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I mercanti della velocità



“The Speed Merchants”
non è un’ora e mezzo d’immagini, no, è un simbolo. È la Woodstock dell’endurance, l’epopea delle corse di durata vissuta come fosse un concerto rock. Una carezza che non si dimentica, nell’oscurità delle prime tenebre di Sebring, nel profondo della notte di Le Mans e sfiorando le foglie morte danzanti sui rail del Watkins Glen, strapazzate nella 6 Ore che chiude il mondiale 1972. File di prototipi dai fari lampeggianti che bucano il tramonto, mentre doppiano lente Gt che sembrano uscite dal film “Bullit” e lo sventagliare maestro in parata delle Ferrari 312 Pb, col box del Cavallino Rampante che ha Forghieri da vicerè e per governatori dagli elmi variopinti Ickx, Merzario, Redman, Peterson e Andretti. Perché quella delle classicissime resistenziali è qualcosa di più che la storia di un campionato che fu più acchiappante e glorioso della F.1, è la poesia rutilante e sfrecciante di un’intera civiltà. Bella, crudele e struggente, pensata vissuta e rischiata dal di dentro.



Michael Keyser, ovvero “one man band” Perché il vero problema di un docu-film così ambizioso è semplice e micidiale: non sarebbe strutturalmente possibile mettere d’accordo film maker, produttore, sceneggiatore e piloti-attori, troppo diverse le esigenze e i contesti, così ogni volta il risultato finale sembrerebbe un compromesso che lascia insoddisfatti gli appassionati. E invece stavolta la faccenda si pone in termini completamente diversi, perché l’uomo che sta dietro a “The Speed Merchants” è allo stesso tempo film maker, produttore, fotografo, sceneggiatore e pilota, oltre che race fan. Michael Keyser, originario di una fattoria di Reistertown, nel Meryland, e figlio dell’editore di un magazine, che nasce e cresce imbevuto di passione per l’informazione, i motori, le sensazioni uniche cristallizzate in un’immagine e la settima arte. In una parola, per la vita. Vero, Michael Keyser è anche un dignitoso pilota. Allevato alle corse per amatori della mitica Scca, quindi salito nelle più sfolgoranti competizioni Imsa all’inizio degli Anni ’70, a subire il fascino degli astri nascenti di una generazione di statunitensi che si chiamano Peter Gregg, Hurley Haywood, Milt Minter e Al Holbert. Gente “bigger than life”, personaggi che la mattina prima d’andare a correre si guardano allo specchio e come Bob Fosse guru del film “Cabaret”, schioccano le dita e dicono: «Ciak, si va in scena». Il mondo delle corse endurance a uno come Keyser deve apparire come sembrava l’America a un inglese un secolo prima: l’ultima frontiera. E Keyer decide di fare come lo yankee John Dunbar all’inizio del film “Balla coi Lupi”: vuol dare un ultimo sguardo alla Frontiera, prima che scompaia per sempre. Vivrà un anno a contatto con i grandi delle corse di durata, gara per gara, facendoli parlare come fossero attori che interpretano se stessi, seguendoli sui circuiti e snidandoli a casa, mentre giocano coi figli o fanno cross in sella a una moto su un prato. Mentre vivono, o addirittura muoiono, seguendo un copione invisibile, affascinante e spietato scritto dal destino e sceneggiato dal cuore di ciascuno.



Elford la voce narrante
Il primo a parlarmene di questa storia nella storia fu Vic Elford: «Il 1972 fu una delle mie ultime stagioni a livello professionistico, correvo con l’Alfa Romeo 33TT/3 e mi divertii molto a fare la voce narrante in “The Speed Merchants”, anche perché mi dissero subito che avevo una buona impostazione narrativa, quasi rassicurante e la cosa mi piacque. Non potevo pensare che sarei diventato anche protagonista di una scena altamente drammatica, in quella stagione, quando a Le Mans in piena corsa mi precipitai a salvare un pilota che credevo intrappolato nella vettura, nel giorno della morte di Bonnier. Appena entrai in quella macchina mi accorsi però che era già vuota, eppure il mio gesto fu notato, divenne un simbolo di solidarietà e, un anno prima di ciò che fece - purtroppo inutilmente - David Purley per il povero Roger Williamson, fui premiato per l’altruismo e il coraggio mostrati». «Le immagini in cui vengo mostrato in “The Speed Merchants” - spiega Brian Redman, un altro classic vip - oltre che in gara sulle piste di mezzo mondo mi vedono a casa a giocare con la prole, a fare il mostro per spaventare i miei bambini, anche se in realtà quello che si poneva problemi ero io. Perché un anno e mezzo prima mi ero ritirato dalle corse visto che i miei compagni stavano morendo tutti, mi ero trasferito in Sudafrica, ma non ce l’avevo fatta a stare senza le gare, così cinque mesi dopo, a tarda primavera, ero rientrato in Europa e avevo ricominciato. Il 1972, l’anno di “The Speed Merchants”, ero stato ingaggiato dalla Ferrari, la macchina vincente, e quindi era un momento felice, avevo un ottima occasione per concentrarmi nella guida e acquietare le crisi di coscienza».



L’ultimo hurrà della Ferrari endurance
“The Speed Merchants” è l’ultimo hurrà della Ferrari nel mondiale endurance, una stagione trionfale con un prototipo, la 312 Pb, che per motore, sospensioni e piloti in realtà è una Formula 1 coi parafanghi. E anche l’occasione per il primo acuto pungente della Matra che vince a Le Mans con Pescarolo in coppia a Graham Hill, il quale nel cielo della Sarthe dà la pennellata finale a quello che diventerà il suo lungo addio alle corse. E poi ci sono loro, i veri protagonisti. I circuiti. Piste ammorbanti, amiche e cattive. L’aeroportuale Sebring, la Le Mans con l’infinito rettilineo dell’Hunaudieres e soprattutto la Targa Florio, vista nelle prove private coi prototipi che sfiorano i ciuchi, piuttosto che nella gara che vedrà trionfare un monumentale Arturo Merzario sulla Ferrari 312 Pb validamente coadiuvato dall’asso dei rally Sandro Munari, per l’occasione dirottato su di un mostruoso prototipo piuttosto che su una Lancia Fulvia.



La favola nera di Helmut Marko
E poi attenzione a Helmut Marko, che dall’inizio del terzo millennio è tornato in auge come potentissimo braccio destro agonistico di Dietrich Mateschitz, boss della Red Bull, e consigliere amatissimo di Seb Vettel. Ma in pieno 1972 Marko era il più promettente pilota di lingua tedesca dell’automobilismo nobile, ufficiale Alfa Romeo Autodelta e allo stesso tempo alfiere del team Brm in F.1. «Parliamoci chiaro - sottolinea Andrea De Adamich, che era anche lui della partita sia nei Gp che con la Casa del Biscione -: Marko era uno che spingeva forte. Un gran bel pilota e soprattutto un uomo ricco di personalità. Una mente pensante». Purtroppo per lui il 1972 sarà la sua ultima stagione di agonismo attivo, perché una pietra sparata in faccia gli farà perdere un occhio rovinandogli una carriera che altrimenti sarebbe apparsa ai più luminosissima. Perché aveva già un contratto per correre con la Ferrari in mano nella stagione successiva e c’èp chi dice che tra lui e Lauda, in quel preciso momento, non ci sarebbe stato neppure confronto: la prima scelta di lingua teutonica era Helmut, non certo Niki, che si sarebbe rivelato esplodendo come pilota solo di lì a poco. Quindi gustare “The Speed Merchants” è anche un’opportunità ghiotta per capire come e perché la squadra più vincente della F.1 attuale si affida alla saggezza, a volte scabra e scontrosa, di un uomo come Marko, che va apprezzato per la pungente competenza ma anche ricordato per quello che avrebbe potuto essere e sfortunatamente non fu, al volante di una macchina da corsa.



Un docu-film vera punta d’iceberg
Eppure “The Speed Merchants” non è solo questo. È anche un frangiflutti, una punta d’iceberg, perché in tempi recenti lo stesso Michael Keyser ha capito quale giacimento d’oro avesse in mano e oltre a cedere i diritti del docu-film alla Duke Video - quindi da questa alla Cinehollywood per approdare la prossima settimana ad Autosprint che lo offre ai propri lettori -, con le immagini che ha scattato nella sua intensissima stagione da pilota-reporter e film-maker nel 1972 ha creato due stupendi libri fotografici aventi lo stesso titolo, che ormai è divenuto una sorta di nostalgica franchise dell’era d’oro dell’endurance, dando vita alla Autosport marketing Associates. Ricordatevi di “The Speed Merchants”, assaporate Vic Elford sulle strade della Targa Florio, gustate il docu-film di Michael Keyser e capirete perché da 90 anni la frase che sintetizza la civiltà 24 Ore di Le Mans e dell’endurance recita chiaramente: “La légende s’écrit sous vos yeux”. La leggenda si scrive sotto i vostri occhi.