Schumi, un anno dopo

Schumi, un anno dopo
A 12 mesi dall'incidente sugli sci che ha piegato il campione tedesco, facciamo il punto di una situazione che richiederà ancora parecchio tempo

29.12.2014 ( Aggiornata il 29.12.2014 13:45 )

Nella bella villa di Gland, in Svizzera, a pochi chilometri da Ginevra, il tempo scorre lento. Ormai sono quattro mesi che il padrone di casa è tornato a vivere qui ed è perennemente circondato dal personale che si alterna attorno a lui. Michael Schumacher però non riesce a rendersi conto del traguardo simbolico che ha tagliato. È passato un anno esatto da quel tragico incidente sulle nevi, a Meribel in Francia, che l’ha ferito irrimediabilmente nella mente più che nel fisico. Un anno vissuto tra paure, angoscia, interventi chirurgici, la disperazione per la vita appesa a un filo. E poi l’uscita dal coma, l’attenzione esagerata dei media, le polemiche sulla dinamica dell’incidente, le voci incontrollate, le fughe di notizie sulla sua salute spesso distorte. Persino il furto della sua cartella clinica. E sopra a tutti, a vegliarlo con lo stile e la fermezza di una regina composta e dignitosa, la moglie Corinna. La vita della famiglia Schumacher a Gland è lentamente ripresa anche se il padrone di casa - pur se fisicamente  presente - mentalmente non c’è ancora. Corinna per distendersi da un anno terribile, si concede qualche breve escursione a cavallo, la sua passione. Passione che ha trasmesso alla figlia Gina Maria. Mentre Mick, il figlio minore, dopo due anni di karting dove per non destare troppa attenzione su di sé si iscriveva alle gare con il cognome della mamma (Betsch) invece che con quello ingombrante di papà Michael, guarda avanti a una possibile carriera da pilota. E ha provato in gran segreto una monoposto in Francia. Ma la domanda che tutti si pongono oggi a un anno esatto dall’incidente di Schumacher è: come sta davvero Michael? Riuscirà a tornare una persona normale? Cerchiamo di rispondere a questi dubbi nella maniera più obiettiva possibile basandoci su informazioni attendibili e verificate. Provenienti da chi lo conosce, lo ha visto in questi mesi ed è al corrente del suo stato clinico. Evitando illazioni e speculazioni gratuite, ma anche il falso buonismo. Le tappe della sua guarigione stanno tutte in poche precise date. Il 29 dicembre del 2013 l’incidente, nei due giorni successivi l’intervento alla testa per rimuovere gli ematomi più gravi. Poi 6 mesi di buio assoluto. Quindi il 16 giugno l’uscita dal coma, a inizio settembre il trasferimento dall'ospedale di Grenoble alla villa di Gland e la lenta, lentissima ripresa. La buona notizia è che oggi Michael non vive bloccato su un letto. Quando non è sottoposto ai trattamenti di fisioterapia per tenere tonici i muscoli atrofizzati dalla lunga immobilità, viene fatto alzare dal letto, adagiato su una poltrona davanti alle finestre della sua villa che da un lato guarda le cime innevate delle Alpi Svizzere e dall’altro è affacciata sulle sponde del lago di Ginevra. Ha gli occhi aperti Michael. Ma lo sguardo è spesso perso nel vuoto. Guarda il panorama dalle grandi finestre della villa e negli ultimi tempi riesce a riconoscere i volti noti dei suoi familiari. Ma non riesce a comunicare con loro. Non parla. I muscoli facciali sono quasi immobili e non è in grado di compiere movimenti autonomamente. Reagisce agli stimoli esterni ma per adesso riesce a rispondere a una voce amica che gli parla soltanto con lo sguardo e muovendo gli occhi. Ma dentro la testa il suo cervello in qualche modo ha ripreso a funzionare. Giorgio Terruzzi, giornalista, scrittore ed opinionista di Mediaset, in un bellissimo articolo sul Corriere della Sera di domenica scorsa, ha raccontato che ogni tanto il viso di Michael si riga di una lacrima. Piange Michael quando sente la voce dei figli o di Corinna. È la dimostrazione che prova emozioni. Che il suo cervello funziona. Quella lacrima che gli sgorga dagli occhi quando sente un suono amico, è l’unico modo che il suo forte carattere ha per trasmettere all’esterno un’emozione. Il segnale che è vivo e capisce, anche se prigioniero di un corpo per adesso immobilizzato. Jean Todt, che gli fa spesso visita, professa ottimismo e promette che Michael tornerà sicuramente a una vita normale. I medici che lo curano sono più cauti e spiegano che la ripresa da ferite alla testa di questo genere non è questione di mesi ma di anni. Anche due o tre. E che a volte dopo un trauma cerebrale spesso il paziente dovrà ricominciare a imparare tutto pazientemente da capo, quasi fosse un bambino: parlare, muoversi, ricordare. Fa effetto oggi pensare che l’uomo e il pilota che aveva insegnato all’intera F1 come si può contemporaneamente guidare facendo più cose - girare lo sterzo, schiacciare tasti sul volante per regolare l’assetto e parlare alla radio dando indicazioni di strategia al box - adesso fatica a fare una sola cosa: comunicare con la sua famiglia. Ma quel che conta è che Michael ci sta provando e combatte: la sua ferrea volontà vuol vincere la guerra con il destino avverso. E se c’è uno che le proprie battaglie le ha vinte tutte, è proprio lui. Alberto Sabbatini

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