Ferrari F.1, ora tanto orgoglio 27 e un po’ di Al Pacino

Ferrari F.1, ora tanto orgoglio 27 e un po’ di Al Pacino

Da Sepang ci vuole lo spirito del numero Rosso sacro, unito all’epica di “Ogni maledetta domenica”

26 settembre 2017

E adesso come si mettono le cose per la Ferrari? Sul piano squisitamente tecnico c’è ancora in canna il proiettile del quarto motore, che è sempre meglio di niente. Tanto meglio.

Ma, sparato quello, di scientifico, elettronico & metallico necessariamente resta poco da mettere in campo per Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen

Certo, particolari, accorgimenti, adattamenti alle singole caratteristiche di ciascun circuito dei sei che da qui al 26 novembre, data del finalone di Abu Dhabi, assegneranno i due mondiali in palio, segnatamente quello Piloti, il solo davvero ancora aperto

Eppure la Rossa qualcosa in più lo ha e proprio a quello deve fare appello. 

È incistato nobilmente nel suo patrimonio genetico e si chiama in codice “spirito del numero 27”

Perché paradossalmente ma neanche tanto il numero di gara che più di ogni altro si identifica con il Cavallino Rampante - benché ora lo porti Hulkenberg -, non ha proprio niente a che vedere con le vittorie di titoli mondiali, ma affonda le sue radici nel periodo più buio, dal 1980 al 1995, quando, al massimo, al netto della sfiga, si potevano vincere gare spot e coltivare belle speranze, ma poi arrivava la realtà a spazzar via i sogni di gloria. 

Editoriale del Direttore: ora la Rossa deve limare le distanze

E quella dello spirito che fa capo al sacrale numero 27 da allora è una specie di discendenza sacerdotale laica e monastico-cavalleresca - anzi, verrebbe da dire cavallinesca -,  d’un feticcio semialchemico potente, che in discendenza lineare corre idealmente da Gilles Villeneuve e Jean Alesi, passando per Michele Alboreto.

Lo spirito di Rosso 27 può perdere, alla fine, ma sa combattere. Terribilmente. Fino all’ultimo istante dell’ultima curva

Nel concetto tutto samurai e kurosawiano che ci possa essere dignità anche nella sconfitta, a patto che l’eroismo consista nell’aver accettato la sfida impari non lasciando nulla d’intentato per vincere.

Perché la vittoria resta difficile ma possibile.

In ogni caso, anche in questo campionato, con Hamilton in fuga a +28 punti dopo che nel momento più favorevole a Seb era stato a -25, qualsiasi verdetto può essere accettabile, ma vissuto lottando e vivendo corse ben diverse da quella maledetta di Singapore, finita in modo così subitaneo e catastrofico.

Ci sono cose che la Mercedes W08 ha migliori della Ferrari Sf70H, ma è all’interno degli uomini di Maranello, in pista, al muretto e nell’abitacolo, che la Rossa deve cercare quel qualcosa in più. 

Come? Quanto? Perché? 

In un momento come questo, più che abbandonarsi a chissà quasi disquisizione tecnica e a prostici d’adattabilità, vale la pena appellarsi alle parole e ai concetti che, se messi in pratica, possono valere un decimo al giro e forse più, a Sepang, così come a Suzuka, a Austin e così via fino a Abu Dhabi.

Al Pacino nel film “Ogni maledetta domenica” di Oliver Stone ci va molto vicino a rappresentare quest’impalpabile forza infondendo lo spirito giusto ai suoi boys e nella storia del cinema tutto ciò viene ricordato impropriamente ma efficacemente come “Discorso dello spogliatoio”. 

Forse, accanto alle ultime evoluzioni, alle tattiche giuste e a quanto la Rossa sa dare ai suoi, è proprio ciò di cui i Maranello Boys hanno bisogno, in questo momento.

Così, in funzione puramente preparatoria, scaramantica e esorcizzante, vale la pena di rileggerselo, il Discorso dello Spogliatoio, le parole del coach Tony D'Amato, mettendo al posto della parola “football” - nel senso di football americano -, la parola Formula Uno, in attesa che si spengano i semafori di Sepang e delle gare che restano.

Dai, proviamo.

“Non so cosa dirvi davvero.

Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale.

Tutto si decide oggi.

Ora noi, o risorgiamo come squadra, o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, sino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso, signori miei. Credetemi. E... possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce.

Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta.

Io però non posso farlo per voi, sono troppo vecchio.

Mi guardo intorno vedo i vostri giovani volti e penso... certo che... ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare. Sì, perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio.

Sapete col tempo, con l’età, tante cose ci vengono tolte ma questo fa... fa parte della vita.

Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri. E così è il football.

Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine d’errore è ridottissimo. Capitelo...

Mezzo passo fatto un po’ in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate. Mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono sono dappertutto, sono intorno a noi, ci sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo.

In questa squadra si combatte per un centimetro. In questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi, per un centimetro. Ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro. Perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri, il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza tra vivere e morire.

E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro. E io so che se potrò avere un’esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. 

La nostra vita è tutta lì. In questo consiste, e in quei 10 centimetri davanti alla faccia. Ma io non posso obbligarvi a lottare! Dovrete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi. Io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi. Che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui.

Questo è essere una squadra, signori miei!

Perciò... o noi risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente.

È il football ragazzi! È tutto qui.

Allora, che cosa volete fare?”


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