Senna e la Ferrari, quel sogno incompiuto

Senna e la Ferrari, quel sogno incompiuto
In almeno tre occasioni Ayrton andò vicino alla F1 del Cavallino senza mai potersi accordare

Alberto Sabbatini

30.04.2014 ( Aggiornata il 30.04.2014 21:26 )

Imola, primavera 1991. A quei tempi ancora il cuore pulsante della F.1. Ayrton piega la testa per passare sotto la serranda semichiusa nei box, e compare alla luce della pit lane. I raggi del sole pomeridiano investono e fanno brillare la sua tuta rossa McLaren. Dalla tribuna di fronte - gremita - parte uno scroscio di applausi. Lui agita la mano per ricambiare, poi sussurra a me che sono al suo fianco: «Vedi quelle tribune là? Quando correrò per la Ferrari verranno giù dall’entusiasmo!». Non dice “se”, dice “quando”. Un messaggio nemmeno tanto subliminale al giornalista al suo fianco. Correre per la Ferrari era il suo sogno. È quello di tutti i piloti del mondo, figurarsi per Ayrton che era cresciuto come pilota correndo in kart in Italia dove la Ferrari è da sempre il sogno proibito di chiunque stringa una volante da corsa tra le mani. La Ferrari è rimasta un sogno incompiuto per Ayrton Senna. Come due primedonne si sono sempre sfiorate, annusate, piaciute. Senza mai concludere. Eppure Senna ci era andato vicino tante volte. La prima nel 1985, ai tempi della Lotus. Ayrton piaceva a Enzo Ferrari e l’avrebbe gradito pure Agnelli. All’avvocato piaceva quel ragazzino magro, fortissimo e tanto ma tanto educato. Furono allacciati dei contatti, Senna era già una rivelazione, aveva vinto il, suo primo Gp sotto il diluvio a Estoril, ma poi emersero troppe difficoltà per rompere il contratto con la Lotus che era pluriennale e chiudere l’affare. E la Ferrari lasciò perdere. La seconda volta a fine ‘90 per iniziativa di Cesare Fiorio. Che aveva compreso che soltanto Senna poteva dare alla Rossa quel boost che neppure Prost riusciva a garantire. Fiorio, per depistare tutti, lo fece contattare in gran segreto tramite il fotoreporter di Autosprint Angelo Orsi, amico personale di Ayrton da diversi anni. L’unico vero addetto ai lavori che aveva anche stretto un rapporto di amicizia solido e sincero con Senna. Ayrton quando era di passaggio nel nord Italia, si fermava spesso a casa di Orsi a pranzo o anche soltanto per un saluto. Fiorio chiese a Orsi di intercedere per un contatto. Orsi ne parlò con Senna e fu organizzato un incontro segreto a Montecarlo tra il pilota e il manager ferrarista. La trattativa andò molto avanti, si era addirittura arrivati a stilare un dettagliato contratto e superare incagli come le scritte di certi sponsor personali (la banca Nacional) che Senna voleva conservare sulla futura tuta rossa e che invece lo sponsor Marlboro della Ferrari non gradiva perché voleva la tuta interamente per sé. Ma in qualche modo gli ostacoli vennero aggirati. A quel punto però lo venne a scoprire Prost, il rivale acerrimo di Senna, che fece il diavolo a quattro, puntò i piedi e iniziò una guerra interna a Maranello tirando dalla sua parte il presidente della Ferrari, di allora, ing. Fusaro. La guerra politica innescata da Prost fece saltare l’accordo Senna-Ferrari e più tardi anche il posto di Fiorio che fu sostituito dall’ing. Lombardi. Ma poi la guerra interna scatenata da Prost si riversò anche sullo stesso pilota francese che mesi dopo fu licenziato per le critiche lanciate alla squadra e alla macchina. La terza trattativa Senna-Ferrari non cominciò nemmeno. Montezemolo ebbe un colloquio personale con Senna alla vigilia del tragico Gp San Marino 1994. I due rimasero intesi di studiare le possibilità di arrivare a un accordo negli anni successivi. La realtà è che la Ferrari in quel biennio 1993-’94 non era ancora competitiva ma Senna la teneva bene d’occhio, convinto che prima o poi la monoposto del Cavallino sarebbe tornata da primi posti e allora ci sarebbero stati i presupposti per un clamoroso cambio di casacca. Era un’idea precisa di Senna quella di finire la carriera di pilota in Ferrari. Con la sua tipica meticolosità aveva anche mentalmente disegnato le tappe future. Due anni in Williams - come da contratto - in cui se fosse andato tutto per il verso giusto Ayrton avrebbe vinto il quarto e il quinto titolo mondiale. Poi dal 1996 sarebbe stato pronto per l’ultima grande e clamorosa sfida della sua carriera: il passaggio alla Ferrari. A 36 anni Ayrton probabilmente pensava di essere ancora allenato e competitivo per inseguire il sogno più ambizioso: quello di vincere il sesto titolo mondiale superando la leggenda di Juan Manuel Fangio (e le 51 vittorie di Prost). E quale impresa più eclatante che farlo con la Ferrari? E riportare a Maranello il titolo mondiale F.1 che mancava dagli anni ‘70? Sarebbe stato il degno epilogo della carriera del più titolato pilota di Formula Uno della storia. Poi forse, dopo aver vinto con la Ferrari, si sarebbe tolto anche un ultimo sfizio: quello che aveva confidato più volte all’amico Giancarlo Minardi tra un piatto di pastasciutta e l’altro. “L’ultimo anno di Formula Uno lo faccio con te, sulla Minardi. Guiderò gratis. E proviamo a toglierci la soddisfazione di portare la tua monoposto un po’ più su delle ultime file”, racconta sempre chi raccolse le sue confidenze. Ma prima doveva superare gli ultimi impegni. E domare la concorrenza imprevista di quell’irriverente ragazzino, Michael Schumacher. Veloce, mlto veloce. Che ti stava così vicino, in scia, al Tamburello all’inizio di quel settimo giro di corsa... Alberto Sabbatini (Nella foto in alto, la collisione tra la Ferrari di Mansell e Senna al Gp Portogallo 1989 quando Mansell squalificato con bandiera nera, non si ferma ai box e travolge la McLaren di Ayrton)

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