Adieu Bianchi: il ricordo

Adieu Bianchi: il ricordo
Da Autosprint in edicola, il nostro Roberto Chinchero traccia un ritratto toccante di Jules Bianchi che ha conosciuto e seguito fin dalla Gp2

20.07.2015 ( Aggiornata il 20.07.2015 02:22 )

Rimarrà l’immagine di un sorriso, di quei capelli apparentemente spettinati, gli occhi scuri che spiccavano su quel volto da bravo ragazzo. Per i medici Jules Bianchi era già volato via quel 5 ottobre a Suzuka, ben prima che le infezioni sopraggiunte nelle ultime settimane lo costringessero alla resa. Ma solo per loro. La logica in realtà è stata sopraffatta dai sentimenti, e pur sapendolo con gli occhi chiusi su un letto d’ospedale da 285 giorni, la notizia della morte di Jules è stata comunque una pugnalata. I nove mesi di limbo non hanno anestetizzato l’affetto e i legami con un ragazzo che purtroppo non saprà mai quanta stima e simpatia ha saputo conquistare nei paddock che ha frequentato. Non sono parole di circostanza, non le meriterebbero Jules, la sua famiglia e non le meriterebbero neanche tutti coloro che sono stati negli anni al suo fianco. L’ambiente del motorsport è feroce e non fa sconti. Le invidie, le battutine, le critiche dette rigorosamente alle spalle, sono all’ordine del giorno, soprattutto quando hai un manager importante che ti segue. E quando nel 2010 la Ferrari lo ha voluto nella sua neonata Academy, gli avversari più rancorosi hanno provato ad appiccicargli addosso l’etichetta del raccomandato. Questione di tempo, poco, e poi ha messo tutti d’accordo, abbinando i risultati in pista a quel suo carattere che lo ha sempre portato a muoversi in punta di piedi, senza una parola di troppo. Anche quando vinceva. E Bianchi, è giusto ricordarlo, ha vinto parecchio. Disponibile e sorridente, non solo nelle giornate trionfali. Lo si incontrava nel paddock la sera, o in aeroporto, o all’ingresso di un hotel: era sempre Jules. Non ha mai mancato un saluto, un sorriso, una stretta di mano, e se non gli si andava incontro credendo di disturbare, ecco che arrivava lui. Con tutti. Neanche la divisa con il Cavallino, che per peso specifico può far girare la testa, è riuscita a cambiarlo. Con grande dignità ha saputo capitalizzare al meglio l’esordio in Formula Uno con una Marussia che non era certo un mostro in termini di competitività. Lo ha fatto con la stessa umiltà vista nel mondo del karting. Anni fantastici vissuti con papà Philippe, inseguendo con successo quei risultati che gli hanno offerto la chance della vita. Formula One Testing, Silverstone, England, Day Two, Wednesday 9 July 2014 Doveva essere un periodo di ambientamento nel Circus, e il contesto Marussia era perfetto. Un po’ come lo era stata la Minardi per Fernando Alonso, o la Hrt per Daniel Ricciardo. Un periodo di crescita lontano dai riflettori per passare successivamente in contesti più consoni al suo talento. È mancato il tempo, solo quello, ma la sua piccola grande impresa Jules l’ha realizzata anche in Formula Uno. Un nono posto nel Gran Premio di Montecarlo, che forse il tempo corroderà un po', ma il ricordo di quel dopogara rimarrà sempre nei ricordi di chi lo ha vissuto. Qualche ora dopo la gara nel Principato ci disse: «Sono molto sorpreso, sapevo cosa avrebbe comportato per il team questo piazzamento, ma non avrei mai pensato che così tante persone avrebbero notato la nostra piccola impresa. Alla fine è un nono posto, e credevo che solo noi avremmo dato il giusto peso a questo risultato. Ed invece l’ambiente ha percepito, e per me è stata una piacevole sorpresa. Spero che il pubblico, gli appassionati, ed anche altri giovani piloti, riescano a capire che anche chi corre nelle retrovie ha i suoi obiettivi, indubbiamente meno ambiziosi dei “top”, ma inseguiti con la stessa voglia e tenacia di chi lotta nelle prime file». Dopo quell’impresa Jules si fece il primo vero regalo della sua vita da pilota: ordinò una Bmw M4. Non lo disse a nessuno, se non ai suoi amici più stretti, perché non gli piaceva far sfoggio di status symbol. Un destino beffardo ha voluto che la vettura gli fosse consegnata poco prima di partire per Suzuka. Possiamo prenderci in giro, dire che Jules è volato via facendo ciò che più amava, ma la realtà è che nulla vale il prezzo di una vita, neanche il fuoco di una passione. Jules Bianchi ci ha salutato con un arrivederci che poi è diventato un addio, e ci mancherà. Come è mancato, tanto, in questi nove mesi, quel suo tono di voce basso e il suo italiano perfetto tradito solo dall’accento francese. Adieu, Jules. Roberto Chinchero Marussia_12854_lowres

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