Dimmi chi schivi e ti dir&ograve; chi sei. Se la Formula Uno evita la famiglia Andretti e la sua storia, la sua epopea e la sua leggenda, vuol dire che il Circus medesimo &egrave; fatto di gente settaria, escludente e, sportivamente parlando, orribile. Non c&rsquo;&egrave; in tutto il mondo dell&rsquo;automobilismo e presumibilmente dello Sport una saga pi&ugrave; entusiasmante, stupenda e liberatoria di quella degli Andretti. Neanche nel pi&ugrave; sfavillante film di Martin Scorsese si potrebbe immaginare la storia tutta italoamericana e tantissimo italiana, in verit&agrave;, di Mario e Aldo, gemelli sfollati che, sognando in un campo profughi e poi a Monza, migrano negli Stati Uniti e danno vita a una rincorsa commovente, pericolosa, gloriosa che conduce il nome Andretti a diventare uno dei simboli belli dell&rsquo;America. Portando al successo il patriarca Mario, eroe iridato due due mondi, dalla Indycar alla F.1 passando per Nascar, midget e prototipi, e una seconda generazione importante, capeggiata dal fortissimo Michael e dal fratello Jeff e dal cugino John, quindi dalla terza generazione capitanata da Marco, figlio di Michael e Jarett, rampollo del compianto John. Questa &egrave; epica delle corse, non semplice cronaca.  L&rsquo;automobilismo da corsa &egrave; un mondo vedovo  Non finisce qui. Dopo oltre mezzo secolo di racing la famiglia Andretti crea la squadra pi&ugrave; globale ed eclettica del Motorsport, che corre ovunque, dalla IndyCar ai proto Imsa, passando per Formula E, Extreme E, Gt, Indy Lights e quant&rsquo;altro. Logico pensarla in F.1, quale naturale sviluppo. Invece no. E cos&igrave; il team pi&ugrave; eclettico e dal cognome pi&ugrave; sfavillante nel mondo delle corse &egrave;, anzi, sarebbe indegno. Inadatto. Inabile a portare surplus di immagine e sostanza ai Gp. Mentre per la FIA nulla osta all&rsquo;ingresso del team nel Circus, per Liberty Media, sorry, non c&rsquo;&egrave; niente da fare, no thanx. Vorrei dire diverse cose a lorsignori, ma mi limiter&ograve; a quelle pi&ugrave; sinteticamente chiare. Vergognatevi. Abbiate un minimo di decenza e vergognatevi di voi stessi. Del modo superficiale, poco rispettoso e particolarista con cui amministrate la massima categoria dell&rsquo;automobilismo e dell&rsquo;intero motorsport, gestendola col violento pressappochismo con cui sarebbe deprecabile perfino giocherellare con la minima. Gli Andretti meritano rispetto, perch&eacute; se la F.1 e le corse stanno cos&igrave; in alto, evocano leggenda, interesse e guadagni alti, molto alti, in fondo nei secoli dei secoli &egrave; anche e soprattutto merito di gente come loro, non certo di affaristi qualsiasi o straricchi in palandrana che adesso vogliono solo gestire e mungere la vacca all&rsquo;inverosimile, con l&rsquo;arrogante nochalance degli ultimi arrivati.     E vergognatevi due, tre cento, mille volte, perch&eacute; la Formula Uno non &egrave; una banca o una spa qualsiasi, nella quale comprando quattro azionacce poi potete fare come cavolo vi pare, ma rappresenta un patrimonio ideale, sentimentale, emotivo e morale. Divenuto prezioso, sacro, magnetico e irresistibile non perch&eacute; gente come Wolff o&nbsp; Horner ci ha buttato due lire e ora ha il terrore di perderle, poverini, ma in quanto Gilles Villeneuve, Ayrton Senna, Jo Siffert, Alberto Ascari e parecchi altri, compreso Jim Clark in F.2, ci hanno messo e rimesso la pelle, facendo sognare, muovere e commuovere generazioni intere, comprese quelle future. Guarda caso, proprio mentre costoro si misuravano, a turno, anche con uno degli Andretti.  Quindi, rispetto per gli Andretti in quanto tali. E non solo per loro, ma anche per tutti i possibili competitor che si trovano la porta chiusa, sbarrata in una Formula Uno gestita come il circolo degli scacchi, una conventicola odiosa, un giretto insopportabile di personaggi che non vogliono noie e avventori scomodi nel loro locale. Perch&eacute;, oltre all&rsquo;ingiustizia nei confronti degli Andretti, se ne sta perpetrando un&rsquo;altra, perfino peggiore. Peggiore nei confronti di tutti i possibili futuri team aspiranti a un posto in F.1. Perch&eacute; posto non ce n&rsquo;&egrave; pi&ugrave;, malgrado il Patto della Concordia ammetta 12 squadre e ce ne siano a oggi solo 10 in pista. Perch&eacute; lorsignori, cosa unica e mai vista mel mondo dello Sport, manco in Coppa America di vela, la categoria pi&ugrave; esclusivista ed esagerata di tutte, vige il principio della porta chiusa o semichiusa e dell&rsquo;entrata di fatto condizionata all&rsquo;assenso dei titolari detentori. Come se nel pugilato toccasse ai primi dieci di categoria decidere chi &egrave; degno prima o poi di suonargliele. Cio&egrave;, siamo alla follia, oltre che all&rsquo;ingiustizia pura. Per questo ci&ograve; che sta accadendo in F,1 contro gli Andretti - ai quali, per dispetto, fu negata la superlicenza al fortissimo Colton Herta per concederla all&rsquo;innocuo Logan Sargeant e adesso viene negato praticamente tutto - non &egrave; solo uno sfregio agli Andretti medesimi, ma anche un chiaro avvertimento a tutti gli altri.  Della serie, occhio quando si parla di F.1: questa &egrave; roba nostra, comandiamo noi e decidiamo noi chi entra e chi non entra in torta, claro? No. Non &egrave; chiaro, per niente. Perch&eacute; questo &egrave; uno Sport. Se uno possiede i requisiti economici, morali e strutturali, non solo pu&ograve;, ma deve entrare, chiunque esso sia. Il resto lo deve decidere la pista, la competizione, il cronometro. Non il promoter. Ma come? La Fia non trova alcuna pecca negli Andretti e Liberty s&igrave;? Perch&eacute; gli Andretti non portano valore aggiunto alla F.1? E Liberty quale valore aggiunto ha mai portato, in F.1? L&rsquo;estinzione delle grid girl? Il Granpremietto? I format cambiati ogni tre per due? Le palandrane stropicciate abbracciando sceicchi, mentre vengono snobbati e sottoposti a esborsi faraonici i titolari dei circuiti pi&ugrave; storici, probanti e belli del mondo? Ma per favore. Sapete cosa vi auguro, carissimi soloni e pseudo arbitri parziali? Vi auguro di beccare prima o poi una bella causa in un sontuoso tribunale civile di rilievo internazionale, il quale abbia la possibilit&agrave; di stabilire se state gestendo o meno uno Sport violando i principi dell&rsquo;antitrust e della porta aperta. Magari stabilendo fino a che punto avete torto marcio. Piantandovi una di quelle sentenzone contro, tali da farvi cascare addosso tutto il castello di carte, temo sportivamente truccate, con le quali state giocando una partita che a vederla e ad annusarla mette solo tristezza. 

Il trattamento riservato alla dynasty non voluta in F.1 dal promoter &egrave; inaccettabile e assurdo

Per Andretti si devono solo vergognare

&Egrave; la telefonata pi&ugrave; bella e sorprendente che ho mai ricevuto in vita mia. Sul display del cellulare, nel pigro pomeriggio di ieri, vissuto, come tutti, chiuso in casa, compare un come e un cognome, ad accompagnarsi alla scossa insistente del vibracall: MARIO ANDRETTI. Il resto, eccolo:  &quot;Pronto, come stai? Ti chiamo dalla mia casa di Nazareth, in Pennsylvania, e sono molto, molto preoccupato e pi&ugrave; che tutto per tutti voi, in Italia. Seguo tutto, vedo le immagini ascolto i dati e le novit&agrave; e mi sento letteralmente sgomento. Non avrei mai pensato di vivere una situazione del genere, in vita mia... E Autosprint? Come fate? Riuscire ad andare avanti? Ma come, dove? Ciascuno da casa sua?&quot;.   GP Azerbaijan, ufficiale il rinvio della gara a Baku  Campione di cuori  Signore e signori, questo &egrave; un campione del mondo ma lo &egrave; anche di cuore, Di&nbsp;classe e, soprattutto, di vita. Empatico, sensibile, toccante, dotato a 80 anni appena compiuti di un&#39;energia e di una voglia di testimoniare i suoi sentimenti che ancora, anzi, adesso pi&ugrave; che mai, fanno o scuola ai livelli pi&ugrave; alti. La conversazione va avanti, non &egrave; questa la sede per riportarla tutta, la troverete sul prossimo numero di Autosprint per esteso, ma ci&ograve; che conta davvero &egrave; che a un certo punto Mario Andretti s&#39;infervora ancora di pi&ugrave; e dice:    &quot;Senti io ho lasciato l&#39;Italia da ragazzo e prima l&#39;avevo vissuta nel terrore, sotto le bombe. E anche questo del Covid-19, ora, sembra tanto un bombardamento. Il nemico non pu&ograve; vederlo, ti colpisce all&#39;improvviso, sceglie a caso e tu sai solo che c&#39;&egrave; e che puoi restarne vittima. Per me, quasi settant&#39;anni dopo, pensare che la mia cara Italia sta ancora una volta sopportando questo &egrave; terribile, &egrave; una cosa che mi fa male al cuore. Ma sappiate che ora i rifugi ci sono e sono anche i pi&ugrave; belli e accoglienti che potevate sperare: sono le vostre case, a differenza d&#39;allora, i posti pi&ugrave; sicuri. E restateci sempre o il pi&ugrave; possibile, esattamente come io sto facendo nella mia&quot;.  F1, Sticchi Damiani: &quot;Il Mondiale si far&agrave;, magari finir&agrave; a gennaio 2021&quot;  L&#39;abbraccio di Piedone  Il discorso di Mario tocca tante altre cose, mille argomenti, ma infine, con una forza che solo un campionissimo come lui pu&ograve; mostrare alla sua et&agrave;, eccolo aggiungere:    &quot;Pensiamo a un uragano, a un tifone, a una manifestazione terribile della natura che sta sta colpendo la cara Italia e non solo l&#39;Italia. Ebbene, io vi dico che dovete paragonarlo a un orrendo temporale, a una terrificante mareggiata, che per&ograve; lascer&agrave; il posto a un sole bellissimo, che adesso invochiamo tutti e che poi sapremo apprezzare come non mai. Saluta a nome mio tutti gli sportivi italiani e i loro cari, saluta l&#39;Italia, io ora abbraccio tutti e penso e spero solo al giorno in cui il sole per tutti noi torner&agrave; a splendere&quot;.  Hamilton sbotta: &quot;Sto bene! Il tampone &egrave; per chi ne ha bisogno&quot; 

La leggenda delle corse, in diretta dall Pennsylvania, manda un abbraccio a tutti gli sportivi, d&agrave; qualche consiglio e invita a pensare alla luce in fondo al tunnel

Mario Andretti incita l&#39;Italia

Mario Andretti sabato 28 febbraio ha compito ottant&rsquo;anni. Ma questo non sar&agrave; mica un pezzo sul suo compleanno. Nell&rsquo;era dei social gli auguri ciascuno glieli ha fatti come ha pensato e voluto. Tanto ormai chiunque &egrave; raggiungibile da chiunque e, per certi versi, in occasioni tipo questa, meno male.  No, il suo compleanno tondo tondo stavolta viene utilizzato come semplice e sublime pretesto per dire cose di tutt&rsquo;altra natura ma che somigliano tanto a un regalo il quale, a dispetto della ricorrenza, come spesso accade, &egrave; lui che fa a noi e non viceversa.  Ormai tutto ci&ograve; che riguarda Mario Andretti nei confronti degli appassionati rappresenta un&#39;immensa regal&igrave;a, l&rsquo;elargizione ideale e quotidiana d&rsquo;un patrimonio ideale, agonistico e storico meravigliosamente convidiso.  Tempo fa a cena con Pino Allievi e col direttore di As Andrea Cordovani dicevamo tutti la stessa cosa, che per&ograve; poche volte ho visto scritta, e cio&egrave; che quella di Mario Andretti &egrave; presumibilmente la storia pi&ugrave; bella tra tutte le millemila storie delle corse.  Somiglia alla sceneggiatura di un film gi&agrave; scritta e bell&rsquo;e pronta per aspirare a una mitragliata di Oscar e riconoscimenti in tutto il mondo. Per certi versi &egrave; una stordente epopea alla Scorsese che va fin oltre il personaggio e che attraversa guerra, violenza, povert&agrave;, esilio, scoperta di un nuovo mondo, riscatto, salto di qualit&agrave; e, infine, la parte pi&ugrave; difficile, val a dire gestione oculata, intelligente e dignitosa della propria ritrovata fortuna. Evitando nondimeno di sbattere in faccia a veruno il riscatto ottenuto e, nello stesso tempo, per dirla alla Kipling, sapendo incontrarsi col Successo e la Sconfitta e trattare questi due impostori allo stesso modo.  C&rsquo;&egrave; qualcosa di magico e umanissimo, mescolato alla storia e all&rsquo;essenza di Mario Andretti e degli Andretti. Un che d&rsquo;inspiegabile e allo stesso tempo d&rsquo;immediato e familiare nonch&eacute; famigliare.  Ogni festa di Mario Andretti &egrave; anche una festa della nostra passione tutta intera, del nostro sentimento per le corse. Perch&eacute; lui rappresenta qualcosa di pi&ugrave; d&rsquo;un campione, di un innamorato dell&rsquo;Italia o d&rsquo;un pilota che ha vinto tanto e spesso.    Mario Andretti, ormai, nell&rsquo;immaginario collettivo dell&rsquo;universo mondo delle corse, &egrave; una sorta di Mister Spock di Star Trek che a bordo dei suoi bolidi ha visitato sistemi solari, epoche e galassie tra loro diverse lontanissime, salendo e scendendo, peraltro illeso, da mille astronavi e su mille pianeti.&nbsp;  Altro che campione dei due mondi. Le nebulose delle corse - e non solo quelle - le ha viste, assaporate ed esplorate tutte, ricevendo ovunque non solo i premi ma anche l&rsquo;omaggio, l&rsquo;onore delle armi che si deve al soldato di tutte le guerre.&nbsp;  Mezzo secolo di corse, con addosso la gloria anche nei due posti che l&rsquo;hanno visto pi&ugrave; sfortunato, vale a dire la Indy 500, vinta una volta sola, nel 1969, e la 24 Ore di Le Mans, vinta mai. Eppure il retrogusto, paradossalmente, &egrave; buono, per Mario.&nbsp;  Se ha perso tre o quattro 500 Miglia per pura sfortuna e un paio di 24 Ore, il problema non &egrave; suo, ma di Indy e di Le Mans. Avesse vinto di pi&ugrave;, ci avrebbero guadagnato gli organizzatori e i rispettivi eventi, ben pi&ugrave; di lui, ecco.  Mario Andretti non &egrave; solo un pilota, ma un inno senza tempo al Motorsport. Ai sogni mai rinnegati, al trasporto agonistico infinito, alle capacit&agrave; e al coraggio che diventano oro, gloria e a mille realt&agrave; ancor pi&ugrave; grandi delle leggende su di esse fiorite.  Mario Andretti &egrave; uno che nel mondo delle corse Usa Anni &rsquo;60 &ndash; che era una sorta di congrega d&rsquo;orsi cattivi, in cui ci si menava spesso, prima, dopo e a volte durante le gare &ndash;, s&rsquo;&egrave; guadagnato e per sempre riguardo infinito. &laquo;Sai &ndash; mi ha confidato una volta &ndash; la cosa pi&ugrave; difficile per uno minuto e piccolino come me, &egrave; stato ottenere il pi&ugrave; totale e incondizionato rispetto, laddove nel Motorsport a Stelle e Strisce il punto di riferimento ideale era uno altissimo, grandissimo, aggressivo e, credimi, tostissimo come Aj Foyt. Finire rispettato come lui e da alcuni, perfino pi&ugrave; di lui, per me ha voluto dire tanto, tantissimo, quasi tutto&raquo;.&nbsp;    Mario Andretti, anzitutto, &egrave; bella persona. Uno che se per caso lo incontri e lo saluti, non ti tratta male n&eacute; ti snobba. Never. &Egrave; persona gentile. Sempre.  Mario Andretti non &egrave; buonista. Nelle corse &egrave; stato sempre uno spietato e non ha mai reso le cose facili a nessuno. Il giorno in cui il figlio Michael debutt&ograve; in F.Indy, lui a pochi minuti dal via and&ograve; in griglia di partenza e si chin&ograve; nell&rsquo;abitacolo del baby con apparente amore paterno, commuovendo mezza America. In realt&agrave;, gli stava sussurrando: &laquo;Sappi, Michael, che non sono qui per fare regali. In pista verso di te sar&ograve; corretto ma non generoso. Mai. Impara a sudarti i tuoi sogni. Buona fortuna&raquo;.&nbsp;  Mario Andretti ha cominciato a correre quando stava per smettere Fangio e ha disputato l&rsquo;ultima gara che Max Verstappen iniziava a giocare con le macchinine in salotto, facendo brum brum.  Mario Andretti non s&rsquo;&egrave; mai ritirato ufficialmente dalle corse, cos&igrave; come Tarzan non ha mai chiuso con la foresta o Tex Willer coi navaho o Diabolik coi caveau delle banche. Se lo hai nel sangue, lo hai nel sangue e l&igrave; ti resta. Punto.  Mario &amp; il gemello Aldo. Storia intensa. Con Aldo inizi&ograve; la faccenda, facendo a testa e croce per chi designare chi disputava la prima corsa. Vinse Aldo e Mario inizi&ograve; dopo, ma non smise mai pi&ugrave;.    Mario &amp; la Ferrari, l&rsquo;amore nato e mai consumato fino in fondo, ma reso eterno dalla Pole di Monza 1982. Mario &amp; la Lotus. Conobbe Clark e Chapman a Indy e debutt&ograve; nella F.1 in pole al Glen nel 1968, quando Colin stava cercando dolorosamente di dare un senso al dopo Jim.  Mario &amp; Ronnie, dualismo, gerarchie, lotta intestina ma anche consapevolezza reciproca d&rsquo;un grande pilota contrapposto al suo opposto algebrico, poi il destino, l&rsquo;iride 1978 per l&rsquo;uno, la fine per l&rsquo;altro.  Mario &amp; la famiglia. Mario &amp; i figli, poi financo un nipote in pista, a rischiare di rivincere a Indy, in un rapporto benedetto e maledetto con un posto fatato ma anche ricco d&rsquo;incantesimi non sempre simpatici verso gli Andretti, ecco.&nbsp;  Dai, Mario Andretti non &egrave; pi&ugrave; solo un uomo. &Egrave; un invito a godere delle corse tramite il suo canto meraviglioso attraverso i decenni. Quel suo essere ovunque e pertinente comunque. In qualsiasi evento racing nella seconda met&agrave; del Novecento lui c&rsquo;era o c&rsquo;era uno di quelli che ha battuto. E in qualsiasi corsa del presente o del futuro, lui c&rsquo;&egrave; e ci sar&agrave;, con il suo afflato per le sfide vere e l&rsquo;infinita capacit&agrave; d&rsquo;analisi che in due balletti e in tre righe ti spiega a voce cosa sta succedendo, senza ammettere repliche o chiose.  Mario Andretti &egrave; lo stimolo a leggere, a documentarsi, a vedere vecchi filmati, antiche registrazioni sulle corse, a reperire libri introvabili, ad abbeverarsi ai mille aneddoti di cui &egrave; capace lui o, pi&ugrave; semplicemente, chi ha la fortuna d&rsquo;ascoltarlo.  Mario Andretti a ottant&rsquo;anni &egrave; la dimostrazione vivente che non esistono corse di ieri oggi e domani, ma semplicemente un presente infinito: le corse e basta. Quelle credibili. Rese nobili, stupende, commoventi e leggendarie da gente come lui.  Mario Andretti &egrave; uno che a ottant&rsquo;anni gira portando al dito l&rsquo;anello da Re della corsa che gli rubarono con pi&ugrave; scorno, addirittura a tavolino, dopo essere stato premiato vincitore, ovvero la Indy 500 dell&rsquo;81, causa ricorso degli avvocati di Roger Penske che fecero dichiarare race winner tramite scartoffie - immeritatamente &ndash; il rivale Bobby Unser.  &laquo;Se qualcuno non &egrave; d&rsquo;accordo, me lo venga a sfilare, quest&rsquo;anello, poi vediamo&raquo; &ndash; dice lui, carezzandosi ancora oggi il destro accartocciato a pugno, con la palma della mano sinistra usata a mo&rsquo; di pietra che affila la falce.  Federico Fellini amava ripetere che nella vita &egrave; fondamentale usare i tempi di scena giusti per dire addio o vaffanculo. Mario Andretti, addio non l&rsquo;hai mai detto, nelle corse, mentre i fuck off li ha dedicati solo ai potenti, nei modi, nei tempi millimetrici e nei casi esemplari che lo esigevano.  Per questo e per altro, per la tua italianit&agrave;, per come sai essere americano, e soprattutto, semplicemente, per come sai essere, grazie, caro Mario Andretti. Perch&eacute; con o senza casco in testa e volante in mano, ormai hai alzato la posta e il tuo esempio non &egrave; pi&ugrave; solo agonistico, ma tutto esistenziale, etico e metasportivo. Capace d&rsquo;insegnare da otto decenni filati alle femmine e ai maschi che hanno la compiacenza di seguirti, dei modi belli nella vita per diventare, rispettivamente e onorevolmente, Donne e Uomini. Gente alla Mario Andretti. 

Signore e signori, gli ottanta anni di &ldquo;Piedone&rdquo; non sono solo un compleanno, ma un pretesto, la scusa dolce per ricordare e ricordarci chi &egrave; e che cosa rappresenta l&rsquo;immenso patriarca della famiglia Andretti

Mario, l&#39;ottava meraviglia del Mondo

Quella di Mario Andretti campione del mondo 1978 &egrave; una storia che non ti stanchi mai di ascoltare, tutta da rileggere e soprattutto rivedere anche da altre prospettive, sotto una luce diversa. Molto pi&ugrave; tricolore e molto meno Usa. &Egrave; quello che ha fatto Autosprint Collection in questo nuovo numero in uscita in edicola il 4 aprile e che a quarantanni dal trionfo dell&#39;ultimo iridato della F.1 di lingua italiana. Come sempre per inquadrare meglio le questioni bisogna tornare alle origini, evitando di perdersi tra le pagine di un passaporto americano e nella pronuncia di un italiano ormai con l&rsquo;intonazione a stelle e strisce.  Bisogna, insomma, ripartire da Montona il luogo natio di &ldquo;Piedone&rdquo;, ai giorni dell&rsquo;esodo, all&rsquo;Istria, quasi 400mila italiani costretti a fuggire, un pezzo d&rsquo;Italia che non c&rsquo;era pi&ugrave;, inghiottito dalla Jugoslavia del Maresciallo Tito, scaraventato nelle foibe, cancellato dal trattato di pace del 15 settembre 1947.  &laquo;Dovevamo scegliere: mantenere i beni immobili in un posto che non era pi&ugrave; italiano, oppure perdere tutto e spostarsi per rimanere tricolori. Non ci furono dubbi. Dovevamo restare italiani&raquo;, racconta Mario tornando a quei giorni terribili. Prima di emigrare negli States, Andretti e la sua famiglia trovarono riparo in un campo profughi a Lucca senza mai avere dal governo italiano una reale opportunit&agrave;, risposte concrete o prospettive certe per il futuro. Un destino, questo, comune alla stragrande maggioranza dei tanti disperati costretti a fuggire dall&rsquo;Istria, dalla Dalmazia, da Fiume, dalla Venezia-Giulia. Per Piedone &egrave; stato subito chiaro che ci vuole pi&ugrave; coraggio per affrontare la vita di tutti i giorni che per aggredire la curva di un ovale. Racconta che lui non ha mai avuto il tempo di avere paura e poi sottolinea: &laquo;Ho iniziato dal nulla, ho avuto la mia chance e ce l&rsquo;ho fatta. C&rsquo;&egrave; tanto del sogno americano in tutto questo, ma la mia vita resta il raggiungimento del sogno di un ragazzo italiano&raquo;. Nella favola a lieto fine della sua carriera Andretti tiene a precisare che: &laquo;Si sono cittadino americano ma sia chiaro e sappiatelo: la terra natia e il sangue nessuno potr&agrave; mai cambiarteli. Per tutta l&rsquo;esistenza resteranno tali e quali&raquo;.  Faceva festa un pezzo d&rsquo;Italia fuggito dalle proprie case nel 1978 quando Mario Andretti proprio a Monza in un giorno intriso nel dramma di Ronnie Peterson diventava campione del mondo di F.1. Quel pezzo d&rsquo;Italia che ci fu tolta dopo la Seconda Guerra Mondiale si ritrovava a celebrare un proprio campione, a gioire. Certo quel giorno Piedone non dimenticava da dove tutto era partito anche se non sventolava la bandiera tricolore, come in precedenza avevano fatto ad esempio altri istriani o fiumani campione del mondo o campioni olimpici tipo Abdon Pamich o Nino Benvenuti che spiega: &laquo;L&rsquo;essere istriano &egrave; un dono di natura, un dono che abbiamo avuto da quando siamo nati. Oggi sentirmi istriano &egrave; un onore che mi pregio di avere perch&eacute; sono facente parte oltrech&eacute; della storia anche del posto pi&ugrave; bel del mondo&raquo;. Un posto che nessuno pu&ograve; togliere dal cuore di Mario Andretti. &laquo;Negli Anni 60 ero ormai un campione affermato negli Usa ma nel mio sangue bolliva la voglia di lanciare la sfida all&rsquo;Europa, di riportare a casa la mia storia: per questo ho corso in Formula Uno&raquo;, ha ricordato. E poi aggiunto: &laquo;Non posso non pensare al fatto che io e Alberto Ascari restiamo a oggi gli ultimi campioni del mondo di F.1 di lingua italiana&raquo;. Forse &egrave; arrivato il momento di sentire ancora un po&rsquo; pi&ugrave; nostra quella vittoria di Andretti nel 1978, una vittoria molto pi&ugrave; tricolore di quanto percepito nell&rsquo;Italia di quarant&rsquo;anni fa, dove la parola esule creava solo imbarazzo, silenzio, fastidio.  &nbsp; 

Nel 1978 Piedone si laurea Campione del Mondo di Formula 1: dal 4 aprile in edicola un numro da collezione di Autosprint con la storia dell&#39;ultimo iridato di lingua italiana

La favola di Mario Andretti, l&#39;esule italiano Eroe dei due mondi

Gran Premio di Monaco e Indy 500. Nello stesso fine settimana sono andati in scena due tra i pi&ugrave; celebri spettacoli del motorsport internazionale. Se&nbsp;a Montecarlo c&rsquo;era (tra gli altri) Justin Bieber ad accogliere il vincitore nonch&eacute; amico Lewis Hamilton, a Indianapolis c&rsquo;era un&rsquo;altra star di prima grandezza, Stefani Joanne Angelina Germanotta, meglio conosciuta come Lady Gaga.&nbsp;  L&rsquo;istrionica artista non &egrave; nuova ai circuiti (nel 2011 tenne un concerto dopo il GP d&rsquo;India di Formula 1), ma la sua apparizione di ieri all&rsquo;Indianapolis Motor Speedway &egrave; stata veramente speciale. Ad accoglierla c&rsquo;era nientemeno che l&rsquo;Eroe dei due mondi, Mario Andretti, padrone di casa alla Indy 500 che ogni anno ospita una celebrit&agrave; per il giro di lancio. Ieri l&rsquo;onore &egrave; toccato proprio a Lady Gaga che, smessi i suoi abituali panni succinti, si &egrave; infilata tuta e casco per sedersi alle spalle della leggenda sulla sua monoposto\biposto. A Mario non &egrave; andata affatto male: inizialmente avrebbe dovuto portare a spasso Keith Urban, famoso cantante country infortunatosi alla schiena alcuni giorni prima della gara. Prima della gara il vincitore della Indy edizione 1969, dopo aver ricevuto un bacio dalla star&nbsp;ha commentato ridendo: &ldquo;Mi ha sussurrato all&#39;orecchio che avrei dovuto portare scarpe coi tacchi come lei. La prossima volta sar&ograve; pi&ugrave; alto!&rdquo;  &nbsp; 

Tra gli ospiti della gara pi&ugrave; famosa d&#39;America anche la platinata popstar che ha avuto l&#39;onore di salire a bordo della vettura dell&#39;Eroe dei due mondi

Indy 500, Lady Gaga fa &quot;sbandare&quot; Mario Andretti

Mario Andretti da qualche giorno &egrave; anche cittadino toscano: di Lucca per la precisione. Martedi 9 febbraio &egrave; stato insignito dal comune di Lucca della cittadinanza onoraria&nbsp;del capoluogo di provincia toscano. Un omaggio al passato di "Piedone" che proprio a Lucca, nei primi Anni '50 trascorse alcuni anni come profugo dopo la fuga&nbsp;con la famiglia&nbsp;dalla natia Istria che in seguito alla&nbsp;2&deg; guerra mondiale era diventata jugoslava.  Tornato in Europa per ritirare questa onoreficienza a due mesi di distanza&nbsp;dalla&nbsp;premiazione ai Caschi d&rsquo;oro di Autosprint, Andretti ne ha approfittato per&nbsp;riparlare di F.1. "Piedone" si &egrave; &nbsp;schierato dalla parte di quanti ritengono eccessive le critiche alla Formula 1 moderna. La Formula 1 secondo lui &egrave; messa bene. Sembrer&agrave; strano, ma Piedone &ndash; che nel mondiale ci ha trascorso 14 stagioni tra il 1968 e il 1982 &ndash; non ha rimpianti per le epoche passate. Anzi.  &laquo;Ci saranno sempre i tradizionalisti, chi dir&agrave; &ldquo;I vecchi tempi erano i migliori&rdquo;. Io preferisco guardare sempre avanti, i giorni di gloria della Formula 1 sono quelli attuali&raquo;, rilancia.  Come? Tutta una letteratura per raccontare il fascino delle corse di un tempo, le lotte tra piloti, la spettacolarit&agrave; di gare che non facevano addormentare sul divano, poi arriva Andretti e ribalta tutto. Un pensiero che il campione italo-americano approfondisce, e spiega perch&eacute; la F1 oggi vive giorni di gloria: &laquo;Ha una popolarit&agrave; superiore in tutto il mondo, la tecnologia &egrave; al limite, in quegli anni &ndash; dice riferendosi ai Settanta e Ottanta &ndash; c&rsquo;erano personaggi incredibili, piloti straordinari, mi piace per&ograve; com&rsquo;&egrave; migliorato tutto: darei qualunque cosa per essere 30 anni pi&ugrave; giovane e correre oggi&raquo;.  Il confronto diretto tra piloti di epoche passate &egrave; impossibile da farsi: il gioco del chi &egrave; pi&ugrave; forte lascia il tempo che trova. Per Andretti, &laquo;i campioni di oggi sarebbero stati campioni anche in altre decadi, e viceversa. L&rsquo;unica differenza &egrave; che noi guidavamo su circuiti e macchine meno sicure. Sarebbe grandioso poter mettere in griglia entrambe le generazioni, ma non accadr&agrave;, purtroppo&raquo;. A cambiare &egrave; stato il rapporto con il rischio, macchine pi&ugrave; sicure oggi hanno allontanato lo spauracchio della morte dietro ogni curva, piste pi&ugrave; sicure e con vie di fuga che perdonano quasi ogni errore. Un progresso irrinunciabile ma al tempo stesso la chance di spingersi un po&rsquo; oltre il limite, sapendo di uscirne &ndash; il pi&ugrave; delle volte &ndash; comunque senza conseguenze drammatiche.  Un Andretti che guarda anche alle discussioni sui regolamenti futuri, e nell&rsquo;intervista a El Pais aggiunge: &laquo;Da ex pilota dico che sarebbe fantastico avere pi&ugrave; potenza, i piloti ne vogliono sempre di pi&ugrave; e i tifosi amano vedere andare le macchine pi&ugrave; veloce, non dobbiamo mai dimenticarci di loro&raquo;.  Fabiano Polimeni

Piedone &egrave; diventato cittadino onorario della citt&agrave; di Lucca. E parlando di F1 va controcorrente i giorni di gloria della categoria per lui sono quelli attuali.

F1, Andretti: Darei tutto per correre oggi

L'eroe dei due mondi, capace di vincere in Formula 1 e Indianapolis, intervistato alla 50esima edizione dei Caschi d'Oro di Autosprint

Mario Andretti: Autosprint la mia bibbia per 50 anni

di Riccardo Piergentili  MILANO &ndash; Pi&ugrave; o meno tutto si pu&ograve; comprare, perch&eacute; pi&ugrave; o meno tutto ha un prezzo. Per&ograve; c'&egrave; una merce molto rara che si pu&ograve; accumulare nel tempo solo se si lavora bene e solo diventando degli opinion leader. Si tratta dell'autorevolezza, che garantisce credibilit&agrave;. Solo chi &egrave; autorevole pu&ograve; rapportarsi con coloro che nella vita hanno costruito qualcosa di importante o realizzato imprese che saranno ricordate negli anni.  La cinquantesima edizione dei Caschi d'Oro di Autosprint ha spiegato che nell'universo sconfinato del mondo auto esiste una realt&agrave; editoriale rispettata da coloro che, in pista e nelle stanze dei bottoni, hanno costruito un pezzo della storia delle corse. Gli attori protagonisti che hanno rispetto di chi ha narrato le loro gesta, senza timore di raccontare la verit&agrave;, a volte scomoda.&nbsp;Cos&igrave;, ai Caschi d'Oro di Autosprint si &egrave; assistito ad una sfilata di personaggi di altissimo livello, da Luca Cordero di Montezemolo, il quale ha spiegato cosa pensa sulla F1 di oggi,&nbsp;a Mario Andretti, l'eroe dei due mondi, l'uomo che &egrave; stato capace di vincere sia il mondiale di F1, sia la 500 Miglia di Indianapolis.  Un&nbsp;susseguirsi di emozioni, iniziate con la proiezione di un video che ha mostrato la consegna del premio&nbsp;a Lewis Hamilton, che ha dichiarato. &ldquo;Il Casco d'Oro &egrave; un riconoscimento prestigioso e sono orgoglioso di averlo ricevuto. Auguro il meglio a tutti i miei fans e voglio dirgli... pensate in grande e sognate, sempre&rdquo;.  Come sempre, c'&egrave; stato spazio per i campioni pi&ugrave; famosi ma anche per coloro che hanno lottato e vinto nelle categorie meno note. Riconoscimenti importanti, che dimostrano il rispetto per i piloti. Tutti rischiano, tutti si sacrificano e tutti, dopo avere vinto, hanno diritto al loro momento di gloria, uomini e donne.  Gi&agrave;, le donne. Ce n'erano addirittura due: Michela Cerruti, che ha scherzato con Luca Cordero di Montezemolo sulla presenza delle donne in F1 e ha raccontato quanto bello ed emozionante sia gareggiare sul vecchio N&uuml;rburgring,&nbsp;e Valentina Albanese, avvocato, pilota, istruttrice di guida; forte come &egrave; pi&ugrave; di molti colleghi maschi.  La serata &egrave; stata inoltre la giusta occasione&nbsp;per ricordare le gesta di un campione come Carlos Sainz, una leggenda dei rally. Le sue brevi risposte hanno spiegato il suo carattere e hanno fatto capire che in lui ci sono ancora la voglia di competere e di mettersi in gioco&nbsp;&ldquo;La Dakar non &egrave; una gara che pu&ograve; essere fatta cos&igrave;, tanto per correre. &nbsp;- ha commentato - Va preparata bene, soprattutto se vuoi arrivare in fondo, davanti a tutti&rdquo;. Poi, un&nbsp;commento&nbsp;sul rapporto col figlio Carlos Jr che corre in F1 col team Toro Rosso:&nbsp;&ldquo;In non vado al box a vedere mio figlio. Resto in zone pi&ugrave; tranquille. Sono uno spettatore. Lui deve fare la sua strada&rdquo;.    Da un campione del volante a un manager di un'azienda che rappresenta un riferimento del racing, la Pirelli, fornitore unico nel mondiale di F1. Marco Troncheti Provera, amministratore delegato di Pirelli, il quale ha spiegato che &ldquo;La F1 &egrave; sempre estremamente competitiva. Quando c'&egrave; un problema &egrave; facile scaricare la colpa sulle gomme. Per&ograve; abbiamo fatto sempre squadra e la faremo per altri quattro anni. Sar&agrave; dura perch&eacute; dovremo mettere a disposizione nuove mescole e poi cambieranno le dimensioni delle gomme ma ce la faremo&rdquo;. Infine, un commento su Bernie Ecclestone: &ldquo;Senza di lui non esisterebbe la F1. L'ha tenuta in vita. &Egrave; un negoziatore terrificante. Batte i cinesi, i russi, tutti. Ed &egrave; estremamente simpatico!&rdquo;.  Dall'asfalto al rally, con Sandro Munari che ha raccontato un bellissimo aneddoto legato alle sue vittorie: &ldquo;Le Case non investivano nelle corse per far divertire i piloti ma per avere un riscontro commerciale. Nel dicembre del 1971 la Lancia chiuse&nbsp;la linea di montaggio della Fulvia HF. 2500 operai persero il lavoro. A gennaio del 1972 vincemmo il Rally di Montecarlo. Con quella vittoria la Lancia ha riapr&igrave; la catena di montaggio, vendendo 50.000 vetture e tanti operai hanno tornarono&nbsp;a lavoro. Questo &egrave; uno dei pi&ugrave; bei ricordi che conservo&rdquo;.  Simpatico, come sempre, Alessandro Nannini: &ldquo;Con questa mano&hellip; io tengo il premio tu il microfono (rivolgendosi ai presentatori, Jimmy Ghione e Federica Masolin, ndr)! Gli anni pi&ugrave; divertenti? Quelli del DTM. In Germania ci consideravano spaghettari, invece&hellip;&rdquo;.&nbsp;E ancora, Emanuele Pirro da pilota a giudice dei piloti: &ldquo;Oggi l'automobilismo si misura in millimetri. &Egrave; cambiato. Qualche volta l'arbitro &egrave; cornuto&hellip; per&ograve; ci sono tanti esempi che dimostrano che si possono vincere le battaglie senza commettere irregolarit&agrave;, che i piloti condannano&rdquo;.&nbsp;Senza dimenticare Vitantonio Liuzzi che ha parlato di futuro, cio&egrave; di Formula E: &ldquo;&Egrave; una Formula futuro, perch&eacute; puoi correre a Mosca, vicino alla Piazza Rossa o nei centri delle citt&agrave;. &Egrave; davvero particolare&rdquo;.  Piloti, ma anche personaggi dello spettacolo, come Linus. &ldquo;Pensavo di restare in disparte, invece sono stato seduto vicino a Mario Andretti! Ho iniziato a leggere Autosprint nel gennaio 1972 e mi ricordo Munari e la F1 in Argentina. Dal gennaio 1972 a oggi... sono 44 anni. 2200 numeri. Partecipare ai Caschi d'Oro &egrave; stato come fare un salto nella mia adolescenza!&rdquo;.  Piloti, personaggi dello spettacolo ma anche una interessante parentesi manageriale, con Angelo Sticchi Damiani, Presidente di ACI Sport: &ldquo;Stiamo puntando sui giovani, con quel programma avviato grazie anche a Michele Alboreto. Vogliamo dare ai giovani di talento le risorse per inseguire i loro sogni che sono anche i nostri&rdquo;.  E ancora, Alberto Bombassei (il numero uno della Brembo), che ha raccontato le origini di un'azienda diventata un colosso industriale: &ldquo;40 anni fa andai a bussare alla porta di Enzo Ferrari, che ci diede fiducia e una prima commessa nella F1. Quella giornata fu indimenticabile, fortunata ed apr&igrave; un ciclo. Dopo questa esperienza Ferrari abbiamo approcciato altri team con Brembo e AP racing, il nostro concorrente, che abbiamo acquisito. Oggi abbiamo il 95% del mercato F1&rdquo;.  Interessante&nbsp;anche la storia di Jos&eacute; Mar&iacute;a L&oacute;pez, campione del mondo WTCC, che ha sognato le ruote scoperte, trovando fortuna nelle ruote coperte: &ldquo;Ho iniziato a correre in Italia. I miei nonni sono italiani, siculi. Ho vissuto in Italia sei&nbsp;anni e ho ricordi dell'Italia bellissimi. Non ho abbandonato le monoposto, semplicemente&nbsp;nel 2006 non ho fatto buoni risultati:&nbsp;troppi errori. Sono tornato in Argentina e ho trovato la passione per le turismo&rdquo;. Prima del gran finale, il premio a un giovane di grande talento,&nbsp;Carlos Sainz jr: &ldquo;&Egrave; stato un anno positivo, nonostante alcuni brutti momenti e incidenti. Voglio dire che sono contento di essere in un team italiano e di guidare una monoposto equipaggiata col motore Ferrari&rdquo;.  La chiusura dei Caschi d'Oro 2015 &egrave; stata dedicata a uno dei pi&ugrave; grandi piloti della storia, Mario Andretti, che, intervistato dal direttore Alberto Sabbatini, con un perfetto italiano, tanto carisma e la battuta giusta al momento giusto ha conquistato la platea: &ldquo;Sono stato molto fortunato, anche perch&eacute; ho potuto correre per circa 40 anni. Innanzitutto voglio fare i complimenti a tutti quelli che hanno ricevuto i Caschi di Autosprinti. Nel 1978 ne avevo vinto&nbsp;uno che&nbsp;l'allora direttore Marcello Sabbatini mi aveva promesso. Purtroppo non l'ho mai ricevuto ma Alberto&hellip; sai come sono le poste!  Porto nel cuore le macchine che mi hanno fatto vincere&nbsp;delle gare e le piste dove ho vinto delle corse. Le vittorie non sono mai abbastanza. Guido ancora, una vettura Indy biposto, con la quale raggiungo la media delle 200 miglia orarie&nbsp;(circa 320 km/h... col passeggero, ndr). Sono fiero di essere qua ai Caschi d'Oro di Autosprint, che &egrave; la bibbia del Motorsport. Alberto, negli ultimi 50, tu non hai idea di quanti soldi ho speso per comprare Autosprint!&rdquo;.

Gli Oscar di Autosprint hanno festeggiato 50 anni insieme ai pi&ugrave; grandi campioni e personaggi del mondo delle quattro ruote

Caschi d'Oro, la notte delle stelle

MILANO - Mario Andretti &egrave; tornato in Italia, a 60 anni dal viaggio col quale lui e la famiglia, da migranti, lasciarono la penisola alla volta degli Stati Uniti dove il campionissimo nativo di Montona sarebbe diventato uno dei piloti pi&ugrave; versatili, vincenti e longevi di tutti i tempi.    &Egrave; un cerchio che si chiude e una storia meravigliosa che si compie, visto che &ldquo;Piedone&rdquo; &egrave; stato ospite speciale di Autosprint che a Milano, nella cerimonia dei Caschi d&rsquo;Oro, gli ha consegnato lo speciale Casco Legend quale premio per una carriera da inimitabile eroe dei due mondi, da trionfatore del mondiale di F.1 1978 a vincitore di tutto quello che c&rsquo;era da vincere negli Usa, a partire dalla 500 Miglia di Indianapolis 1969, passando per i titoli nazionali IndyCar e comprendendo anche la Daytona 500 della Nascar, nel 1967, pi&ugrave; i trionfi nel mondiale endurance.  Ecco le parole di Mario Andretti prima della cerimonia: &laquo;Non vedo l&rsquo;ora di vivere questo momento. So che succeder&ograve; a Jacky Ickx in questo vostro premio e la cosa mi d&agrave; immenso piacere - ha specificato Mario -, in quanto considero il campionissimo belga il mio compagno ideale nelle gare endurance. Quindi avere lo stesso premio sar&agrave; un modo simpatico per essere ricordati come due che insieme si sono divertiti e hanno vinto nel nome della Ferrari, un nostro grande amore&raquo;.  Appena giunto al centro di Milano, sceso di macchina, Mario &egrave; stato subito riconosciuto da un tifoso, con tanto di grido d&rsquo;esultanza &laquo;Forza Andretti! Viva la tua pole a Monza 1982!&raquo;.&nbsp;  Mario ha sorriso, aggiungendo: &laquo;&Egrave; bello vedere che anche per strada qui da voi nessuno dei tifosi mi ha dimenticato. Anche per questo non vedo l&rsquo;ora che inizi la premiazione dei Caschi d&rsquo;Oro di domani sera&raquo; - ha concluso entusiasta il campionissimo statunitense.  Mario Donnini

&ldquo;Piedone&rdquo; &egrave; stato ospite speciale di AS che a Milano gli ha consegnato la speciale statuetta quale premio per una carriera da inimitabile eroe

A Mario Andretti il Casco Legend di Autosprint

Poche ore alla annuale premiazione del nostro settimanale. Tanti grandi campioni sul palco.  Si svolger&agrave; stasera la premiazione dei Caschi d&rsquo;Oro di Autosprint. Tra gli ospiti d&rsquo;onore Mario Andretti, campionissimo della storia delle corse, sia di IndyCar che di F.1. Sar&agrave; l&rsquo;ospite d&rsquo;onore ai Caschi d&rsquo;Oro, la premiazione di Autosprint che ogni anno omaggia i principali campioni delle corse. Con lui ci sar&agrave; il campione del mondo WTCC Jos&eacute; Maria Lopez, e tanti personaggi del motorsport.  Essendo i 50 anni dell&rsquo;evento, la premiazione avr&agrave; una importante parentesi storica e sar&agrave; dedicata anche ad omaggiare dei personaggi che hanno fatto grande la storia del motorsport italiano e internazionale in questi ultimi decenni. Per questo Autosprint premier&agrave; alcuni campioni italiani di F1 del passato.  Stasera scopriremo anche quali dei piloti italiani si guadagneranno il titolo di Casco d&rsquo;Oro, Argento e Bronzo tricolore in base ai loro risultati 2015.  Se volete seguire via twitter le fasi della premiazione e scoprire chi c&rsquo;&egrave;, appuntamento a stasera sui canali di Autosprint su twitter:  @autosprint @autosprintLIVE

Poche ore alla annuale premiazione del nostro settimanale. Tanti grandi campioni sul palco

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