Il significato del Montecarlo 1972 &egrave; profondo, storico al limite del leggendario. Non &egrave; assolutamente vero che le vittorie sono tutte uguali, figurarsi quelle ottenute contro ogni pronostico e con una valenza che esula dal semplice traguardo sportivo.  Bottas: &quot;Hamilton si sente derubato, ed anche io ad Abu Dhabi ho perso molti soldi&quot;  Una vittoria epica  La mattina del 28 gennaio di 50 anni fa, Sandro Munari e Mario Mannucci scrivevano la storia dei rally, marchiando a fuoco la lunga tradizione del rally di Montecarlo. L&#39;edizione del 1972 &egrave; sicuramente quella pi&ugrave; struggente tra tante altre pagine di storia, per il semplice motivo che quella volta non fu solo una strepitosa affermazione di Munari e del suo copilota, no; fu un trionfo di popolo, con l&#39;orgoglio italiano a svolazzare insieme a quelle bandiere che, quella mattina, accompagnarono gli ultimi chilometri del Drago verso un traguardo da libro d&#39;epica.  GP Singapore, accordo fino al 2028  Lancia sfavorita, ma...  Alla vigilia tutti parlano dell&#39;Alpine, che pare aver gi&agrave; prenotato la vittoria. Tra i francesi ed il successo, si dice, c&#39;&egrave; solo la Porsche, della quale si potrebbe dire la stessa cosa, a parti invertite: tra la Porsche ed il successo c&#39;&egrave; solo l&#39;Alpine. Perch&eacute; s&igrave;, sulla carta dovrebbe essere un confronto tra francesi e tedeschi, ammesso e non concesso l&#39;inserimento della Ford, competitiva s&igrave; ma, forse, non all&#39;altezza delle altre due. E la Lancia? C&#39;&egrave;, ma pare defilata: la Fulvia HF 1600 &egrave; un progetto ormai gi&agrave; rassegnato alla pensione, in quanto &egrave; gi&agrave; partito lo studio della formidabile Stratos, ed &egrave; anche un modello pi&ugrave; datato rispetto alla Porsche 911S, alle Alpine A110 ed alle Ford Escort 1600. Eppure, un giovane direttore sportivo, Cesare Fiorio, ed un motivatissimo Sandro Munari, meravigliosamente navigato dal gi&agrave; citato Mario Mannucci, hanno un&#39;altra idea di quel rally di Montecarlo.  Loeb, quando l&#39;et&agrave; non conta: l&#39;ennesima impresa del Vaillant in carne ed ossa  Di traverso sotto la neve  Dell&#39;immagine del Davide che batte Golia a volte si finisce per abusare, ma &egrave; proprio quella che rende meglio l&#39;idea. All&#39;inizio si sfogano le Porsche, le pi&ugrave; veloci fino a quando il meteo decide di dire la sua: verr&agrave; gi&ugrave; talmente tanta neve che a tratti, pi&ugrave; che a Montecarlo, sembrer&agrave; di essere al 1000 Laghi. Ed in questo contesto, c&#39;&egrave; un altro segreto in casa Lancia, ovvero le eccezionali gomme Pirelli da neve, a rendere il trionfo tanto italiano che pi&ugrave; italiano non si pu&ograve;: macchina italiana, motore italiano, squadra italiana, equipaggio italiano e gomme italiane. Figurarsi che succede, in un&#39;Italia che a certe imprese non riesce a restare indifferente (i rally in quei tempi avevano un eco ben differente rispetto ad adesso), quando Munari esce allo scoperto e guida da maestro a Le Moulinon, alla terza speciale. Mentre le Porsche arrancano, Munari si prende la scena e balza in testa, con le Alpine che non mollano. La bufera di neve vera e propria si scatena alla prova speciale successiva, e l&igrave; s&igrave; che diventa difficile: Munari ci prova, fa quel che pu&ograve; ma le vetture francesi si prendono il comando, all&#39;apparenza per non mollarlo pi&ugrave;. E invece, succede ci&ograve; che non ti aspetti: Munari e Mannucci continuano a dar fastidio, le Alpine non possono restare tranquille, la meccanica chiede il conto e finiscono col cambio ko: prima salta l&#39;equipaggio Andersson-Davenport, quindi tocca a Darniche-Mah&eacute;. Insomma, nell&#39;ultima notte del 41&deg; Rally di Montecarlo, restano solo Munari, Mannucci, la Fulvia. E sulla strade, cominciano a comparire bandiere tricolori, con il verde al posto del blu.  Formula E, nuova vita: provaci ancora, Giovi  Vittoria, oggi come allora  Per Munari &egrave; un trionfo che sa di redenzione. Nell&#39;edizione di quattro anni prima aveva perso il fedele navigatore Luciano Lombardini, quattro anni dopo regala all&#39;automobilismo italiano una vittoria di cui andar fieri, non solo dal punto di vista sportivo: con quella vittoria la Lancia salva i conti e di conseguenza alcuni posti di lavoro, mentre la Fulvia si allunga la carriera agonistica. Cinquant&#39;anni dopo, pare incredibile che Sandro Munari vinca di nuovo: &egrave; appena tornato a casa dopo due settimane di ospedale, dove era stato ricoverato per una polmonite che sembrava averlo messo in condizioni molto gravi. E invece, oggi come allora, Sandro Munari ha vinto di nuovo, riuscendoci dove sembrava impossibile riuscirci. Proprio come a Montecarlo 1972. 

Sono passati 50 anni dall&#39;impresa di Sandro Munari e Mario Mannucci sulle strade innevate di Montecarlo, quando con la Lancia Fulvia HF 1600 la squadra diretta da un giovane Cesare Fiorio riusc&igrave; a sbaragliare la concorrenza di Alpine, Porsche e Ford

Montecarlo 1972, 50 anni dopo: Munari e quell&#39;impresa con la Lancia Fulvia

Ore d&rsquo;ansia per Sandro Munari. Il Drago di Cavarzere &egrave; ricoverato in ospedale e mentre scriviamo queste righe sta disputando la prova speciale pi&ugrave; difficile della sua vita. &quot;Pregate per lui, non posso andarlo a trovare&quot;.   Il dolore della moglie Flavia &egrave; straziante e sbatte contro le attuali assurde regole ospedaliere che impediscono ai parenti, anche a quelli stretti, di dare conforto e assistenza ai propri cari, anche a quelli che ne hanno assoluto bisogno. &Egrave; solo nel suo letto d&rsquo;ospedale il Drago e anche se intorno ha tutto l&rsquo;affetto dell&rsquo;Italia da corsa, di un popolo di appassionati che non lo hanno mai dimenticato, questa &egrave; immagine forte, ingiusta, assurda. Ci inchioda alla realt&agrave; drammatica di quest&rsquo;epoca. E fa stringere il cuore pensare che esattamente cinquanta anni fa, proprio di questi tempi, si celebrava la fantastica impresa del Rally di Montecarlo con l&rsquo;incredibile vittoria della Fulvia condotta da Munari e Mannucci.  Raccontava il Drago: &quot;Nel 1971 la Lancia chiuse la linea produttiva della Fulvia HF per scarsit&agrave; di vendite, mandando a casa 2500 operai. All&rsquo;indomani della mia vittoria al rally di Montecarlo, a inizio 1972, le cose cambiarono, tanto che da l&igrave; in poi la Lancia riusc&igrave; a vendere 50mila esemplari della ormai gloriosa HF, reintegrando le maestranze: &egrave; questa la pagina di sport e di vita della quale forse vado pi&ugrave; orgoglioso&quot;.  Una vittoria sorprendente col team che forse avrebbe addirittura preferito non partecipare a quella gara perch&eacute; ormai &egrave; gi&agrave; tutto concentrato sull&rsquo;erede della Fulvia: la Stratos a motore Ferrari che debutter&agrave; da l&igrave; a pochi mesi.  Giudicata obsoleta, incapace di reggere il confronto con le rivali, la &ldquo;Fulvietta&rdquo; parte battuta. Viene data per spacciata contro vetture pi&ugrave; potenti o pi&ugrave; leggere, o entrambe le cose, come Porsche 911 e Alpine A110. Arduo pensare di batterle. E invece il &ldquo;miracolo&rdquo; avviene e Sandro Munari e Mario Mannucci arrivano sul lungomare di Montecarlo da trionfatori.  Oggi, a 50 anni esatti, quell&rsquo;impresa resta scolpita nella memoria collettiva degli italiani. Non solo degli sportivi, e proprio questa &egrave; la forza di quel trionfo inaspettato: aver fatto breccia nel cuore di tutti. &quot;La cosa che pi&ugrave; continua a stupirmi - spiegava Munari - &egrave; quanto quel trionfo sia ancora vivo nella gente e, in particolare, nei giovani. Di persone che all&rsquo;epoca non erano neppure nate. Spiegazioni possono essercene anche pi&ugrave; di una. Per me quello &egrave; stato un successo di tutti, della gente comune. Che si &egrave; sentita orgogliosa di essere italiana. Allora ci si appassionava alle imprese sportive, quale che fosse la di- sciplina. Ed era l&rsquo;uomo che vinceva, non il mezzo, come &egrave; diventato in seguito&quot;.  Il &ldquo;Monte&rdquo; &lsquo;72 ha fatto da spartiacque fra due epoche e probabilmente proprio per questo &egrave; passato alla storia. &Egrave; stato, quel Montecarlo numero 41, il primo vinto dall&rsquo;Italia in epoca moderna, l&rsquo;ultimo prima che venisse ufficialmente istituito il Mondiale Costruttori: fino a quel momento esisteva solo un Campionato Marche di respiro internazionale ma ancora senza titolazione iridata.   Ha segnato dunque una sorta di linea di confine tra il &ldquo;vecchio&rdquo; e il &ldquo;nuovo&rdquo;; tra il &ldquo;prima&rdquo; e il &ldquo;dopo&rdquo;.  Rammentava Munari: &quot;Ricordo che quando ci dissero che eravamo in testa, a due prove dalla fine, prima del terzo e ultimo passaggio sul colle del Turini, n&eacute; io n&eacute; Mario riuscimmo ad aprire bocca. Un silenzio irreale era calato fra noi, ancora pi&ugrave; del solito. Poi, in vista del palco d&rsquo;arrivo, sul lungomare di Montecarlo, gli dissi: qui alla peggio spingiamo la macchina, ce l&rsquo;abbiamo fatta! E lui mi rispose: sembra proprio di s&igrave;! Tutto qua, molto semplicemente&quot;.   Gi&agrave;, semplicemente. Ma ot- tenerla, quella vittoria, non era stato per niente facile. Per cercare di dare pi&ugrave; competitivit&agrave; a una vettura, come detto, ormai obsoleta, gli uomini della Lancia stavano provando da tempo il differenziale autobloccante.  La soluzione, scartata da Munari per il Tour de Corse di pochi mesi prima, potrebbe invece risultare determinante al &ldquo;Monte&rdquo;, specie se ci saranno neve e ghiaccio. &quot;Mi resi conto che senza non avremmo potuto lottare per il successo - ricordava Munari - e allora... Tanto valeva rischiare! Durante i test fatti in Corsica, la Fulvia con l&rsquo;autobloccante si era dimostrata decisamente pi&ugrave; veloce, addirittura 1 secondo a chilometro, ma terribilmente faticosa da guidare con la sua trazione anteriore e il motore a sbalzo. Su un percorso tutto asfalto e tortuoso come quello della Corsica, guidare 24 ore non stop sarebbe stato durissimo. Impossibile anche per un &ldquo;Drago&rdquo; vero. Quel &ldquo;Monte&rdquo; l&rsquo;abbiamo vinto con il cuore, non arrendendoci mai, stando sempre con i primi, arrivando alla fine stremati dalla stanchezza dovuta alla gara e alla pesantezza di guida della Fulvia con l&rsquo;autobloccante. Ma l&rsquo;abbiamo vinto anche con la testa. Il cuore, perch&eacute; sono andato pi&ugrave; di quello che la Fulvia mi avrebbe permesso, con la testa perch&eacute; sono riuscito a non uscire di strada&quot;.   Semplice, no? Un&rsquo;impresa entrata direttamente nella leggenda quella del Drago. Una delle tante pagine scritte nella storia della corse dal fuoriclasse di Cavarzere. Campione indimenticabile. 

Il campione di Cavarzere &egrave; ricoverato in ospedale e Autosprint si unisce alla famiglia in un forte abbraccio di sostegno

L&rsquo;editoriale del direttore: Il Drago nella ps pi&ugrave; difficile

Sandro Munari e i suoi ottant&rsquo;anni, dal 27 marzo. Non c&rsquo;&egrave; niente da stupirsi, perch&eacute; la cifra narrativa pi&ugrave; bella, romantica e struggente del Drago &egrave; proprio quella d&rsquo;un tramonto che incendia il cielo, da fine Anni &rsquo;70.  Buona parte della carriera di Sandro e la maggior fetta della sua esistenza sportiva sono all&rsquo;insegna di un immenso imbrunire, di un commiato sportivo infinito, di un lungo addio rombante che resta negli occhi e nel cuore, tanto quanto i trionfi pi&ugrave; belli e gloriosi della sua giovinezza agonistica iperenergetica e cos&igrave; imbevuta di Italia, di Lancia, di Fiat e di noi.  Nascita di un mito  Nell&rsquo;immaginario collettivo dell&rsquo;Italia degli early Seventies che sognava davanti alla Tv in bianco e nero, col primo canale della Rai del giroscopio e di Carosello, non esiste mica Sandro Munari, ma una creatura mitologica, un ircocervo complesso, sorta di macchina attoriale recitativa a due teste oscillanti e quattro ruote moventi, un po&rsquo; umana e piuttosto metallica chiamata Munarimannucci e che si sposta caracollando sulla neve avvinghiata a un pesciolino dal nome di Lancia Fulvia HF.  Il trionfo al rally di Montecarlo 1972 &egrave; solo il primo dei quattro totali che perfezioner&agrave; con la Stratos, ma &egrave; quello deflagrante, scatenante, contaminante e salvifico. Perch&eacute; far&agrave; innamorare tutti. Appassionati maturi gi&agrave; infervorati dai ripetuti successi del Drago nei rally nazionali e internazionali d&rsquo;ogni dove, casalinghe quiete e bambini pronti a sognare con Carosello in attesa delle ore 21 perfino sullo Zorro improbabile che pubblicizza lo spay puliscimobili della Fabello, figuriamoci per Munarimannucci.     La chiamata di Ferrari  Confessiamolo e confessatelo, una buona volta. Tutti quelli che adesso hanno dai cinquanta in su hanno vinto almeno un rally in prima persona, grazie a una Lancia, in scala 1:43, e soprattutto con Munarimannucci scatenati in prove speciali decisive tra tinello e sgabuzzino delle scope, trasformati in bocce di vetro innevate.  In fondo ascoltarlo timidissimo ma competente magnificare nella reclame di Carosello le doti del Cinturato Pirelli CN54 &egrave; uno di quegli imprinting che poi ti porti dietro per una vita. Salvifico, sissignori, il Drago &egrave; pure re taumaturgo come un imperatore romano o Carlomagno: una sera ai Caschi d&rsquo;Oro di qualche anno fa Sandro raccont&ograve; con le lacrime agli occhi che sbancare il Monte 1972 con la Fulvietta signific&ograve; allungare la vita al modello di serie, salvando vendite e quindi posto di lavoro di tantissimi operai e la tranquillit&agrave; d&rsquo;altrettante famiglie. In fondo parlare di corse, di quelle corse e di campioni del genere, significa soprattutto carezzare la vita, capirne certe sue parti belle e anche per niente facili.  E in quel 1972 assolutamente magico c&rsquo;&egrave; anche la convocazione di Enzo Ferrari che lo vuole alla penultima Targa Florio iridata della storia, al volante della meravigliosa Ferrari 312P, in coppia con il favoloso stradista Arturo Merzario. C&rsquo;&egrave; poco da fare, il Drago deve passare da una gondola a un off shore, ma lui ci sta. Accetta la sfida. Diretto ancora una volta dal principesco Cesare Fiorio, d&rsquo;un solo anno pi&ugrave; maturo di lui, al box di Floriopoli, Sandro Munari, tra i primi a usare lo strumento dei team radio importati dalla Targa al Mondiale marche, trova la quadra a bordo del mostruoso prototipo e riesce a improvvisarsi valido coequipier dello scatenato Merzario, che alla fine riuscir&agrave; a tenere a bada d&rsquo;un soffio la rimonta terrificante dell&rsquo;Alfone. Guidato, pensa te, da Helmut Marko, uno che le ali Red Bull le aveva nell&rsquo;anima da quando era giovane e manco lo sapeva.  &rsquo;impresa del Drago in quella Rossa che si fa iridata resta a condire dibattiti, dispute, retrospettive dialettiche che durano decenni, perch&eacute; c&rsquo;&egrave; chi d&agrave; gran parte del merito a Merzario, che ovviamente guid&ograve; molto di pi&ugrave;, andando pi&ugrave; veloce del compagno e chi, invece, con un pizzico di sale in zucca che non guasta mai, riconosce che l&rsquo;apporto del Drago fu complementare, di altissimo livello, sorvegliato e intelligentemente quanto perfettamente sussidiario a quello del Fantino.  Il Merzario della Targa 1972 per la Ferrari &egrave; il Maradona del primo scudetto del Napoli, ma Munari fa la parte di un indimenticabile Salvatore Bagni, punto e a capo.  F1, traguardo quasi sfiorato  Alla vigilia di una Targa rievocativa di qualche anno fa ero stato al telefono con entrambi, attesi sul palco per una meravigliosa reunion, pregandoli di star tranquilli, di evitare confronti e battutine, finendo col cuore in gola solo a vedere i due spalla a spalla e impenetrabili davanti al pubblico.  Per poi sciogliersi in un risolutivo abbraccio atteso mezzo secolo, a testimoniare che la poesia, l&rsquo;anima bella, il cuore da corsa di entrambi avevano vinto sulle chiacchiere da bar.  Eppoi c&rsquo;&egrave; il Drago in F.1, sempre nel periodo d&rsquo;oro, quando va vicino a disputare un Gran Premio al volante della Iso schierata da Frank Williams ma poi tutto salta perch&eacute; deve correre al San Marino.  Peccato, perch&eacute; sarebbe stato bello, storico e mitico a prescindere dal risultato, vederlo assurgere anche al soglio della massima formula. Ci entrer&agrave; comunque di passata, a met&agrave; Anni &rsquo;80, da dirigente, all&rsquo;interno degli ultimi bagliori del ciclo di mezzo dell&rsquo;Alfa Romeo nella categoria, ma non saranno ricordi troppo felici.  Passo indietro  Talento immenso, una classe infinita, movimenti tecnici e agonistici importanti dalla Fulvia alla Stratos e fino alla Fiat 131, il Sandro Munari che esce dal 1978 &egrave; un uomo maturo, diverso, che sembra pensare ad altro nella vita, ma non del tutto. Ricordo una sua intervista alla Domenica Sportiva col grande Adriano De Zan, nella quale descrive se stesso in poche parole, a voce bassa, come piace a lui, dicendo che nei rally ha vinto praticamente tutto, ovunque e con qualunque tipo di macchina e ed &egrave; venuto il momento di fare un passo indietro.  Di pensare alla famiglia, a una vita normale. Ma, attenzione, rester&agrave; aperta un&rsquo;opzione, quella di correre l&rsquo;East African Safari, la sola vittoria che gli manca e puntualmente gli sfugge, come un bersaglio femmineo di letteraria volubilit&agrave;, che si nega con ostinazione bizzosa a un irresistibile conquistatore, per una volta blandito, irretito e ingiustamente quanto capricciosamente respinto. Fate come volete, godete del primo e del secondo Munari, di quello che nasce, pasce e cresce vincendo tanto e quasi sempre, nelle notti, all&rsquo;alba, all&rsquo;aurora incantatrice e nella mattinata esistenziale dei rally.  Il titolo piloti  E di quello che nel 1977 fa infine suo pure il neonato titolo piloti, anche se lo chiamano ancora Coppia Fia. Fossi Jean Todt, farei un bel provvedimento retroattivo e quasi mezzo secolo dopo trasformerei per editto in iridati gli allori vinti dal Drago e da Alen l&rsquo;anno dopo, perch&eacute; vedere quei due l&igrave; senza un mondiale vinto &egrave; una cosa che sminisce la categoria ancor pi&ugrave; dei suoi due poetici e amati campionissimi. O forse no.  Magari &egrave; in quel pizzico d&rsquo;incompiutezza sinfonica che allignano ancor pi&ugrave; fascino e grandezza del Drago. Perch&eacute; &egrave; proprio in quell&rsquo;ostinarsi commovente a quarant&rsquo;anni sfiorati, toccati e poi passati da un pezzo, a tuffarsi nei panorami infiniti e innamoranti del Kenya, che lui strega tutti noi per sempre.  Che bello, rivederlo nel Safari leggendario dei tre stati a rinverdire la metafora dantesca dell&rsquo;Ulisse rivisitato che non ci sta a restare nella sua Itaca e torna, perch&eacute; navigare necesse est anche se il navigatore non si chiama pi&ugrave; Mannucci, ma ormai risponde ai casuali e improvvisati nomi di Jacques Jaubert o Ian Street. Munari, non pi&ugrave; e mai pi&ugrave; Munarimannucci, diventa prefisso orbato di suffisso e al suo fianco di volta in volta si trovano nomi strani e improbabili oppure quello dell&rsquo;amico e caro Piero Sodano, a cercare quel successo negato, ormai impossibile e sfuggente tra verdi colline d&rsquo;Africa, grappoli d&rsquo;alberi sofferenti a graffiare l&rsquo;orizzonte immenso e nuvole basse che non promettono pioggia.  Lo vedi fendere la savana in Alfetta Gtv, in Porsche, perfino con una fragile e mastodontica Dodge Ramcharger.  E le firme superprestige della categoria, i Cavicchi e i Rancati, per una volta, pur d&rsquo;onorarlo scrivono pi&ugrave; della Ramcharger che delle regine d&rsquo;Africa, pensa te.  Tra i romantici a cercare l&rsquo;ultimo hurr&agrave; negato ci son lui, classe 1940 da Cav&agrave;rzere, e Rauno Aaltonen, classe 1938 da Turku, tundra flinlandese, a rappresentare figure inquiete, vulnerabili e esistenzialmente ormai delicate, quasi uscite da un romanzo di Karen Blixen. Per fortuna, Munari da una parte e Aaltonen dall&rsquo;altra, non ce la faranno.  La vittoria mancata  Non lo vinceranno, il Safari. Cos&igrave; la loro rester&agrave; una sfida inesausta e insoddisfatta, lasciando nell&rsquo;aere l&rsquo;armonia dell&rsquo;incantesimo mai spezzato, che impedisce di dimenticare. Il relitto rugginoso di una Stratos nel quale viveva fino a pochi anni fa un cane lupo, resta simbolo tutto africano e malinconicamente animista d&rsquo;un sogno naufragato ma lieve, soave, a incarnare la passione dissipante che un pilota pu&ograve; provare per una corsa, cos&igrave; come l&rsquo;amore di poche speranze che un uomo sa riservare a una dea sfuggente.  Viale del tramonto  Per questo non mi stupiscono gli ottanta anni di Sandro Munari, quella luce strana da crepuscolo nobile d&rsquo;una parabola di un personaggio da noi tutti con immenso affetto carezzato, il quale da sempre agonisticamente simula tramonti stupendi come un attore prova monologhi importanti. Tranquillo Sandro, tanti di noi ti pensano cos&igrave;.  Filmato dall&rsquo;elicottero, al tramonto, nella savana, con una Stratos che ormai ha lasciato indietro tutti e che corre incontro a un destino il quale come sempre far&agrave; a modo suo. Ma non importa, Drago, perch&eacute; nel frattempo, pensando a te, abbiamo capito quant&rsquo;&egrave; importante fermare l&rsquo;immagine, stopparti in quel momento magico, semplicemente, s&igrave;, in un momento come questo, per abbracciarti forte. 

Ecco il significato profondo degli 80 anni di Sanro Munari, appena festeggiati

Infinitamente Drago

Se dovessimo scegliere alcuni tra gli apici per le corse tricolori, i nomi sarebbero presto fatti. C&#39;&egrave; Tazio Nuvolari quale eroe ante guerra,&nbsp;Alberto Ascari e Nino Farina come gli unici Campioni del Mondo italiani&nbsp;di Formula 1, e per i rally c&#39;&egrave; Sandro Munari. Lui, il Drago di Cavarzere, che oggi taglia il traguardo dei suoi meravigliosi 80 anni.  F1, #orgoglioitaliano: Patrese sbanca Monaco 1982  Un grande  Sandro Munari &egrave; semplicemente un grande. Anzi, un grandissimo. Con un volante in mano ha fatto cose che in tanti hanno provato a rifare senza riuscirci, perch&eacute; certi numeri li hai nel sangue, ed in una specialit&agrave; come i rally, dove la stessa curva l&#39;affronti una volta sola anzich&eacute; 50, 60 o 70 volte come per le corse su pista, l&#39;istinto ed il talento cristallino fanno ancor pi&ugrave; la differenza. Sandro Munari &egrave; stato un grande su terra, neve e asfalto, ma &egrave; stato un grande anche fuori dall&#39;abitacolo, perch&eacute; &egrave; stato un avanguardista: &egrave; stato lui il primo a curare gli aspetti apparentemente extra sportivi come la preparazione atletica o l&#39;alimentazione, spostando lo standard di un pilota di rally dall&#39;immagine di racer duro e puro a quella di professionista del volante, per tacere poi del continuo relazionarsi con i tecnici per una meticolosa preparazione della macchina. Anche cos&igrave; Sandro &egrave; riuscito a far strabordare la sua bacheca, che conta una sola Coppa Fia Piloti solo perch&eacute; prima del 1977 non era previsto alcun riconoscimento al conduttore. Una bella ingiustizia.  WRC, Rally d&#39;Italia rinviato  Dagli inizi alle vittorie  Prima di diventare il Drago, Munari inizia con i rally a 24 anni, nel 1964, con un&#39;esperienza non banale: &egrave; il navigatore di Arnaldo Cavallari, pilota di vertice delle corse su strada dell&#39;epoca. Sandro diventa pilota l&#39;anno dopo, con la partecipazione al campionato italiano che lo vede al top per due volte, nel 1967 e nel 1969. Successi buoni per fare un passo in pi&ugrave; ed entrare nel giro dei grandi, con le gare all&#39;europeo che lanceranno definitivamente la carriera del pilota veneto, il cui cammino si sublima con la Lancia. E&#39; con la casa di Torino che Sandro infatti vive i momenti pi&ugrave; belli della sua carriera: il primo hurr&agrave; &egrave; quello al Tour de Corse del 1967, cui seguiranno tanti altri splendidi successi, come ad esempio i quattro al Rally di Montecarlo, correndo con la Flavia, la Fulvia ed ovviamente la Stratos, regina del 1977, anno in cui come detto il Drago si porta a casa la Coppa Fia Piloti, un successo arrivato quattro anni dopo un altro traguardo fondamentale, ovvero il titolo europeo. Nel frattempo, in quegli anni Munari si toglie anche lo sfizio di correre per la Ferrari nel Mondiale Marche, con il prototipo 312 PB, con il quale si impone insieme ad Arturo Merzario nella Targa Florio del 1972. Sandro, una volta ritirata la Stratos, avr&agrave; pure il tempo di togliersi qualche soddisfazione con la Fiat 131 prima del ritiro nel 1984, arrivato dopo altre esperienze come il Rally Dakar o il Rally dei Faraoni.  F1, #orgoglioitaliano: Jody, Gilles ed il trionfo Ferrari a Monza 1979  Sandro oggi  Dal 27 marzo 1940, sua data di nascita, sono passati 80 anni precisi, un traguardo che il Drago si gode con moglie, i figli ed i nipotini. Non il miglior momento storico per darsi alla pazza gioia, ma ricordare vita e vicende sportive di Sandro magari strapper&agrave; un sorriso e nostalgici ricordi a tutti gli appassionati di rally e di corse in generale. Anche da qui, tanti auguri Sandro. 

Il Drago festeggia 80 anni d&#39;et&agrave;: facciamogli gli auguri ripercorrendo le tappe pi&ugrave; importanti della sua carriera, senza dimenticare che cose Sandro ha rappresentato per i rally

Rally, orgoglio italiano: gli 80 anni di Sandro Munari

Il mondo dei rally italiani &egrave; in lutto per la scomparsa di Arnaldo Cavallari, uno dei padri della specialit&agrave;. Classe 1932, veneto di Adria, il &ldquo;vecio&rdquo; come lo chiamavano tutti nel giro era stato lo scopritore di Sandro Munari.   Al volante aveva fatto collezione di campionati italiani (ben quattro), una Mitropa Cup, e un titolo di Granturismo di serie. Risultati davvero incredibili se rapportati alle vetture degli Anni Sessanta. Ha corso con Alfa Romeo Giulietta, Giulia Quadrifoglio e Gta, Lancia Fulvia Hf, e Posrche. Punto di riferimento per intere generazioni, aveva chiuso la sua strepitosa carriera verso la met&agrave; degli Anni 70 con diverse partecipazioni alle maratone africane.   Maurizio Voltini

Vero pioniere dei rally, vincitore di 4 titoli italiani, era stato lo scopritore di Sandro Munari

5 risultati per 'munari'

Montecarlo 1972, 50 anni dopo: Munari e quell'impresa con la Lancia Fulvia

L’editoriale del direttore: Il Drago nella ps più difficile

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E' morto Arnaldo Cavallari