Vegas eRace, la gara virtuale da 1 milione non è stata un gioco

Vegas eRace, la gara virtuale da 1 milione non è stata un gioco

Ragionamenti a ruota libera a seguito della gara virtuale corsa in occasione del CES: quella al computer o al simulatore sarà una vera futura categoria di competizioni?

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Maurizio Voltini

08.01.2017 17:09

Lo scorso sabato 7 gennaio si è disputata a Las Vegas, presso il Venetian Hotel e contestualmente alla 50esima edizione del CES (il Consumer Electronics Show, la più grande fiera mondiale di elettronica), la prima Visa Vegas eRace. Si tratta di una gara automobilistica virtuale, cioè disputata da concorrenti che gareggiavano seduti a una consolle di gioco, ciascuno con il proprio monitor e i comandi (volante e pedali) disposti come su una monoposto reale: una gara al computer, insomma.

Non è la prima volta assoluta che si disputano manifestazioni del genere, ma questa di Las Vegas ha segnato una tappa importante e significativa, vuoi per l'enorme montepremi (1 milione di dollari complessivi) vuoi per la comprensibile enfasi data all'evento dall'organizzatore Alejandro Agag, che già gestisce la Formula E. Non è certo stato un caso che fosse presente anche il presidente Fia, Jean Todt. Viene dunque da chiedersi: questa Vegas eRace sarà davvero il trampolino di lancio per una prossima serie di "gare virtuali" che si affianchino con simile dignità alle competizioni tradizionali? Questo ce lo dirà il tempo, ma le prospettive indubbiamente ci sono. Vediamo intanto quali sono state le nostre prime impressioni dopo aver assistito a questa prima manifestazione.

Dal punto di vista dello spettatore, le similitudini con una gara vera sono state numerose, incidenti compresi; ma restano alcuni aspetti da migliorare. A partire da una generale "asetticità" dell'evento, che diremmo però dovuta a questioni collaterali. Già le gare di Formula E reali sono meno coinvolgenti a livello ormonale per via della mancanza del rombo dei motori e di una certa limitazione nella "cattiveria" di comportamento delle monoposto: in questo caso si aggiunge l'ambientazione virtuale che, seppur ben fatta (per quanto restino ampi margini di miglioramento), tende a mantenere più distaccato lo spettatore. Anche la premiazione è stata poco coinvolgente, ma probabilmente per via di un'ambientazione scarna e nella quale il pubblico è stato poco coinvolto: ben diverso dai podî veri con la folla festante. In una certa misura dipende quindi dalla scelta delle inquadrature e più in generale dall'ovvia inesperienza della regia, che per esempio avrebbe potuto sfruttare di più i replay della partenza oppure le scritte in sovrimpressione, per far capire chi erano i piloti inquadrati e per quale posizione lottavano, nonché cosa stava succedendo in situazioni come i pit-stop.

In più, nel caso specifico, si è aggiunta la conformazione della pista che, per quanto risultasse "guidata", non favoriva i sorpassi: un problema che sappiamo bene quanto sia comune con l'automobilismo reale, ma visto che in questo caso le piste possono essere disegnate da zero… Anche l'apparato tecnico non è stato esente da criticità, imputabili proprio al software acerbo: assolutamente da evitare in futuro i problemi come quelli che hanno impedito a Lucas Di Grassi di correre oppure che hanno portato alla penalizzazione del primo al traguardo, Olli Pahkala.

Peraltro è giusto evidenziare che, fra le differenze rispetto a una gara del mondo fisico, ve ne sono alcune abbastanza interessanti e che se ben sfruttate possono accrescere l'interesse e l'apprezzamento verso le gare virtuali. Per esempio, una volta tanto è stato possibile vedere direttamente le emozioni pregara dei piloti trasparire dai loro volti, altrimenti nascosti dai caschi. Sarebbe stata curiosa qualche immagine anche dell'impegno in corsa, ma pure la delusione dipinta sulla faccia di Bono Huis per essere arrivato secondo al traguardo (prima che gli venisse assegnata la vittoria per la penalizzazione a chi l'aveva preceduto) è valsa il gioco.

Come pure è stato simpatico poter vedere i concorrenti "sfancularsi" direttamente dopo l'incidente di metà gara alla chicane. Il fatto che tutti corressero con macchine identiche nelle prestazioni e nelle regolazioni è da apprezzare: con l'evoluzione di questo genere di competizioni avrà senso permettere a ciascuno di personalizzare la messa a punto (anche in funzione dei tracciati, come succede già normalmente) ma speriamo si resti entro certi limiti in modo da favorire la competizione. Per quanto concerne quest'ultima, oltre alle già scritte considerazioni sul tracciato di Las Vegas, da appassionati è stato comunque gradevole constatare che comunque le differenze di guida fra i vari piloti sono visibili: gli errori di traiettoria erano percepibili e penalizzanti. E' stato anche piacevole vedere con quale precisione sfiorasse i muretti Olli Pahkala (che ha già atteggiamenti da "personaggio", fattore positivo per lo show) oppure le continue piccole correzioni sul volante di Felix Rosenqvist.

A proposito dello svedese campione di Formula 3, va sottolineato come sia stato l'unico dei piloti "tradizionali" della Formula E a lottare alla pari con i "sim-racer" (fra gli altri formulisti, il primo a seguire è stato Jose Maria Lopez, settimo). Indubbiamente per i piloti cresciuti sulle monoposto vere vi sono parecchie limitazioni: non si ha la possibilità di "sentire" direttamente il comportamento della macchina e il rapporto con l'ambiente di gara è esclusivamente visivo, tramite il monitor. Secondo noi, comunque il fatto che abbiano svettato gli specialisti di questo genere di competizioni, aggiunge valore alla categoria: nel senso che fa capire come non debba essere presa sottogamba e che non basti essere un "pilota affermato" per primeggiare automaticamente.

Tutto ciò, assieme all'indubbio sforzo organizzativo e mediatico profuso nella Vegas eRace, potrà favorire l'affermazione di questa tipologia di gare, in parallelo alle competizioni "vere". Non dimentichiamo che già oggi (anzi, da ieri) molti piloti si allenano giocoforza ai simulatori delle varie squadre, dato che i test reali sono troppo costosi. In più, dobbiamo constatare come il karting stia ormai per essere soppiantato (se già non lo è stato), nel suo ruolo di ricerca dei giovani talenti, da altre manifestazioni "computerizzate" come quella del GT Academy di Sony e Nissan.

Non dobbiamo certo essere noi a spiegare quanto siano ben differenti i numeri, relativamente alla quantità di persone coinvolte, se paragoniamo la frotta di videogamer rispetto a quanti possono iniziare a correre con auto e/o kart veri. Infine queste gare virtuali, proprio per il (molto) differente impegno economico richiesto, hanno permesso di tornare al volante (o alla consolle) alcuni ex-piloti che erano stati costretti a smettere proprio per problemi pecuniari: Graham Carroll (seppur sfortunato nell'incidente triplo alla chicane) ne è un esempio, avendo corso in precedenza in Formula Ford. Anzi, in questo caso specifico di Las Vegas, oltre al munifico montepremi di 1 milione di dollari e ai 200mila dollari per il vincitore (Huis vi aggiunge oltretutto i 25mila dollari per la pole position) andrebbe evidenziato in pari misura come a tutti i finalisti sia stato garantito un premio di partecipazione di 20mila dollari. Ben diverso rispetto alle spese e alle tasse d'iscrizione che devono affrontare i piloti normali, vero?


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