Tira una brutta aria nel mondo delle corse, tra gli appassionati italiani che ragionano di Motorsport. Accanto alla stragrande maggioranza carica e fiduciosa che appoggia, stima e plaude Kimi Antonelli, v’è un’inquieta, sparuta e avvelenata minoranza che nei social o al coperto pelosamente ovattato di certi ambienti rumina e rimugina veleno, sostenendo una tesi del tutto opposta, che poi in sintesi sarebbe la seguente.
La tesi distruttiva
Al primo, vero e più severo esame di vita agonistica, Kimi Antonelli avrebbe fallito. Arrivato in Formula 2 in pompa magna, accompagnato da una fanfara strombazzante inneggiante a un imminente dominio, di fatto il teenager bolognese avrebbe combinato poco, con due misere vittorie, al minimo sindacale della gloria e con nessuna speranza di vincere il titolo.
In altre parole, la sua sarebbe la classica epopea del campionetto spravvalutato e già mezzo bruciato. Per colpa sua e di giornalisti che l’hanno posto e arbitrariamente imposto all’attenzione generale, come minimo prima del tempo.
Peggio. Kimi Antonelli, classe 2006, che compirà 18 anni il prossimo 25 agosto, a conti fatti, non solo non è il campione auspicato, ma, al contrario, somiglierebbe sempre più alle fattezze del classico raccomandato all’italiana. Il solito e poco solido bamboccetto, appoggiatissimo e pompatissimo, che arriva e si gode un’esposizione, un’importanza e una privilegiata supremazia mediatica del tutto usurpate, perché ormai, a questo punto, i conti non tornano.
Bene. A costoro rispondo dimagrendo gli aggettivi ed esponendo solo i fatti.
Che carriera!
Kimi Antonelli debutta in kart col ciuccio in bocca e da subito si rivela sensazionale. Dal 2018 entra nel team di Dino Chiesa, che ha lavorato con Hamilton e Rosberg, e a dodici anni si aggiudica alla grande il WSK Champions Cup-60 Mini e arriva secondo nell’Italiano di Kart. L’anno seguente passa alla OKJ, vince il WSK Euro Series e la WSK Final Cup e è secondo nel FIA Karting European Championship.
Nel 2020 passa alla categoria OK, vince il WSK Euro Series e diventa il Campione europeo nella sua categoria. Il mondiale FIA di Kart non lo ghermisce, perché in un incidente si procura delle fratture. Guarito, torna alla vittoria nel Campionato Europeo CIK-FIA. I suoi traguardi in kart gli valgono in corso d’opera un contratto con la Mercedes di Toto Wolff, che lo mette nell’Academy con un contratto iniziale di nove anni, cosa mai accaduta prima a un pilota italiano, dopo la rinuncia di Giorgio Pantano.
Nel 2021 Kimi debutta in monoposto, in F4, e alla prima stagione piena vince due campionati su due (Italiano e tedesco, i più impegnativi del panorama agonistico internazionale) e poi pure la finale mondiale di F4 su gara singola, con tutti i migliori della categoria a livello planetario. Non è finita. Al debutto in F.Regional vince il campionato Sud Est Asiatico e quindi nel frequentatissimo e superselettivo europeo fa il vuoto, guadagnandosi il salto di categoria, direttamente in F.2. Scelta coraggiosa e rischiosa, perché per lui sarebbe stato più graduale e agevole tentare la F.3, ma la decisione, confortata dalle telemetrie e dalle autorevoli indicazioni di Toto Wolff che lo adora, è quella di puntare in alto.
La Formula 2
Al momento in F.2, malgrado un inizio influenzato dal difficoltoso approccio del team Prema alla nuova monoposto, Kimi ha vinto due gare, dominandole. E se lo si paragona al compagno di squadra Bearman che l’anno scorso aveva vinto tre gare in F.2 e quest’anno era il favorito al titolo, e che Antonelli mette costantemente dietro, si capisce che lo stesso Kimi sta andando alla grande.
Accanto a questa, sotto i riflettori c’è la stagione ombra che Kimi sta disputando con una Mercedes F.1 di due anni fa, su alcuni dei più importanti circuiti europei. A partire da Zeltweg, per proseguire in sessioni private a Barcellona, Silverstone e Spa, nei giorni scorsi.
Ebbene, anche se non esistono riscontri ufficializzati, i tempi del ragazzo col team del suo mentore Toto Wolff appaiono strepitosi. Addirittura in occasione del test a Silverstone, si è misurato direttamente con Mick Schumacher e George Russell, di fatto asfaltando il già esperto tedesco e arrivando lì lì col lanciatissimo e fortissimo George. Al punto che Toto Wolff ne avrebbe tratto piena conferma alla sua voglia matta, ma matta neanche tanto, di schierarlo in F.1 con la Mercedes, dal 2025, al fianco dell stesso Russell.
Ho altro, perché penso sia anche giusto non limitarsi a fare le pulci solo a Kimi, guardando anche alla storia dei debutti dei grandi italiani nella F.1 moderna, prendendo in esame l’elite dei vincitori di Gran Premio e i loro curriculum, prima di arrivare nel mondiale.
I precedenti
Così si scopre che Patrese, al top nell’Euro F.3 1976, nel 1977, alla prima stagione in F.2 con la Chevron di Trivellato (vettura buona ma non eccelsa, per la verità) non aveva vinto neanche una gara, ottenendo quattro secondi posti.
Michele Alboreto con la Minardi nel 1981, nell’anno del debutto in F.1 da Imola con la Tyrrell, aveva dalla sua una vittoria, a Misano, mentre Giancarlo Fisichella i soldi per la F.3000 non li aveva e manco ci ha corso mai. Arrivando in F.1 dopo un giro tortouso che da campione italiano F.3 e vincitore del Gp Monaco lo aveva visto affilare le armi nel DTM, con l’Alfa Romeo. Discorso simile per Trulli, un altro che la formula cadetta non l’ha vista per niente, arrivando in F.1 da campione tedesco di F.3.
Stesso discorso a ritroso per Vittorio Brambilla, giunto nei Gp nel 1974, a 37 anni, con due vittorie nella stagione precedente, a Salisburgo e ad Albi.
Quanto a Elio De Angelis, zavorrato dalla Chevron-Ferrari non competitiva, in formula cadetta, nel 1978 aveva ottenuto solo un terzo posto, quando era passato al motore Hart, alla fine di una stagione che lo aveva visto rilanciarsi solo grazie alla vittoria a Monaco F.3.
Per inciso, uscendo dal tema, Pantano e Valsecchi la formula cadetta l’hanno vinta con merito ma da ripetenti e pure Liuzzi la F.3000 alla seconda stagione, con la Arden di Horner.
Lo stesso supercampione F.2, l’immenso Bruno Giacomelli, alla prima stagione tra i cadetti, nel 1977, aveva ottenuto 3 vittorie, prima di spopolare l’anno dopo. Intanto aveva debuttato in F.1 a Monza 1977, con la McLaren M23.
Tutto questo dimostra una realtà storica e incontrovertibile, sulla quale tutti faremmo bene a riflettere: benché la prima stagione di F.2 di Kimi Antonelli sia ancora in corso, nessun futuro Gp race winner italiano è mai arrivato a debuttare nel mondiale con più vittorie cadette, rispetto a quelle già ottenute dal baby.
Il quale, nei dati secchi, a oggi, è il più promettente e certificato campioncino italiano che si affaccia al Circus, addirittura da teenager. Per questo ora, con Monza sempre più vicina e l’annuncio del suo ingaggio con la Mercedes F.1 che si fa, ehm, sempre meno improbabile, sarebbe, anzi è, il caso di stringersi a lui e di trepidare insieme a chi lo ha aiutato ad arrivare fin qui.
Un campione vero e tutto da sostenere
Perché Kimi è un pilota vero, un duro e puro, un talento che si è fatto strada solo per meritocrazia, prodezze continue e prove inoppugnabili.
Poi, chissà, prima poi magari qualche umanissimo punto debole lo evidenzierà pure lui, visto che non è mica Terminator.
Nel frattempo noi italiani siamo chiamati a non utilizzare il più orrendo dei nostri difetti, ovvero il disfattismo distruttivo. In fondo non c’è peggior antitaliano di un italiano rosicone. Kimi la F.1 la merita. Ora tocca a noi tutti meritare lui.