E' solo sfortuna: Lance Stroll merita di più

E' solo sfortuna: Lance Stroll merita di più

Lance è veloce e negli ultimi due Gp ha avuto sfortuna: merita di stare in F1 e tre titoli in tre anni ne sono la prova

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25.04.2017 09:27

Tempo fa parlando con Mario Andretti circa la famosa frase di Enzo Ferrari “Nelle corse la sfortuna non esiste”, gli ho chiesto la cosa più naturale: insomma, tu alla fortuna ci credi o no? E “Piedone” ha candidamente risposto: «Se sbagli, è colpa tua, se non sbagli il discorso cambia». Quindi? «Quindi se commetti un errore e lo paghi, non puoi prendertela con nessuno, solo con te stesso. Ma se non hai fatto niente di male e la tua gara è finita, ecco, in quel caso e solo in quel caso, la sfortuna esiste e ti ha appena fatto visita».

È pensando a queste parole che rileggo l’inizio di stagione di Lance Stroll in Formula 1, alla luce del fatto che da tempo il canadese appare il pilota più recensito e relativamente più criticato del Circus. Perché? Primo, perché s’è praticamente comprato il posto alla Williams. Secondo, perché commette errori. Magari non troppi, ma certamente più d’uno. Terzo, perché dopo tre gare iridate Lance è tristemente fermo a quota zero punti, peraltro senza aver mai rischiato seriamente di prenderne uno.

Messa giù così, poco da dire. Prove schiaccianti, processo per direttissima, sentenza già scritta. Ma a ben guardare limitarsi a questo significa dar voce a chi dice la verità ma non la racconta tutta. Sì, è vero, il posto alla Williams per Lance ha qualcosa a che vedere con la ricchezza di suo padre Lawrence. Un uomo che la rivista Forbes classifica al 722° posto tra i billionaires del pianeta. Senza i presunti - ma verosimili - ottanta milioni di dollari investiti in un programma pluriennale per arrivare dal nulla alla F.1, il neomaggiorenne Lance adesso starebbe a giocare alla Ps4 Pro col visore da virtual reality 3D e fine dei giochi. Stroll Senior è uno che non ci sta a pagare giostrine, fatturoni e zitto, ma nel cammino del figlio vuole avere e ha avuto un ruolo attivo e codirigenziale, tant’è che per farlo correre e vincere con la Prema ha acquisito la quota di maggioranza del team italiano.

E prima di debuttare in F.1, mentre vinceva in F.3, il baby ha potuto utilizzare a profusione il simulatore Williams e provare con una vecchia monoposto di Grove, anno 2014, per sessioni di test privati a Silverstone, Budapest, Monza, Zeltweg, Barcellona, Abu Dhabi, Austin e Sochi. Con un test team personale di 20 Williams boys, oltre a cinque motoristi Mercedes la quale ha contribuito al mini-programma con due unità propulsive. In altri termini, papà Lawrence s’è fatto strada pure in Williams divenendo molto più di un semplice cliente, assurgendo a elemento che vanta sempre più una funzione di fatto portante alll’interno della struttura.

Ecco, poi però ci sarebbero da analizzare i meriti di Lance Stroll, il baby. Il quale s’è fatto le ossa in kart diventando nel 2008, quando ancora non aveva compiuto 10 anni, Rookie dell’Anno e quindi Pilota dell’Anno nel 2009 dalla Fedération Sport Automobile du Quebec. Nel 2010 arrivano varie vittorie, quindi tre anni di formazione col team di Dino Chiesa, l’entrata nella Ferrari Driver Academy e quindi la nomina a collaudatore Williams che lo porta a uscire dall’orbita Ferrari, tenendo con sé il tecnico Baldisserri. Ecco, facciamo finta per puro esempio di scuola che tutto questo sia fuffa, robina accaduta solo grazie a amicizie e contatti. Be’ poi ci son pure cose pratiche che tanti dimenticano. I fatti. Le vittorie vere. Le cifre. I titoli.

Lance Stroll nella sua carriera automobilistica prima di arrivare in F.1 ha disputato 63 gare, andando a podio in 44 di esse. Già che c’era, 28 ne ha vinte, in 24 ha fatto segnare la pole e 23 volte ha staccato il giro più veloce. Da debuttante si è aggiudicato il titolo 2014 nella F.4 italiana, l’anno dopo ha disputato la Toyoya Racing Series in Nuova Zelanda, che si corre con monoposto Tatuus, e ha fatto suo il campionato. Quindi, nel 2016, sempre sotto le insegne Prema Powerteam, ha sbancato la F.3 Europea. Tre anni, tre titoli a rilevanza ultranazionale.

Tanto per fare un confronto, nel 2001 Kimi Raikkonen era arrivato in F.1 dopo sole 23 gare in monoposto, 13 vittorie, un titolo in F.Renault 2000 Uk e un titolino nella Winter Series britannica. Molto meno, quindi, tanto che - peraltro ingiustamente assai - gli fu concessa una superlicenza a tempo e rivedibile, come la schiena di una recluta malaticcia. In poche parole, tornando a Stroll, lui la Williams F.1 se l’è meritata a suon di vittorie sui campi di gara, dimostrando molto più di quanto altri pur bravissimi hanno dovuto ottenere per avere una chance nel Circus.

Dati e numeri alla mano, la sua presenza nei Gp è strameritata e dovuta. Non solo. Meglio di ciò che ha fatto per riuscirci, nessuno al suo posto avrebbe potuto fare. Inoltre, quando viene criticato l’approccio mecenate della famiglia Stroll alle corse, si commette un peccato di finto amore per il pauperismo francescano, che nelle corse automobilistiche, su diciamocelo, non è mai esistito neppure tra chi è lì solo per partecipare. Gareggiare a alto livello costa immensamente e senza soldi, aiutini, aiutoni o giuste opportunità concesse, non si va proprio da nessuna parte.

Con immenso rispetto parlando e senza voler incorrere in sacrilegio va detto che persino Juan-Manuel Fangio senza l’appoggio sostanzioso di Juan Peròn - e con lui dell’Argentina tutta - non sarebbe mai venuto in Europa. E con altrettanto siderale rispetto discorrendo, lo stesso Bon Giovi Giovinazzi, per sua stessa ammissione, se non avesse incontrato il magnate Ricardo Gelael a quest’ora sarebbe presumibilmente in fila per cercarsi un posto di lavoro a suon di concorsi, correndo saltuariamente e solo per divertimento.

Quindi Stroll non è mica né Fangio, né Giovinazzi, ma verità è che nelle corse come nelle favole a un certo punto deve arrivare il principe azzurro, sennò mica si gareggia felici e contenti. E c’è chi il principe azzurro lo incontra meritatamente e meritocraticamente strada facendo e chi invece se lo ritrova entusiasta e compiacente fin dalla culla, nelle vesti e col sorriso di papà. Il primo è il caso dei campioni sopradetti, il secondo è il caso di Stroll. Il quale, per ora e a tutt’oggi, ha comunque dimostrato vincendo sempre, comunque e dovunque, che quelli del padre sono stati soldi ben spesi. Perché Lawrence Stroll al suo baby ha regalato non solo un divertimento e ricordi intensi, ma lo ha anche formato in un mestiere per il quale il neo-teenager ha dimostrato d’essere velocissimo e d’avere solide e consistenti capacità, sommando diplomi a master.

Quindi in tutto ciò che ha condotto Lance in F.1 non v’è proprio nulla di ingiusto o disdicevole, anzi, tutto il contrario. Vincere, progredire e ritrovarsi promossi perfino rischiando la pelle - vedi crash a Monza F.3 2015 -, in fondo è nella logica virtuosa delle cose. Poi, certo, c’è l’inizio tormentato della stagione in F.1 con la Williams.

Con errori e picchiate sia nei test precampionato a Barcellona che in prova a Melbourne. Cose che ci possono e ci devono stare per un debuttante, come poi ha verificato a sue spese il pur fortissimo Bon Giovi in Cina. Ed è anche vero che all’orrendo start in ultima fila di Stroll in Australia, ha fatto seguito la prima entrata in Q3 a Shanghai, col bel decimo posto in griglia, seguita dal dodicesimo posto in Bahrain.

In tutto una carriera in F.1 fatta di soli 52 giri complessivi di gara su 170 teorici possibili, perché sia in Cina che in Bahrain Lance è stato speronato e buttato fuori prima da Perez e poi da Sainz, quando entrambe le volte poteva pensare d’aspirare alla zona punti. E così tornano alla mente le parole di Mario Andretti: se sbagli, è colpa tua, se non sbagli il discorso cambia. Ecco, per Lance Stroll il discorso cambia. Nella vita ad avere il padre che ha è di certo il più fortunato, tra i piloti. Ma per come è iniziata la sua stagione, a oggi in F.1 è colui che ha avuto più sfortuna. Di più: resta uno che merita di stare dove sta, indipendentemente dal fatto che è bello, ricco e snello. E adesso con la Williams ha tutti i numeri per cominciarsi a togliere qualche soddisfazione. Bella, ma, attenzione, pure meritata.


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