ugrave; rapido), Colton Herta, Ricky Capo, Tom Randle ed Ameya Vaidyanathan.  Lo schieramento di partenza della gara di qualifica:  1. fila Callum Ilott (Dallara-Mercedes) - VAR - 1&#39;29&quot;820 Joel Eriksson (Dallara-VW) - Motopark - 1&#39;29&quot;832 2. fila Alexander Albon (Dallara-Mercedes) - Hitech - 1&#39;29&quot;849 Niko Kari (Dallara-VW) - Motopark - 1&#39;29&quot;928 3. fila Guan Yu Zhou (Dallara-VW) - Motopark - 1&#39;30&quot;045 Pedro Piquet (Dallara-Mercedes) - VAR - 1&#39;30&quot;069 4. fila Sergio Camara (Dallara-VW) - Motopark - 1&#39;30&quot;098 Anthoine Hubert (Dallara-Mercedes) - VAR - 1&#39;30&quot;198 5. fila Alessio Lorandi (Dallara-VW) - Carlin - 1&#39;30&quot;234 David Beckmann (Dallara-Mercedes) - Mucke - 1&#39;30&quot;450 6. fila Harrison Scott (Dallara-Mercedes) - Hitech - 1&#39;30&quot;807 Colton Herta (Dallara-VW) - Carlin - 1&#39;31&quot;198 7. fila Sam MacLeod (Dallara-Mercedes) - Fortec - 1&#39;31&quot;398 Ricky Capo (Dallara-Mercedes) - Fortec - 1&#39;32&quot;195 8. fila Tom Randle (Dallara-Mercedes) - Double R - 1&#39;32&quot;325 Ameya Vaidyanathan (Dallara-VW) - Carlin - 1&#39;32&quot;408 &nbsp; 

Il pilota britannico del team Van Amersfoort, gi&agrave; leader delle prove libere del venerd&igrave;, ha conquistato il miglior crono nei minuti finali della sessione.

Masters F.3 a Zandvoort, qualifica gara 1: la pole &egrave; di Ilott

Dominatore delle prove libere e della qualifica, Callum Ilott si &egrave; &ldquo;addormentato&rdquo; al via della corsa di qualifica,&nbsp;che determina lo schieramento della finale. L&rsquo;inglese &egrave; cos&igrave; stato sopravanzato da Joel Eriksson che, imboccato al comando la prima curva, ha tenuto con sicurezza la prima posizione fino al traguardo. Un bel momento per lo svedese del team Motopark che schiera Dallara-Volkswagen, in quanto aveva anche vinto l&rsquo;ultima gara del FIA F.3 europeo a Spa prima della pausa estiva.  Con Eriksson imprendibile, Ilott con la Dallara-Mercedes del team Van Amersfoort si &egrave; dovuto accontentare del secondo posto tenendo d&rsquo;occhio negli specchietti Niko Kari, compagno di Eriksson e pilota del programma Junior Red Bull. Quarta posizione per Alexander Albon (Hitech) che ha controllato Sergio Camara, da settimo a quinto. Buon sesto Pedro Piquet mentre Alessio Lorandi ha concluso ottavo dopo un bel sorpasso su David Beckmann. Peccato per Guan Yu Zhou del Ferrari Driver Academy, quinto in griglia, che ha quasi stallato ed ha terminato decimo.  Classifica della&nbsp;gara di qualifica del&nbsp;Masters F.3 a Zandvoort:  1 - Joel Eriksson (Dallara-VW) - Motopark - 12 giri 18&#39;33&quot;323 2 - Callum Ilott (Dallara-Mercedes) - VAR - 1&quot;461 3 - Niko Kari (Dallara-VW) - Motopark - 2&quot;251 4 - Alexander Albon (Dallara-Mercedes) - Hitech - 5&quot;793 5 - Sergio Camara (Dallara-VW) - Motopark - 7&quot;670 6 - Pedro Piquet (Dallara-Mercedes) - VAR - 9&quot;792 7 - Anthoine Hubert (Dallara-Mercedes) - VAR - 10&quot;753 8 - Alessio Lorandi (Dallara-VW) - Carlin - 12&quot;022 9 - David Beckmann (Dallara-Mercedes) - Mucke - 12&quot;831 10 - Guan Yu Zhou (Dallara-VW) - Motopark - 13&quot;223 11 - Harrison Scott (Dallara-Mercedes) - Hitech - 19&quot;112 12 - Tom Randle (Dallara-Mercedes) - Double R - 25&quot;262 13 - Ricky Capo (Dallara-Mercedes) - Fortec - 31&quot;617 

Masters F.3 a Zandvoort, gara 1: Eriksson beffa Ilott

Una Formula E gi&agrave; alla sua seconda stagione ha gi&agrave; fatto capire agli appassionati che anche nelle corse si andr&agrave; sempre di pi&ugrave; verso la trazione elettrica. Questo futuro &egrave; per&ograve; molto pi&ugrave; vicino di quanto probabilmente immaginano molti. Dopo la presentazione della RoboRace, infatti, &egrave; arrivata anche quella della Electric GT World Series. In questo caso a correre non saranno delle monoposto, ma appunto delle vetture a ruote coperte, nello specifico le Tesla S P85+, sebbene saranno ammessi altri costruttori in seguito.  &laquo;&Egrave; dallo scorso ePrix a Monaco che abbiamo pensato seriamente alla possibilit&agrave; di creare una nuova categoria a zero emissioni&raquo;, spiega Mark Gemmell, fondatore della serie assieme ad Agustin Pay&agrave;. &laquo;Questa possibilit&agrave; - prosegue Gemmell - &egrave; diventata concreta quando si &egrave; constatato che la Tesla modello S era gi&agrave; pi&ugrave; che adatta e disponibile per una serie GT&raquo;.  &laquo;&Egrave; la migliore vettura 100% elettrica capace di correre anche sui pi&ugrave; grandi circuiti mondiali - aggiunge Pay&agrave; - con prestazioni e tempi sul giro anche migliori di molte GT a combustione interna. Offre una buona distribuzione dei pesi e un certo di gravit&agrave; bassissimo. Inoltre la grande coppia motrice sopperisce al peso che, senza modifiche, &egrave; sulle 2 tonnellate. Per questo l'abbiamo scelta come base di partenza, anche se accoglieremo qualsiasi altro costruttore interessato a partecipare&raquo;.  Le modifiche ammesse saranno quelle che vediamo gi&agrave; di solito su vetture di questa classe, mirate a migliorare l'assetto, la frenata e l'aerodinamica, oltre alla riduzione di peso. Non si parla invece di interventi sul motore, peraltro gi&agrave; in grado di offrire oltre 400 cv. Sono gi&agrave; stati condotti test in pista a Barcellona e Jarama, e la serie dovrebbe partire gi&agrave; nel 2017 con 7 gare, una delle quali potrebbe essere al Mugello (le trattative con varie piste europee sono in corso).  In aggiunta a tutto questo, va detto che quella con le GT elettriche non sar&agrave; la sola categoria "sostenibile" in arrivo l'anno prossimo. La Fia ha gi&agrave; dichiarato la propria ricettivit&agrave; a manifestazioni di interesse per una eKarting Cup mondiale con i kart elettrici. In questo caso la tendenza &egrave; quella di "appaltare" la fornitura di telai e motori, come gi&agrave; avviene nel caso della Formula E.  Oltretutto, in questo settore l'Aci Sport si &egrave; rivelata ancor pi&ugrave; avanti: gi&agrave; dall'anno scorso sono iniziate le discussioni per un campionato 2017 con i kart elettrici, e qualcosa potrebbe concretizzarsi anche a fine 2016. Attenzione inoltre a non sottovalutare la situazione solo perch&eacute; si parte con il karting: l'intenzione finale &egrave; infatti quella di porre le basi, di iniziare a fare esperienza con questa tipologia di trazione in modo da poter poi partire con una sorta di Formula Junior elettrica subito dopo.  A quel punto fra team universitari della Formula SAE (dove il settore elettrico &egrave; diventato molto importante) e squadre di kart, vi sarebbe una base di tecnici esperti e di possibili consulenti con cui vari altri team potrebbero pensare di iniziare a correre. Insomma, con le gare elettriche si stanno creando le condizioni per un'espansione molto pi&ugrave; rapida e vasta di quanto probabilmente saremmo portati a pensare allo stato attuale delle cose. Voi trovate questa prospettiva curiosa oppure inquietante?  Maurizio Voltini    &nbsp;

Arriva la Electric GT World Series in un 2017 che vedr&agrave; anche altre categorie "sostenibili" senza uso di carburanti fossili

Sempre pi&ugrave; elettrici: alla F.E si affiancheranno le GT

Terza vittoria in carriera nella Formula E, primo successo per la DS Virgin, leggi Citroen. La quarta prova di Buenos Aires ha proposto un confronto di altissimo livello tra il poleman britannico Sam Bird e un eccezionale Sebastien Buemi, della Renault e.Dams. I due colossi transalpini che hanno creduto nell&rsquo;elettrico e in questa categoria spinta dalla FIA, hanno offerto un grande spettacolo. Bird ha sempre tenuto la testa della corsa, prima difendendosi da Nicolas Prost (Renault e.Dams), poi da Lucas Di Grassi (Audi Abt Schaeffler), e infine da Buemi.  Lo svizzero si &egrave; prodigato in una rimonta che ha dall&rsquo;incredibile essendo partito 18&deg; e ultimo per un errore in qualifica, poi ammesso con sincerit&agrave; dall&rsquo;ex pilota Toro Rosso di F1. Buemi ha raggiunto la top 10 all&rsquo;8&deg; giro, dopo di che ha avuto ragione di Oliver Turvey e Loic Duval, recuperando altro terreno fino al cambio vettura che lo ha visto uscire dai box al 4&deg; posto dietro a Bird, Di Grassi e Sarrazin. Bravissimo nel gestire la vita della batteria, nonostante i recuperi, Buemi ha superato Sarrazin al 23&deg; giro e di Di Grassi al 27&deg; passaggio, dopo di che si &egrave; attaccato all&rsquo;ala posteriore di Bird fin sotto la bandiera a scacchi. Buemi tiene cos&igrave; il comando della classifica generale con 80 punti contro i 76 di Di Grassi e i 52 di Bird.  Sfortunato Antonio Felix Da Costa (Team Aguri) costretto al ritiro per problemi tecnici poco prima del pit-stop quando era salito 2&deg; con un gran sorpasso a Prost. Gara da dimenticare per Jerome D&rsquo;Ambrosio, urtatosi nel corso del 1&deg; giro con un rivale e costretto ai box per cambiare la gomma posteriore destra (e c&rsquo;&egrave; anche stato un problema con la pistola). Il sostituto di Jacques Villeneuve nel team Venturi, Mike Conway, ha colto un notevole 5&deg; tempo in qualifica, ma problemi tecnici e un testacoda lo hanno fatto concludere 15&deg; dopo avere tenuto a lungo il 5&deg; posto.  Massimo Costa   

L'inglese precede Buemi in grande rimonta nella prova di Buenos Aires con le monoposto elettriche. Terzo Di Grassi

Formula E: Bird esalta la DS Virgin

Con un comunicato nel quale si parla di "pausa in attesa di condizioni pi&ugrave; favorevoli", la Fast Lane Promotion ha reso noto con un certo rammarico che quest'anno non proseguir&agrave; con il campionato della Formula Renault 2.0 Alps, concentrando invece tutte le proprie attenzioni e risorse sulla Clio Cup Italia. Cessa cos&igrave; - si spera solo momentaneamente, ma la situazione generale la conosciamo tutti - una "carriera" durata 15 anni per questa categoria di successo ideata dalla Renault nell'ambito delle proprie serie promozionali.  Una categoria monomarca che ha promosso piloti di valore fin dalla sua prima edizione come Formula Renault 2.0 Italia, quando venne vinta da Felipe Massa. Altri piloti che hanno iscritto il proprio nome nell'Albo d'Oro della serie sono Pastor Maldonado, Kamui Kobayashi, Robert Kubica e Daniil Kvyat, con il russo arrivato al successo nel 2012, che come ben sappiamo sono arrivati tutti in F1.  Maurizio Voltini

Dopo 15 anni che questa categoria sforna piloti di rilievo, la Fast Lane Promotion interrompe il programma concentrandosi sulla Clio Cup Italia

Si interrompe la Formula Renault Alps

Hamilton non ha voluto commentare a Interlagos la vicenda sull&rsquo;incidente stradale a Montecarlo alla vigilia del Gp Brasile che ha creato non pochi imbarazzi nel team. Ma giorno dopo giorno emergono nuove indiscrezioni.  Inizialmente lui stesso aveva cercato di stemperare via twitter la vicenda scrivendo: &ldquo;Anche se alla fine non &egrave; affare di nessuno, ci sono persone che conoscono la mia posizione che cercheranno di approfittare della situazione e di guadagnarci. Nessun problema. Nessuno &egrave; rimasto ferito, che &egrave; la cosa pi&ugrave; importante &ndash; ha scritto ancora Lewis - Ma la macchina ovviamente &egrave; rimasta danneggiata e c'&egrave; stato un contatto molto leggero con un veicolo in sosta&rdquo;.  Ma quello che ha destato sorpresa e fatto sorgere pettegolezzi &egrave; la dinamica dell&rsquo;incidente. Accaduto nelle stradine del Principato, proprio alla curva del Loews, quello stesso tornante che Hamilton ha percorso migliaia di volte con la F1. Lewis &egrave; andato a sbattere contro un'auto parcheggiata (sembra una Mercedes, ironia della sorte...) mentre era al volante di una delle supercar pi&ugrave; potenti del garage di casa Hamilton: una Zonda F LH (dalle sue iniziali), la supercar modenese da circa 2 milioni di euro spinta proprio da un motore Mercedes V12 di 6 litri, da 780 cavalli.  Quello che lascia stupiti &egrave; che l&rsquo;incidente sia occorso a notte fonda, si dice verso le 4 del mattino, e sarebbe successo secondo le indagini della polizia perch&eacute; il piede di Hamilton si &egrave; incastrato fra pedale del freno e quello della frizione (la Zonda &egrave; una delle poche supercar &ldquo;dure e pure&rdquo;, ancora con cambio a leva) facendo perdere il controllo a Lewis che &egrave; andato a sbattere contro un&rsquo;auto parcheggiata. Un&rsquo;infortunio che pu&ograve; capitare a tante persone, magari per&ograve; non a un pilota di F1 a meno che non avesse riflessi annebbiati dalla stanchezza e dall&rsquo;alcol. Ma la polizia che ha fatto rilevamenti avrebbe avuto riscontri negativi dall&rsquo;alcool test, quindi proprio di errore di guida si tratterebbe...  L&rsquo;unico commento sulla vicenda - in Brasile il suo staff pr ha fatto muro sulle richieste di chiarimento - &egrave; quello che Lewis ha scritto sui social: &ldquo;Vi informo di questa vicenda perch&eacute; sento che tutti noi dobbiamo assumerci la responsabilit&agrave; delle nostre azioni. Pu&ograve; capitare a tutti di fare errori, ma ci&ograve; che &egrave; importante &egrave; che impariamo da questi per crescere&rdquo;.  Non &egrave; la prima volta che Hamilton viene coinvolto in un incidente stradale o in vicende comunque legate a violazioni del traffico. Nel 2010 in Australia mentre sorpreso dalla polizia mentre faceva sgommate con una Mercedes Amg stradale e multato pesantemente di 500 dollari. La vicenda ebbe anche piccoli strascichi giudiziari.  In ogni caso le preoccupazioni per l&rsquo;incidente non gli hanno impedito di stabilire il miglior tempo delle prove libere del Gp.

Al volante di una Zonda F LH, Lewis &egrave; andato a sbattere contro un'auto parcheggiata (sembra una Mercedes, ironia della sorte...)

Incidente Hamilton: nuove indiscrezioni

di Massimo Costa   Oliver Rowland &egrave; un tritasassi. Nella penultima prova del campionato Renault 3.5 a Le Mans, il pilota inglese del team Fortec ha realizzato l&rsquo;ennesima pole, la sesta su quattordici qualifiche, vincendo poi con autorit&agrave; gara 1 (settimo successo). Ma non &egrave; stato facile. Matthieu Vaxiviere, suo unico antagonista per il titolo, partito terzo ha scavalcato Egor Orudzhev al 2&deg; giro poi si &egrave; avventato su Rowland. Il duello &egrave; stato da incorniciare, finch&eacute; il francese ci ha rimesso un pezzetto di ala in un contatto ravvicinato. Vaxiviere ha cos&igrave; perso un po&rsquo; di terreno e si &egrave; dovuto guardare da Orudzhev.   Il russo ha tentato pi&ugrave; volte di infilare il pilota del Lotus Charouz, costringendolo anche ad allargare. Vaxiviere per&ograve;, ha esagerato con i track limits non rispettati ed &egrave; stato penalizzato di 10&rdquo; crollando da secondo a decimo nella classifica finale. Un vero disastro per lui perch&eacute; ora Rowland ha 260 punti contro i suoi 186. Ovvero, 74 punti di vantaggio con 75 punti ancora da assegnare. Morale: a Rowland di fatto manca un solo punto per essere l&rsquo;erede di Carlos Sainz. Secondo ha cos&igrave; concluso Orudzhev mentre sul terzo gradino del podio &egrave; andato Tom Dillmann. Notevole il recupero di Aurelien Panis, quinto dopo essere partito dalla nona piazzola mentre Yu Kanamaru, soltanto alla sua seconda prova in Renault 3.5, ha concluso in un incredibile sesto posto scattando dalla sesta fila.

Il pilota inglese centra il settimo successo stagionale e ipoteca il titolo 

F.Renault 3.5, Le Mans gara 1: Rowland, 1 punto per essere campione

Monaco &egrave; lontana. C'&egrave; un intero oceano tra il Principato e Montreal e Lewis Hamilton &egrave; sceso dal suo jet privato (quasi rosso Ferrari, si potrebbe malignare) sereno, almeno apparentemente, e desideroso di lasciarsi alle spalle il week end monegasco. La parola d'ordine emersa dalla conferenza stampa del gioved&igrave; a Montreal &egrave; una: fiducia. Il pilota Mercedes lo ha ribadito pi&ugrave; volte: "Tutto va bene all'interno del team, il livello di fiducia &egrave; al 100% e sono pronto a voltare pagina, anche perch&eacute; sto andando piuttosto bene". E con chi cerca di pungolarlo e di trovare anche la minima crepa, Lewis taglia corto: "Non mi guardo mai indietro, guardo sempre avanti. Non voglio pi&ugrave; parlare di Monaco, non mi interessa pi&ugrave; e non ha pi&ugrave; senso parlare di quel Gran Premio. Ora sono concentrato sulla prossima gara, abbiamo un campionato da vincere. Abbiamo alle spalle molti successi e una gara sbagliata non cambia le cose". D'altro canto, con un rinnovo d'oro appena firmato sembrerebbe strano sentire qualcosa di diverso uscire dalla sua bocca.  Montreal &egrave; una pista fortunata per Hamilton: in Canada ha vinto il suo primo Gran Premio con McLaren nel 2007 e ora il britannico sembra ben deciso a cancellare non solo le ombre monegasche ma anche il brutto ricordo del ritiro della scorsa stagione, che and&ograve; a interrompere una straordinaria serie di podi conclusasi con la vittoria del titolo. "Ogni volta che torni su una pista - ha spiegato - devi risvegliare la tua mente per ricordare il circuito e cercare di migliorarti. In generale sono sempre andato bene qui ma cercher&ograve; di fare ancora meglio". E le Rosse? Stesso discorso di Monaco, Lewis pensa per s&eacute; e basta: "Non so cosa abbiano fatto in Ferrari. Noi abbiamo migliorato l'affidabilit&agrave; del motore, che &egrave; fantastico".  Francesco Colla  

Alla vigilia del GP del Canada il campione spazza via i dubbi: "Abbiamo un campionato da vincere"

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