Questione di stile? Non solo. Per capire quanto si sia involuta la Formula 1 sul fronte dei
piloti-personaggio, non serve scomodare le foto da copertina di James Hunt e la vita da
tombeur de femmes di tanti protagonisti di un’epoca ormai passata. Basta molto meno, basta ascoltare le dichiarazioni – spesso fotocopia – che ciclicamente vengono riproposte davanti a microfoni e telecamere.
Emerson Fittipaldi non ha dubbi, è una
Formula 1 ingessata, ipercontrollata e bolla i piloti come dei robot. Difficile dargli torto. «
Se c’è una parola che descrive bene cosa dovrebbe essergli consentito, questa è: libertà. Negli Stati Uniti tutti parlano di libertà di parola. Se guidi una Ferrari, ad esempio, prima della conferenza stampa vieni catechizzato su cosa non puoi dire o non dovresti dire. Che schifo!» (Emmo è ancora più colorito nell’espressione; ndr).
Recentemente,
Juan Pablo Montoya ha invocato paddock aperti al pubblico, un contatto maggiore tra piloti e tifosi, tra tifosi e macchine, una serie di interventi per rendere un mondo percepito come distante, distaccato, più reale e disponibile.
«Sono un robot oppure ho una personalità? E’ questo che manca», spiega
Fittipaldi a Motorsport.com. Ma vuole anche precisare che non sono i piloti ad avere tutte le colpe, bensì chi li vuole controllare:
«A Rosberg dovrebbe essere permesso dire “Ragazzi, oggi la Mercedes mi ha rovinato la gara con le loro decisioni, questi maledetti!”. Dovrebbero poter dire qualunque cosa. Invece, si siedono e quando gli chiedono com’è andata la gara si limitano a dire: “Bene”.
Devono avere personalità. Il sistema è sbagliato, non loro, non è un errore dei piloti. Dovrebbe esserci una migliore interazione tra pubblico e tifosi a mio parere». A ben vedere, sprazzi marginali di comunicazione “alternativa” li abbiamo vissuti in Cina, con la
polemica (fuoriluogo) tra Rosberg e Hamilton. Schermaglie, poca roba rispetto alle manifestazioni di gente come
Piquet, giusto per richiamare un caso estremo.
I protagonisti dell’apertura dovrebbero essere team e strutture di comunicazione, a dire del brasiliano, che pure ricorda come “ai suoi tempi” gli impegni commerciali esistessero già, ma non si sovrapponevano con la libertà di esprimersi.
«La Formula 1 e le persone delle PR, dovrebbero permettere ai piloti di parlare di più. Ai miei tempi, avevo un rapporto commerciale con la Philip Morris per 20 anni e sapevo esattamente cosa dire, ma avrei potuto dire qualsiasi cosa: mi era ancora permesso di esprimere la mia personalità, avevo libertà di pensiero e quella è tutto.
Non accusiamo i piloti, appartengono a un ambiente diverso dal mio allora, ma deve cambiare. E’ uno sport e l’atmosfera dello sport non dev’essere danneggiata da quel che è consentito dire agli atleti».
Fabiano Polimeni