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Alan Prost: Il Professore

Pretendeva di essere il numero 1. Sempre

Non c’è Alain Prost pilota della Ferrari e un altro Alain Prost, campione con McLaren o con Williams. Esiste solo Alain Prost, il quattro volte campione del mondo, uno dei migliori piloti mai apparsi nel circo iridato, uno che ha scritto pagine fondamentali della storia dell’automobilismo. È per questo che rompendo con il francese nel 1991, la Ferrari perse probabilmente un catalizzatore che avrebbe potuto dare tanto a Maranello anche negli anni a venire. A patto che fosse considerato per quello che lui stesso era convinto di essere: il numero uno, indiscusso, della squadra. Nel 1990 apparve chiaro che Prost non avrebbe mai accettato compiti subalterni rispetto al proprio compagno di squadra Nigel Mansell. L’inglese era velocissimo, spesso più rapido del francese in qualifi ca, ma venne puntualmente battuto e messo al tappeto dall’astuzia tutta «Prostiana». Gareggiare a fi anco di un mostro sacro non è mai stato semplice per nessuno: di fronte a Mansell e Prost pareva di assistere al remake del fi lm «girato» dalla Mercedes nel 1955 con Stirling Moss e Juan Manuel Fangio. Il primo brillante nelle prestazioni, il secondo altrettanto veloce ma oltremodo migliore nel sapersi relazionare con tutto l’ambiente. Pungente, calmo, architetto di grandi strategie, Prost portò a un certo punto all’esasperazione Nigel, che alla vigilia del Gran Premio del Belgio annunciò urbi et orbi la propria volontà di abbandonare le corse. E proprio quel sottile dualismo interno, al quale Cesare Fiorio seppe porre un limite ma con grande fatica, provocò anche episodi spiacevoli con Mansell che in Portogallo, dopo avere ottenuto la pole position, sbagliando partenza ostacolò Alain, andando però a vincere la gara. Prost, relegato al terzo posto fi nale dietro anche a Senna, partì con un j’accuse tutto suo, coinvolgendo nella contestazione anche lo stesso direttore sportivo. Non si saprà mai se Nigel l’abbia fatto apposta, ma di sicuro Prost comprese in quel 23 settembre 1990 che le speranze di vincere il titolo erano diventate più remote. Quell’episodio, riletto ora, ebbe una negativa infl uenza sul resto del rapporto tra l’allora tre volte campione del mondo e la Ferrari. Nel 1991 a causa della relativa competitività della monoposto e dell’ormai interrotto feeling con Fiorio, Prost visse quasi da separato in casa il declino dell’armata rossa, nonostante prestazioni sempre più positive di quelle del neo assunto Jean Alesi. Sempre più nervoso, sempre più polemico, Alain riuscì a far licenziare il team manager torinese all’indomani del Gp di Monaco ma nulla potè contro la mancanza di competitività della sua monoposto, che proprio alla vigilia della rottura defi nì senza mezze misure «un camion». Mai nessuno, prima di lui, si era spinto ad accuse così pesanti. Ma conoscendolo c’è da scommetterci che quell’incidente diplomatico venne creato ad arte dalla diabolica mente del campione per porre termine a un’avventura che lui stesso ormai viveva come un supplizio.

Preciso in tutto quasi maniacale

Quando si parla di stile nelle corse, il nome di Alain Prost è uno dei primi a venire alla mente. Vedere pilotare questo grande campione era una gioia per gli occhi: preciso, millimetrico, quasi mai spettacolare ma effi cace, Prost fa parte di quei campioni che non danno mai l’impressione di faticare quando guidano. È sempre stata una delle sue caratteristiche principali fi n dagli esordi automobilistici, a tal punto che chi lo seguiva ai tempi del vittorioso campionato europeo di Formula 3 del 1979 pensava disponesse di vetture di gran lunga superiori alla concorrenza. La carriera ha dimostrato invece il contrario: Prost ha vinto con ogni monoposto. Dalle Renault turbo alle varie McLaren-Tag e Honda, con la Ferrari e fi no alla Williams-Renault. Tra lui e Senna la guerra era totale per la semplice ragione che si trovavano a dividere lo scettro del primato e le simpatie dei tifosi. Ma erano molto vicini nelle prestazioni, riuscendo ad arrivare a limiti che per gli altri apparivano impensabili se non a costo di rischi estremi. È stato così anche alla Ferrari: Mansell o Alesi, ancora da sgrezzare data la sua relativa esperienza nel 1991, potevano appagare gli amanti dello show a tutti i costi. Ma gli intenditori fi ssavano lo stile di Prost, la sua tecnica che lo rendeva effi cace in ogni condizione e in ogni tracciato. Rispetto a Senna, Alain aveva meno talento sull’asfalto viscido; con gli anni e l’esperienza aveva forse perduto l’ardore di voler superare chiunque nelle primissime fasi ma alla fi ne riusciva sempre ad arrivare allo scopo. Il Prost pilota non era uno da tentativi di sorpasso. Quando decideva il momento, agiva. Altrimenti stava dietro cercando di innervosire, come fanno le ombre con gli animali, fi no a individuare lo spazio nel quale inserirsi e salutare la compagnia. Pignolo, maniacale, stava ore e ore a discutere e rifl ettere sui dati accumulati nel corso dei test. La messa a punto di Prost era di un’accuratezza incredibile e andava a coprire tutte le parti della vettura. Facendo parte della razza dei piloti-tecnici suggeriva non solo gli assetti o le regolazioni aerodinamiche: amava disegnarsi addosso la vettura, calcolare il consumo delle gomme e del carburante, trovare il set-up ideale per rischiare il giro velocissimo in qualifi ca. Tutto senza fretta ma con un enorme pragmatismo. Trovare difetti nel campione è davvero diffi cile. Come pilota Prost non ha mai fallito, nemmeno nel 1991 quando cercò di tenere comunque alto il vessillo di Maranello. Gli è andata peggio come manager del proprio team quando decise di appendere il casco al chiodo, rilevando di fatto la ex-Ligier. Quell’avventura è stata infelice e forse ha costituito il più grosso neo della carriera di un pilota indimenticabile, che non a caso va inserito tra i primi cinque di ogni tempo. E ancora oggi, riguardando le sue corse e come lavorava per ottenere i risultati, lo “stile Prost” è un esempio per chiunque, una lezione per i giovani aspiranti campioni, perché Alain sapeva miscelare magnifi camente il talento naturale con la tecnica e la sagacia. Come dire che “Il professore”, come era soprannominato, sarà studiato ancora per lungo tempo.

Cinque successi non furono sufficienti

Il rapporto tra Alain Prost e la Ferrari è stato brevissimo, nemmeno due stagioni complete, ma molto intenso, con cinque vittorie ottenute, un secondo posto nel campionato, e duelli rimasti nella storia con la McLaren dell’eterno rivale Ayrton Senna. Fu proprio l’impossibilità di avere una relazione civile con il proprio compagno nel team di Woking e il convulso fi nale del 1989 a portare il già tre volte campione del mondo a Maranello. La scelta fu azzeccata. Prost rappresentò per la Ferrari un investimento importante ma che seppe dare al “Cavallino” la forza defi nitiva per effettuare quel salto di qualità che era mancato nell’anno precedente con Nigel Mansell e Gerhard Berger alla guida della bella e rivoluzionaria 640, la prima monoposto della storia a disporre del cambio elettroattuato. Prost aveva tutto per lanciare la Ferrari ai vertici: carisma, classe, esperienza, capacità di collaudo, sensibilità meccanica, visione tattica. Assieme al “nemico” brasiliano era il miglior pilota dell’epoca - e non solo -, un campione con la C maiuscola, capace di non sbagliare mai nei momenti importanti della corsa e di offrire alla squadra quel tanto in più che da sempre differenzia gli assi dai bravi professionisti. L’arrivo di Alain, inoltre, andava in controtendenza con la storia stessa del “Cavallino”: è raro infatti che la Ferrari abbia assunto pluricampioni iridati, preferendo affi dare le monoposto a giovani piloti da plasmare o a sicuri fenomeni ancora in cerca del primo titolo. Ma Prost nel 1990 aveva fame, molta. Voleva lavare i sospetti, le accuse, di aver usurpato il campionato del 1989. In più c’era la sfi da personale: dopo avere vinto tutto ciò che si poteva con la McLaren, il francese avrebbe sfi - dato Senna con una squadra dal ricchissimo passato ma con un presente che non appariva stabile bensì altalenante. Rileggere ora ciò che accadde in quello spettacolare 1990 mette nostalgia: Prost si calò nella realtà italiana con molto pragmatismo. Vinse al secondo Gran Premio della stagione, a Interlagos, ma fi no al Gran Premio del Messico non riuscì mai a risolvere i problemi della nuova monoposto, la F1-90: il dodici cilindri, uno dei pezzi forti della Casa italiana, appariva in debito di potenza nei confronti dell’Honda della McLaren. La situazione cambiò a partire dalle trasferte oceaniche con l’arrivo di quella che gli addetti ai lavori denominarono F1-90-2, una monoposto migliorata in molti particolari di sospensioni e aerodinamica e soprattutto più potente. Prost infi lò all’inizio dell’estate una spettacolare tripletta. In Messico compì una rimonta ancora oggi indimenticata, andando a vincere tra il tripudio generale. In Francia, a Le Castellet, fece il bis, ripetendosi la settimana successiva a Silverstone nel Gran Premio di Gran Bretagna. Verso la fi ne dell’anno conquistò un’altra affermazione, a Jerez de la Frontera, riaprendo di fatto i giochi con Senna. Suzuka sarebbe stata la sfi da decisiva, una penultima corsa dell’anno che avrebbe sancito con certezza chi avrebbe vinto il campionato. Prost, secondo tempo in prova ma favorito dalla partenza all’esterno, ovvero nella parte più gommata della pista, scattò al comando. Per pochi metri. Alla staccata della prima curva la McLaren di Senna lo speronò facendolo volare nella sabbia. Fu la fi ne delle speranze ferrariste di portare a casa un titolo che mancava ormai da undici anni e il momento in cui qualcosa si guastò nei rapporti tra Prost e la Ferrari stessa. Il 1991 non diede alcuna soddisfazione al binomio anche a causa di una vettura, la F1-91, superata tecnicamente da altre monoposto. La relazione tra Prost e il direttore sportivo Cesare Fiorio era da separati in casa: al manager piemontese Alain rimproverava il corteggiamento di Senna e alcune decisioni secondo lui contrarie al bene della squadra. Il francese fu appiedato tra le polemiche alla vigilia del Gp d’Australia usando come pretesto certe sue critiche all’auto. Venne sostituito da Morbidelli e si prese un anno sabbatico. Sarebbe rientrato nel 1993 con la Williams andando a vincere il quarto campionato di una carriera da incorniciare, alla quale mancherà sempre quel titolo del 1990 che sembrava comunque possibile.