Crediamo di non togliere nulla a
Sebastian Vettel, né di peccare in blasfemia, se iniziamo questa analisi affermando che le sue caratteristiche (e carattere) di guida non siano certo quelle del compianto
Gilles Villeneuve. Nondimeno ha colpito parecchi la decisione del
ritiro nella gara
in Austria, che lasciamo spiegare direttamente a Seb:
«Ci siamo fermati per risparmiare chilometraggio con il motore. Speravamo in una safety car, ma non c’è stata. È stato un brutto avvio di stagione, fra ritiri e problemi vari, e anche stavolta, sebbene fossimo abbastanza veloci, ormai eravamo attardati di un giro, per cui abbiamo deciso che era meglio risparmiare chilometri».
Ora, nelle corse del
terzo millennio è sicuramente anacronistico pretendere o quantomeno aspettarsi certi comportamenti - non crediamo ci sia bisogno di ricordare quali - che pure avevano consegnato indelebilmente
alla storia l’asso canadese (nonostante lo
zero-a-quattro nel computo dei mondiali rispetto al tedesco). Nondimeno proprio oggi abbiamo “compartecipato” alla vista di una Porsche 911 che, alla
24 Ore del Nürburgring, si è fatta metà giro (che lì sono una decina di km, per inciso) su tre ruote con un cerchio spezzato, pur di rientrare ai box e poter proseguire la gara, nonostante un risultato sicuramente compromesso. Un atteggiamento ben diverso ancorché “disperato”.
In ogni caso, ribadiamo: sicuramente
Vettel e i responsabili del team
Red Bull hanno operato la
scelta migliore dal punto di vista logico e logistico. Ma gli appassionati “duri e puri” crediamo sentano la mancanza di certi comportamenti, seppur illogici e/o ingenui, che potranno essere decantati in un libro di De Amicis più che nelle classifiche. Anche perché nello stesso tempo ci ritroviamo che al primo accenno di
sovrasterzo di potenza, i piloti vengono richiamati subito all’ordine e comunque vengono rallentati dalla conseguente perdita di prestazioni delle gomme. Questo perché risentono del
degrado termico per via del surriscaldamento in sbandata, che peraltro c’entra ben poco con la durata complessiva di ogni set di pneumatici. Crediamo che a
Peterson sarebbe venuto da piangere, ma anche a
Rosberg (Keke, però).
Così, nonostante vi siano in campo piloti che non si farebbero certo problemi a fare tutte le curve in drifting se ciò servisse ad andare più forte -
Hamilton e Alonso per cominciare, ma anche fra i “meno noti” ce n’è parecchi - dobbiamo accontentarci di vederli “giocare” con le dichiarazioni di fine gara e non
con l’acceleratore. Perché non ce ne voglia
Rosberg (Nico, stavolta) ma quando afferma che valuterà bene i dati per trovare il decimo che gli manca per vincere, non è certo cosa da
commuovere un certo tipo di appassionato. Sebbene poi arrivi
a vincere davvero e sebbene sappiamo bene tutti che la
ricerca della perfezione, la dedizione e l’uso del cervello, non siano certo doti negative in qualsiasi sportivo.
Ma se vogliamo rendere davvero
più spettacolare e attraente questa F1 - al di là del dominio di una squadra o dell’altra - sarà il caso di pensare a come tornare a liberare “quel certo non so che” di irrazionale e animalesco che siamo certi si celi ancora
sotto il piede destro di tanti piloti. Altro che “abilità nel controllare i consumi”, “risparmiare chilometraggio” e piacevolezze del genere. Forse le varie “commissioni” dovrebbero pensare più a queste cose, all’aspetto
più emotivo e passionale della prestazione sportiva, che non a “pattini scintillosi” sotto la scocca o a rendere un terno al lotto ogni ingresso di safety car…
Maurizio Voltini