Se lo scopo di una monoposto è il titolo mondiale Piloti, la Ferrari 126 C2 resta la più prestigiosa incompiuta di tutti i tempi. E pure la più sfortunata, sempre ammesso che l’aggettivo ben si attagli a una creatura metallica. A guardarla appare pulita, bella, cattiva anche se cromaticamente armonica e rappresenta una delle monoposto dalle prestazioni più estreme prodotte dalla Casa del Cavallino. Segna l’abbandono dell’ormai obsoleto telaio tubolare, sisituito da pannelli di honeycomb incollati, con struttura a nido d’ape. Progetto, questo, in cui un ruolo decisivo lo ha Harvey Postlewaithe, tecnico di scuola britannica affi ancato al solito, carissimo, irascibile e incontenibile Mauro Forghieri, che porta a compimento la crescita del motore turbo a 6 cilindri a V di 120°. Con sospensioni pull rod all’avantreno, introdotte a stagione inoltrata, in luogo di quelle a bilanciere e un peso inferiore di oltre 20 kg a quello della progenitrice 126 Ck, la C2 si presenta lieve, maneggevole ma critica, come tutte le vetture in grado di sfruttare pienamente l’effetto suolo, ottenuto sì tramite le minigonne e la struttura ad ala rovesciata, ma anche inchiodando le sospensioni stile kart. Il telaio demolito da Pironi nei test d’inizio stagione al Ricard è il primo segnale di un'inevitabile criticità fi losofi ca propria dell’era delle wing car. Per il resto, superati i problemi di gioventù nelle prime tre gare, la 126 C2 stradomina il Gp di San Marino, candidandosi prepotentemente al titolo mondiale. C'è un problema, però, e grosso. La Ferrari non ha fatto i conti con le lotte intestine tra Villeneuve e Pironi nonché col destino. I due piloti rompono i rapporti proprio a Imola, col francese reo di aver trasgredito gli ordini di scuderia che lo volevano nel fi nale quieto scudiero del compagno di squadra canadese. È l’inizio di una guerra di nervi che termina tragicamente l’8 maggio a Zolder, nelle prove del Gp del Belgio, quando Gilles, superando la lenta March di Jochen Mass, resta vittima di un’incomprensione col tedesco, dando luogo all’ultimo, agghiacchiante volo della sua carriera che gli costerà la vita. La Rossa s’avvia malinconica a continuare la stagione, andando a vincere in Olanda con Pironi, che diventa erede naturale a un titolo che ormai non può e non deve sfuggire,in un’annata segnata da avversari che si rubano punti l’un l’altro in un infi nito susseguirsi di colpi di scena che rende la classifi ca generale cortissima. Dopo Brands Hatch la sequenza di circuiti veloci e favorevoli al turbo dovrebbe segnare il colpo d’ala della C2 e di Pironi, che nel frattempo è stato affi ancato in veste di scudiero da Patrick Tambay, da molti ritenuto un pilota ormai fi nito per la F.1 e già esule nella nord-americana Can-Am. La storia compie un’altra delle sue svolte drammatiche e decisive nelle prove del Gp di Germania, quando Pironi tampona violentemente la Renault di Prost che procedeva lentamente lungo il tracciato in posizione pericolosa. Per il francese è il dramma e per la Ferrari una seconda apocalisse, non tragica, stavolta, ma comunque annichilente. Didier esce dal terrifi cante volo con le gambe maciullate e la carriera distrutta. Quanto a Enzo Ferrari, la domenica l’attende un’altra delle sue Gioie Terribili, quando uno scatenato Tambay entusiasma il Motodrom andando a vincere con la 126 C2 superstite il Gp di Germania e lanciando una sua apparentemente impensabile sfi da al mondiale in corso. Facendo una botta di conti, se corre come ha gareggiato in Germania, il francese può ancora farcela a laurearsi campione. Basta crederci. Eppure qualcosa si rompe ancora in questo nuovo, delicatissimo equilibrio. No, stavolta non è il metallo a cedere di fronte a schianti terribili, ma un nervo offeso nella spalla del pilota francese durante una seduta di fi sioterapia. È incredibile. La Rossa si ritrova con quella che da tutti viene defi nita la migliore monoposto del campionato, eppure a tre quarti di stagione conta un pilota deceduto, uno perso per sempre e l’altro infortunato. Fatto sta che Tambay non prende il via al fondamentale Gp di Svizzera a Digione, che vede la determinante (col senno di poi) vittoria di Rosberg, su Williams Fw08. L’arrivo successivo di Mario Andretti in veste di riserva di lusso al Gp d’Italia a Monza, fa spettacolo con una roboante pole, ma non cambia le carte in tavola. Il mondiale Piloti è ormai un affare privato tra lo stesso Rosberg e l’altra formichina Watson con la McLaren. Proprio a Monza 1982, Frank Williams, più realista del re, pronuncia una frase mai più sentita nella storia della F.1: «Stiamo vincendo un mondiale non meritato, perché apparteneva di diritto a un pilota Ferrari». Okay, questa è la triste vicenda della 126 C2 e c’è poco da fare. Malgrado un’annata che sembra un brutto fi lm, la monoposto alla fi ne vince il Mondiale Costruttori, con 5 punti di vantaggio sulla McLaren, ma al tempo il solo titolo che contava davvero era quello piloti, ghermito dal regolarista Rosberg. Per la C2 non è fi nita, visto che l’attende l’impiego nella prima parte della stagione successiva, con altre due vittorie, a Imola con Tambay e in Canada con Arnoux, in una sorta di simbolico doppio omaggio a Villeneuve. Se le monoposto hanno un’anima, la C2 saluta così, stupendamente a modo suo, il suo campione più amato. Grazie lo stesso, stupenda.
Contestatissima da Nelson Piquet
Dopo i crash il brasiliano disse che la 126 C2 era fragile. Non era vero!
Dopo l'incidente di Pironi a Hockenheim. il campione del mondo in carica Piquet disse chiaro: «La Ferrari è fragile, per questo non corro per loro». Il brasiliano parlava di pancia, come spesso gli è accaduto: in realtà era il regolamento tecnico delle wing car a produrre monoposto estreme e pericolose. Tutte o nessuna, quindi non solo e non tanto la 126 C2. I passi avanti normativi in termini di sicurezza sarebbero arrivati di lì a poco.
LA SCHEDA TECNICA DELLA FERRARI 126 C2
Lunghezza: 4,333 m
Larghezza: 2,110 m
Altezza: 1,025 m
Peso: 582 kg (571 kg il modello C2B)
Carreggiata anteriore: 1,787 m
Carreggiata posteriore: 1,644 m
Passo: 2,657 m
Trazione: posteriore
Frizione: multidisco
Cambio: trasversale tipo 025, 5-6 marce e retromarcia[3]
Freni: a disco Brembo pinze in alluminio
Motore: tipo 021 V6 di 120°, cilindrata 1.496,77 cm³, sovralimentato con due turbocompressori KKK.
Incidenti e sviluppi di 126 C2 ce ne furono tante
Otto esemplari sono stati realizzati nelle specifi che iniziali 1982 mentre gli ultimi tre nella versione B che corse nel 1983
La 126 C2 è una delle monoposto prodotte nel maggior numero di esemplari nella storia moderna della Formula 1. Infatti complessivamente vennero costruiti ben 11 telai nel corso del biennio 1982-1983. Otto nelle specifi che iniziali per il 1982 della 126 C2 (ossia quelli numerati da 055 a 062, quest’ultimo poi convertito in B) e tre in versione B, destinati all’annata 1983, (telai 063, 064 e 065) in attesa dell’arrivo della C3, che giunse soltanto a metà stagione. Breve vita ebbe il telaio 055, utilizzato una sola volta da Villeneuve nel 1982 e demolito in un crash durante test privati al Paul Ricard. Lo 056 fu impiegato in 6 gare da Pironi e con questa monoposto il francese vinse il controverso Gp di San Marino 1982. Lo 057 ballò in pista per sole due gare: Villeneuve in Brasile e Tambay in Olanda. Lo 058 è quello più sfortunato, con cui ebbe l’incidente mortale Gilles Villeneuve in prova a Zolder. Con questa monoposto l’asso canadese aveva già corso nella prima parte della stagione a Long Beach (fi nendo squalifi cato, per l’ala posteriore fuori misura) e a Imola, nel giorno della rabbiosa rottura di rapporti con Pironi, reo di aver infranto un accordo di non aggressione sancito da inequivocabili ordini di scuderia. La 059 disputa 2 gare con Pironi e la 060 ne assomma 3 sempre col pilota francese (è la monoposto della vittoria in Olanda, a Zandvoort). Si tratta del telaio che fi nì distrutto nel gravissimo incidente che interruppe la carriera del francese, nelle prove del Gp di Germania, quando si schiantò contro la Renault di Prost che procedeva lentamente sul bagnato. La 061 completa 4 gare con Tambay (tra le quali quella del trionfo di Hockenheim, subito dopo il crash di Pironi), e 2 con Andretti (è l’auto della pole a Monza). La 062, usata una sola volta dallo stesso Tambay nel 1982, è convertita nella versione “B” quale muletto, viene schierata una volta a testa per Patrick e Arnoux nel 1983. La 064 è la monoposto titolare di Arnoux nel 1983 (7 gare) con la quale vince in Canada 1983, mentre la 065 la usa Tambay trionfando nel Gp di San Marino 1983. Quanto al telaio 063, non venne mai portato in gara, essendo una monoposto laboratorio. L’esemplare 061 è a tutt’oggi in condizioni corsa ed è quello più usato (vedi Goodwood) per esibizioni e parate commemorative.
Mario Andretti ricorda così la 126 C2 della pole a Monza 1982
"Piedone" ai suoi ultimi due Gp della carriera si trovò perfettamente con l'unica vettura da Gp a motore turbo che abbia mai guidato
Sabato 11 settembre 1982, Monza, primo pomeriggio. Giusto trenta anni fa esatti. Mario Andretti ha 42 primavere e mezzo sul groppone, e viene chiamato all’ultimo minuto dagli Usa a guidare la Ferrari 126 C2 al Gp d’Italia. Come allenamento, solo una manciata di giri a Fiorano. Venerdì, nella prima sessione di qualifi cazione, ha fatto segnare solo il sesto tempo, ma nella sessione buona è tutta un’altra storia. Primo set di gomme tenere da qualifi ca: 1’30”331, quindi 1’30”848. Cartello “IN”. Torna ai box e aspetta gli ultimissimi minuti per piazzare la coltellata. Dopo l’outlap in 1’55”120, si lancia alla Parabolica e giù acceleratore a tavoletta piatta sul rettilineo, per due giri sparati. Il primo dice 1’28”705, il secondo 1’28”473. Fine della faccenda, zitti tutti. Nessuno lo batterà. Poche storie, è la pole position più famosa e leggendaria nella storia della Formula 1. Un’ondata emozionale travolgente, tanto che in extremis il presidente della Repubblica Sandro Pertini decide di fare le valigie da Roma, per assistere dalla tribuna alla corsa della domenica. Che sarà poi vinta dalla Renault di Arnoux, con le Ferrari di Tambay e Andretti al secondo e al terzo posto. «Era la mia prima esperienza con una Formula 1 turbo - spiega Mario -, ma non ci trovai niente di speciale. Forse perché col sovralimentato ci correvo già da tanti anni negli Stati Uniti, comunque non ebbi problemi. La 126 C2 era potentissima, certo, ma meno pesante e molto più maneggevole delle auto con cui correvo nella F.Indy. Una monoposto perfetta, di base. Ma il bello fu il contorno. Quando guidi per la Ferrari, in Italia ti trattano come fossi il papa. Il Commendatore aveva mandato una macchina a prendermi all’aeroporto e quando uscimmo dall’autostrada per andare a Maranello il casellante mi riconobbe e non ci fece pagare il pedaggio: “Lei è Andretti! Vada, vada...”. Cose così... Alle dieci di mattina la prima riunione con Enzo Ferrari, poi il pranzo, a base di tagliatelle. “Mario, quando vuoi provare, domani?”. “No, dopo mangiato”, risposi. Feci novanta giri a Fiorano, in tempi record. La 126 C2 andava a meraviglia. Mi chiesero di provare uno scivolo nuovo, ma risposi di no. La macchina non andava toccata e dissi chiaro: “L’accordo con voi è che sono qui per correre, non per provare. Con una vettura come questa c’è solo da spingere, senza fare cambiamenti”. Il giorno dopo volevano che girassi a Monza ma dissi ancora no. Non c’era alcun bisogno e mi presi 24 ore di riposo». Il resto sembra una storia romanzata: «Chiamai il mio amico Alejandro De Tomaso, al tempo proprietario della Guzzi, e gli chiesi di mandarmi una Le Mans sulla quale il giorno dopo misi mia moglie Dee Ann in sella e andammo a fare un giro sulle colline toscane, al Passo dell’Abetone. Mi tolsi la pressione di dosso, preparandomi al weekend monzese. Il resto lo sapete. Mi venne tutto naturale, non ci fu niente di straordinario nella mia impresa vissuta dall’abitacolo. Il sabato feci il mio mestiere come sempre e misi la Ferrari in pole position. Meritavamo di stare lì. Pochi mesi prima avevo corso con la Williams dotata del Cosworth aspirato a Long Beach e trovai la 126 C2 una monoposto completamente diversa e con un potenziale immenso. Peccato solo che in gara la macchina non era più la stessa delle qualifi che». In partenza le gomme pattinarono e il resto della competizione fu una rincorsa senza chance nei confronti dei primi due... «L’acceleratore non funzionò mai a dovere, non potevo ripetere quello che avevo fatto vedere il giorno prima. Mi limitai a gestire la situazione e mi accontentai di salire sul podio perché quello era il massimo che potevo ottenere la domenica». L’entusiasmo provocato da quell’impresa fu tanto e la Ferrari chiese la liberatoria alla Intermedics, sponsor della Wildcat con cui Mario correva in F.Indy, per fargli disputare anche l’ultimo Gp della stagione, a Las Vegas, su un tracciato ricavato dal parcheggio del Caesar Palace. «La 126 C2 non era più competitiva come a Monza, una pista ultraveloce. Las Vegas era assimilabile a un tracciato cittadino e il turbo Ferrari non era nelle condizioni di esprimersi al massimo. Sapevo che quello sarebbe stato l’ultimo Gp della mia vita e cercai di fare ciò che potevo. In prova fui sesto davanti al mio compagno di colori Tambay, a un terzo della distanza di corsa ero buon quinto, quando qualcosa si ruppe nella sospensione posteriore destra. Non avevo toccato cordoli, non dipendeva da me, semplicemente un particolare collassò e la mia esperienza con la C2 e anche la mia carriera in F.1 fi nirono così. Comunque mi piace pensare che i tre momenti più belli del mio rapporto sentimentale con la Formula 1 abbiano avuto Monza come teatro: nel 1954, quando da ragazzo andai a vedere Ascari, nel 1978, quando vinsi il mondiale con la Lotus, e nel 1982, quando feci sognare i tifosi con la Ferrari 126 C2».