Il “prego, si accomodi!” di Bottas a Hamilton alla curva 13 con cui ha ceduto la prima posizione al suo capitano nel GP Russia ha scandalizzato un po’ tutti. Sui social è stato tutto un esplodere di offese e insulti, rivolti sia a Toto Wolff (“bugiardo” l’epiteto più elegante!) che a Bottas definito senza mezzi termini “cagnolino” oppure “servo”. Ma diciamoci la verità senza fare i falsi ingenui: non trovate davvero ipocrita lamentarvi del gioco di squadra in F1?
Alzi la mano chi non ha invocato un gioco di squadra da parte di Raikkonen a Monza a favore di Vettel per permettergli di vincere e recuperare punti su Hamilton. Inutile fare le verginelle. L’amara verità è che i grandi team hanno sempre dato team orders. Tutti quanti. Perché quando l’interesse è alto, non si guarda in faccia a nessuno. Nemmeno al rispetto per gli uomini della propria stessa squadra. Tutti si scandalizzano e giocano a fare i puri, però quando viene utile il gioco di squadra lo fanno eccome. Anzi, la prima squadra a dare un plateale team order in F1 fu proprio la Ferrari. Nel lontano 1956. Al GP d’Argentina di quell’anno, Juan Manuel Fangio con la Lancia-Ferrari dovette ritirarsi. E il team del Cavallino cosa fece? Costrinse l’altro pilota della squadra, Luigi Musso, a fermarsi ai box; lo fece scendere dall’auto per far salire al suo posto Fangio; il quale così vinse la corsa e quei punti preziosi gli servirono per laurearsi campione del mondo. Incredibile no? Ma all’epoca era permesso che un pilota del team sostituisse un altro in corsa sulla stessa macchina perché nei primi anni della F1 era un’eredità del regolamento delle gare sport dov’è la macchina a vincere, non l’uomo che la guida. Poi questa stortura fu vietata perché in F1 era giusto fosse il pilota il protagonista principale e non più l’auto. Ma pensate se quella libertà esistesse ancora oggi, cosa succederebbe? Meglio non pensarci.
La madre di tutti i giochi di squadra invece - lo ricordano bene i ferraristi - fu l’ordine perentorio di Todt a Barrichello al GP Austria 2002 di rallentare all’ultimo giro per far vincere Schumacher. Fu clamoroso e indecente perché portò davanti agli occhi di tutti in modo sfacciato quella che fino a quel tempo era sempre stata una pratica nascosta. Far rallentare il pilota da sacrificare con qualche scusa concordata e un linguaggio in codice ma senza mai scoprire il gesto. Invece Todt lo rese palese al mondo dicendolo via radio in chiaro, e lo ascoltarono le orecchie di milioni di spettatori perché ebbe la sfortuna che all’epoca il cameraman della F1 fosse al muretto Ferrari per inquadrarlo da vicino in quel momento topico. Così il microfono della telecamera, all’insaputa del team principal ferrarista, registrò e diffuse in mondovisione le parole con cui Todt prima supplicava, poi ordinava a Barrichello di rallentare.
La plateale violazione di un codice etico in modo così lampante fece impazzire di rabbia il presidente della Fia Mosley perché dimostrò al mondo che quello sport di eroi che sembrava puro agli occhi della gente la F1 perché i suoi protagonisti rischiavano la vita per vincere, si poteva manipolare per interesse come una qualsiasi partita di calcio. Così Mosley, non potendo penalizzare la Ferrari per lo scambio di posizioni - era permesso dalle regole - ma volendoli comunque punire per il cattivo esempio sportivo in qualche modo, comminò al Cavallino una multa salatissima esemplare. Un milione di dollari per l’infrazione della cerimonia di premiazione. Una punizione che fece scalpore sia per l’entità della cifra che per il pretesto con cui fu data. Un po’ come quando lo stato americano, non potendo incarcerare Al Capone per omicidio perchè non trovava le prove, non trovò altro modo che metterlo in manette per evasione fiscale...
Per un po’ gli ordini di squadra, dopo quel GP Austria 2002 vennero vietati, ma i team continuarono a farlo di nascosto usando linguaggi in codice. Tutti i team principali, nessuno escluso. Ai tempi di Vettel e Webber in Red Bull nel 2011, un bel giorno Horner disse via radio ai due piloti una frase criptica: “Eseguite la strategia multi two -one”. Chissà a che si riferiva, pensarono in tanti. Magari a una mappatura speciale da inserire sul volante. Invece poi si scoprì che non voleva dire altro che la macchina numero 2 (Webber) doveva arrivare davanti alla macchina numero 1 (Vettel). Sebastian invece non lo eseguì e vinse lo stesso la corsa e nessuno al di fuori del team si rese conto che aveva violato un ordine di squadra segreto.
Chiunque in F1 si lamenta o fa la verginella accusando scandalizzato gli altri di aver praticato giochi di squadra o dato team order, probabilmente ha compiuto pure lui il “misfatto”. Volete un altro esempio? Jacques Villeneuve. Sì, proprio lui che dopo il GP Russia dai microfoni di Sky ha platealmente criticato il gioco di squadra Mercedes. Pochi sanno che anche lui fu costretto a farlo. Addirittura proprio nel GP Europa 1997 - quello famoso di Jerez del fallo di Schumacher - che sancì la vittoria del mondiale di Jacques. Villeneuve, dopo che Schumi era finito fuori gara nel tentativo di speronarlo, aveva il titolo iridato in tasca. Ed era primo. Poteva chiudere in bellezza l’impresa vincendo anche la gara. Invece rallentò e fece passare le McLaren-Mercedes di Hakkinen e Coulthard che ottennero vittoria e doppietta. Un caso? No, perché mesi dopo si scoprì che via radio l’ingegnere di pista di Villeneuve in Williams, Jock Clear - lo stesso che oggi siede al muretto Ferrari! - lo aveva supplicato in corsa di lasciar passare Hakkinen dicendogli: “Devi farlo Jacques! Ricordi? Ne avevamo parlato prima della corsa se andava in un certo modo...”. Evidentemente la Williams aveva stretto un’alleanza con la McLaren per la gara in chiave anti-Ferrari per aumentare le proprie probabilità di successo. E la contropartita evidentemente era di lasciargli la vittoria del GP. Se Villeneuve avesse conquistato il titolo, avrebbero dovuto lasciar trionfare la McLaren-Mercedes. In realtà la McLaren in gara non aiutò più di tanto Jacques perché fu Schumacher a danneggiarsi da solo con quella scorrettezza. Ma tanto bastò al team per ricordare al suo pilota di onorare il patto stretto prima del via.
Tutto questo per dire che i giochi di squadra ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Per un motivo semplicissimo: perché chi comanda sono i team, non i piloti che da questi sono stipendiati. Il titolo mondiale Piloti dà prestigio al corridore. Ma è il mondiale Costruttori che riversa denaro nelle casse della squadra. Perché il particolare meccanismo del Patto della Concordia, che regola gli accordi commercial-sportivi della F1, prevede che i punti iridati e la posizione di classifica valgano milioni e milioni di euro. Vincere il titolo Costruttori o arrivare secondi può fare una differenza anche di decine di milioni di euro. E nessuna squadra rinuncia a quei soldi perché è determinante per il bilancio finanziario. Quindi siccome sono le squadre che stipendiano i piloti, è anche logico e giusto che il team chieda ai suoi piloti di anteporre gli interessi della squadra a quelli personali.
Si può insultare finché uno vuole il povero Bottas, ma visto che la Mercedes lo paga 4 o 5 milioni di euro di stipendio, perché dovrebbe farsi licenziare e perdere i soldi del suo compenso per opporsi a un team order pur se mortificante per lui? Vorrei vedere quelli che insultano Bottas sui social e si scandalizzano per il suo comportamento cosa avrebbero fatto nei suoi panni. Siate onesti: foste Bottas, chi di voi avrebbe disobbedito a Toto Wolff sapendo che poi sareste stati appiedati dalla gara successiva, magari sostituiti da Ocon, e che avreste perso per sempre uno stipendio milionario? Quando si dice che i piloti sono soltanto un ingranaggio della F1 non si capisce fino in fondo la crudezza di questa definizione.
Purtroppo non ci sarà mai un modo per azzerare i giochi di squadra per i motivi prima esposti. Forse basterebbe usare il buon senso. Quando si vince, non sempre è un bene stravincere. Non costava tanto alla Mercedes restituire a Bottas la vittoria che si era guadagnato sul campo. Avrebbe fatto un bel gesto come al GP d’Ungheria 2017 e non avrebbe mortificato un proprio pilota a rischio di distruggerlo psicologicamente e sportivamente. Come successo a Barrichello, Massa e Raikkonen in Ferrari negli anni passati. Invece Toto Wolff ha messo l’ingordigia sopra a tutto. A Mercedes cosa fregava se Hamilton avesse conquistato soltanto tre punti di vantaggio su Vettel invece di dieci? Ne avrebbe avuti pur sempre 43 di vantaggio che a cinque gare dalla fine è un’enormità.
Invece il messaggio finale che esce dal GP Russia è la dimostrazione che la F1 è prima business e soltanto poi sport. E che tutti sono uguali. Inutile che qualcuno si atteggi al ruolo di “diverso” in senso di purezza sportiva come aveva fatto la stessa Mercedes un anno fa in Ungheria. Quando il gioco si fa duro, nels enso che la classifica lo esige, tutti diventano cinici e non guardano in faccia a nessuno. Lo aveva dimostrato la Ferrari in passato tante volte, oggi sappiamo che lo fanno tutti. Vabbé se proprio dovete farlo, almeno non fatelo in modo così sfacciato.