Quale futuro per gli ex?

25.01.2011 ( Aggiornata il 25.01.2011 14:47 )

La Formula 1 affascina e a volte può arrivare anche a ipnotizzare. Per le centinaia di giovani piloti che militano nelle formule propedeutiche è il paradiso in cui si spera un giorno di poter entrare. Ci sta. Ma volgendo lo sguardo non solo alle prime file e ai loro top-driver, le storie che nascono nel paddock più ambito al mondo sono tante e non sempre a lieto fine. Prendiamo ad esempio Lucas Di Grassi. Dopo 150 gare in monoposto disputate nelle formule propedeutiche nell’arco di 8 anni, nel 2010 è finalmente riuscito a essere al via di un Gp di F.1. Il sogno di una vita, iniziato in Bahrain nel marzo di un anno fa. Per 18 volte il pilota brasiliano ha vissuto gli istanti irripetibili della partenza di un Gran Premio, poi, come in un crudele videogame, si è ritrovato di colpo al punto di partenza. Fuori da quella F. 1, che in dieci mesi lo ha accolto, gratificato e poi riaccompagnato frettolosamente alla porta. A 26 anni Di Grassi è andato a popolare il gruppo sempre più corposo di piloti che si sono ritrovati fuori dal paddock dopo aver disputato pochi gran premi. E di colpo questi piloti diventano degli ex, un bollino che stride con un’età anagrafica che in media è ben al di sotto dei trent’anni.

La F.1 non è un diritto, e questa non è certo una colpa della Fia o di Bernie Ecclestone, e poi le monoposto al via non possono essere più di tante. I volanti sono ambiti da un numero così elevato di piloti da rendere il gruppo di chi resta escluso sempre corposo. Quello che però contribuisce oggi a rendere ancora più frustrante la situazione di chi a 25 anni è già catalogato come un ex Formula 1, è la mancanza di alternative professionali ad una F.1 che nel tempo ha fagocitato grossa parte delle risorse economiche messe a disposizione da chi vuole investire nello sport automobilistico. E così la domanda che si pongono oggi i vari Di Grassi, Bruno Senna, Chandhok, Yamamoto, Klien e Liuzzi, esclusi dal mondiale 2011, è: cosa possiamo fare adesso? Conviene continuare a proporsi ai team di F.1 oppure iniziare la difficile impresa di guardare oltre la Formula 1?

Negli Anni Novanta la Formula Indy e poi la Formula ChampCar statunitensi erano valvole di sfogo capaci anche di accogliere pure il campione in carica di F.1, come nel caso di Nigel Mansell, ma anche tanti giovani provenienti dall’Europa con qualche gran premio e un’avventura sfortunata in F.1 alle spalle. Oggi negli Usa il contesto è professionalmente, ma soprattutto economicamente, ridimensionato. A chi bussa alla porta di un team della Indycar chiedendo un volante la prima domanda posta riguarda il budget di cui dispone il pilota. In Europa si sente molto la mancanza di una categoria Sport Prototipi di alto livello. Le vetture non sono monoposto, ma comunque molto potenti ed impegnative. Purtroppo la mancanza di Case ufficiali limita i budget a disposizione, e solo qualche gentleman può permettersi di avere al suo fianco un pilota di spessore. Insomma, in un momento storico nel quale a volte si ha l’impressione che ci siano più campionati che piloti, dunque non sono molte le alternative per i professionisti del volante oltre la F.1. A migliorare la situazione non sono certo i casi sporadici di qualche pilota abile a trovare un ingaggio nelle categorie Turismo, Gran Turismo o Sport, perché i nomi si contano sulle dita di una mano. Ma c’è anche chi, tra gli organizzatori, che comincia a studiare questa problematica. Ancora in modo embrionale, ma se non altro c’è chi ha preso coscienza che un parco piloti numeroso e di qualità potrebbe essere una base su cui far nascere un progetto. È già qualcosa.

(Nella foto, Bruno Senna con la Hispania-Cosworth al GP del Canada 2010)

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