Formula 1, la recita di Hamilton finisce qui

Formula 1, la recita di Hamilton finisce qui© sutton-images.com

A Baku perde la maschera ed è guerra vera tra lui e Vettel, nella F.1 post-viscida

26.06.2017 14:23

Oh, guarda, era ora. L’unica conseguenza tangibile e entusiasmante che entra nella storia di questo mondiale dopo la gara azera, è che grazie al doppio fattaccio fuori dalla curva 15 i giochini alla Hamilton di plastificato e felpato buonismo - della serie «Sono tanto felice di lottare per il titolo con Seb che è un pilotino così carino» - sono finiti.  

Dopo mesi in cui Lewis saltellava, squittiva giulivo contemplando l’avversario, abbracciava Vettel sul podio, lo carezzava manco fosse il suo orsacchiotto, adesso sarà costretto a piantarsela, con ’sta pantomima da Asilo Mariuccia.

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Non se ne poteva più. 

Almeno questa ce la siamo levata, poi sarà quel che sarà. 

Perché in Formula Uno il personaggio Hamilton da dieci anni si muove in partita doppia. Non solo cerca d’andare più veloce di tutti, peraltro molto spesso riuscendoci e spiegando al mondo di essere un grandissimo pilota, sia sul giro secco in prova che in gara. 

No, no, fermi lì, questa purtroppo è solo una parte della faccenda. 

Perché Hammer corre più di chiunque altro guardando l’avversario diretto, piazzando in modo del tutto gratuito scherzetti al limite e molto spesso oltre il limite dell’antisportività più snervante.

Botta (e risposta) tra Hamilton e Vettel: ostruzioni e reazioni

C’è tutta una letteratura da mattinali automobilistico-giudiziari che inizia nel 2007, l’anno del debutto in F.1, quando tirò scemo Alonso facendogliene di ogni e poi recitando puntualmente la parte del coniglietto arruffato capitato lì per caso.

E non solo a Nando. Come in quel pomeriggio di pioggia in Giappone, appunto del 2007, quando giocando all’elastico dietro la safety - un suo glorioso cavallo di battaglia - fece spataccare il giovane Vettel, su Toro Rosso, contro l’esperto e incazzatissimo Webber, su Red Bull. 

Già, là davanti c’era lui. Il solito peluche mannaro. Il soffice che ti sgarra e poi fa finta di niente.

Come se Materazzi con Zidane, una volta provocata e presa la testata, avesse ripetuto per dieci anni filati: «Chi io? A Zizou gli voglio bene. Sua sorella è una santa e col fratellino quando giochiamo non dobbiamo mica farci la bua, perché poi sennò lui suda, lei soffre e Gesù piange».?

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Il bravissimo che però c’è cascato due volte. Intanto, finendo nella rete del tranello, poi in quella più insidiosa, rabbiosa e autodistruttiva del fallo di reazione. Ma finisce qui, perché i ragazzi intelligenti nella vita sanno fare la figura dell'abboccone una volta sola.

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Diversa e ben più recidiva la faccenda dell’altro. 

Hamilton a oggi non ha il coraggio d’esser se stesso, spregiudicato e felice, duro e crudo fino in fondo: fondamentalmente è un Materazzi che non ce l’ha fatta.

Anche perché ogni volta che innesca il casino accendendo la miccia, tipo Baku, poi si guarda attorno con aria smarrita, inscenando un vittimismo finto come Giuda a cena. Continuando a fare il verginello mannaro anche dopo, domani e forse per sempre: il cucciolo bagnato dallo sguardo sbigottito, quando sportivamente parlando s’è appena mostrato lindo come un chiusino.  

Dai, su, quello del presunto brake testing è un falso problema, una questione del tutto mal posta. 

I dati della telemetria dimostrano inequivocabilmente che lui non ha frenato, no, ma appena fuori dalla 15 ha fatto ben di peggio: se sei alla guida di una monoposto di F.1 da capofila sotto Safety-Car e all’uscita di una curvetta lenta non acceleri, be’, fai peggio ancora che frenare. Caricando istantaneamente una trappola ancor più subdola per chi sta dietro.

Quindi, in definitiva, guardando il quadro complessivo, non serve a niente incolpare Vettel per aver avuto l’attimo doppio da totale pollo, in azione e reazione, perché il vero problema è la postura incallita e recidiva di Hamilton, il quale da una vita fa la volpe. 

Eppure lui, macché, gronda bontà da ogni artiglio dicendosi deluso da Seb e sfoggiando una faccia tosta mai vista.

Lewis a Baku ha corso non da campione, ma come uno che cerca rogna. E purtroppo, più che trovarla, l’ha fatta trovare. 

Due consigli spassionati quanto ignorabilissimi per il futuro. 

Non lo fare mai più, Seb. Ma, quanto a te, Lewis, in attesa del prossimo Gp d’Austria del 9 luglio, se hai giusto cinque minuti di tempo per vergognarti, fai pure. Provvedi.  

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