Ogni squadra ha il suo fuoriclasse, l’eroe eponimo, il caposcuola indiscusso e anche il campione di tutte le epoche, da amare per sempre, col suo numero ritirato. Nei casi più fortunati e preziosi, tali ruoli coincidono in una sola persona e per Autosprint quest’uomo è e resta Marcello Sabbatini. Il Numero Uno.
Marcellone è tante cose, mica una sola. Spiegarlo è una parola, perché se lo descrivi su un versante, lo trascuri in un altro. Okay, fa niente, proviamo. Allora cominciamo dalla fine, da quando lo frequentavo. Da certe sere d’inverno, in una Bologna gelide nebbiosa d’inizio terzo millennio, quando ci andavo a cena. Si presentava in redazione quasi timido, col fisico alla Danny De Vito - in quel civico di San Lazzaro di Savena, via del Lavoro, 7, che l’aveva visto dominus, glorioso nocchiero, mitico e tonante maschio alpha oltre che temuto cacciatore di scoop e allevatore di giornalisti e praticanti tali - chiedendo timidamente alla giovane centralista, la quale non aveva neanche idea di chi fosse quell’uomo, che doveva subito avvisare un giornalista di Autosprint: Marcello era arrivato e lo stava aspettando.
Il resto è racconto, affabulazione pura, magia incitata in una realtà ormai lontana e favolosa.
La storia e la favola sua, di un tenace aspirante giornalista di provincia che per pura passione del mestiere si ritrova catapultato dall’Abruzzo nella Roma del Dopoguerra e finisce col conoscere tutto e tutti, in un mondo complesso e in rinascita. Sentir raccontare Marcellone di politica e editoria, di democristiani e imprenditori nella Roma felliniana e soprattutto flaianiana della Dolce Vita, è uno spaccato e al tempo stesso lo spettacolo meraviglioso di un’Italia brulicante, viva, vitale e entusiasmante, che proprio non c’è più.
E lui in quel magma ci si tuffa da cronista, come in un romanzo di formazione, imparando il mestiere e nello stesso tempo intrecciando contatti, fiutando stili, immagazzinando lezioni e numeri di telefono, prendendo qualche fregatura senza mai darne, per- ché ha già un suo stile, una sua cifra esistenziale moralmente delineata.
"Ho conosciuto tanti direttori, vari editori, qualche attore e perfino Maurizio Costanzo. Certe sere c’e- rano tutti e nei soliti posti" - diceva sorridendo, con la forchetta a mezz’aria e lo sguardo acqueo di rim- pianto, perché uno quando torna indietro da vecchio, un po’ piange sempre.
Poi per lui arriva Autosprint. La grande occasione. Che negli Anni ’60, vive in due cicli, perché viene, se ne va e torna. Ma nel frattempo prende un periodico d’informazione dell’automobilismo sportivo e lo trasforma in un memorabile, magnetico, ammaliante e innamorante settimanale da corsa.