WEC, Hartley sul trampolino di lancio

WEC, Hartley sul trampolino di lancio
A 26 anni, Brendon si prepara ad una nuova stagione da protagonista nell'Endurance dopo aver conquistato il suo primo titolo mondiale

18.02.2016 ( Aggiornata il 18.02.2016 10:15 )

Da Abu Dhabi: Marco Cortesi C’è vita dopo il sogno della Formula 1. A 26 anni, Brendon Hartley si prepara ad una nuova stagione da protagonista nel WEC dopo aver conquistato il suo primo titolo mondiale. Dalla ricerca di un sedile dopo la fine del sogno della massima serie al volante di una delle più desiderate vetture del motorsport, il neozelandese si è evoluto personalmente e sportivamente. Cosa ha convinto la Porsche a prenderti in squadra? “Fondamentalmente è stato il momento giusto. Ero impegnato in European Le Mans Series, e correvo anche negli Stati Uniti. Ogni volta che scendevo in pista speravo che qualcuno mi notasse. Ho mandato alla Porsche un’e-mail, senza attendermi una risposta, e invece è partito tutto da lì. Cercavano qualcuno con esperienza nei prototipi ed in Formula 1, e che fosse giovane. Quando ci siamo incontrati non mi aspettavo nulla…” C’è vita dopo il programma Red Bull? “Quando ne sono uscito, un po’ me l’aspettavo. Era un periodo in cui non ero contento, e non stavo rendendo al meglio. Comunque, si è trattato di una gran delusione, anche se va sottolineato che Red Bull mi supporta tuttora e non sarei qui senza di loro. In Red Bull non ero abituato a pensare da solo così tanto, e restando fuori dal programma mi sono trovato per la prima volta con le persone che mi seguivano dicendo: cosa facciamo? Comunque, ho presto recuperato, anzi ero sempre al telefono tutti i giorni per trovare una soluzione”. Qual è stato l’elemento fondamentale in quel periodo? “Continuare a lottare è stato la scelta giusta, ma in realtà non ce n’erano altre. Forse quello che rende così forti molti piloti neozelandesi è che non hai altre opzioni. Non c’è un piano B. Sei a migliaia di chilometri da casa e correre è l’unica cosa che sai fare. Andare in Europa per noi è un impegno enorme, per il quale fai molti sacrifici”. Come hai iniziato a correre coi prototipi? “Mi sono trovato a passare un po’ di tempo con Sebastien Buemi, con cui ero amico dai tempi di Milton Keynes. Lui aveva appena firmato per la Toyota e mi consigliò di guardare all’endurance. Sono andato al Paul Ricard con quei pochi soldi che mi ero guadagnato, ho cercato un team e ho fatto i miei primi chilometri, 25 giri, col team Boutsen. All’inizio in Porsche non è stato facile: non pensavo che la pressione mi toccasse così tanto. Ero molto cauto all’inizio e probabilmente pensavo troppo, ero un po’ conservativo. Anche se quando salivo in macchina sapevo di dover spingere, c’era il pensiero di non voler fare errori. Ora però va tutto bene, è quello che voglio fare, è un lavoro da sogno, e penso di non essere ancora nel mio momento di massimo rendimento”. Hartley1

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