Il 76esimo compleanno di Arturo Merzario, oltre che l’occasione d’abbracciarlo una volta di più, è la scusa per ricordare quanto il “Fantino” sia importante, amato e prezioso nel nostro automobilismo di sempre.
Perché l’anello nobile, popolarissimo e allo stesso tempo popolaresco - ossia è nell’incredibile status di leggenda che non se la tira - delle nostre corse sa suscitare solo a nominarlo e meglio ancora a vederlo e a stringergli la mano contemporaneamente nostalgia per ciò che fu, orgoglio per il suo eterno presente e serenità per un futuro al quale promette d’essere non solo presente ma vieppiù coeterno.
Pilota, costruttore, maestro e vincitore al vecchio Nurburgring, alla Targa Florio, nelle due ultime edizioni del Mugello stradale e veterano della F.1, già uomo squadra di Enzo Ferrari nel Mondiale Marche, al top in Ferrari e Alfa, con 11 trionfi iridati all’attivo, più il titolo del prestigiosissimo Euro 2000, Arturo Merzario rappresenta un immenso patrimonio umano e agonistico.
Debutta in gara il 14 ottobre 1962 alla Coppa Fisa a Monza - organizzata dalla Scuderia del Lario -, giungendo ottavo al volante di un’Alfa Romeo Spider Veloce dotata del numero di gara 300, col giradischi sotto il cruscotto, ci tiene tantissimo a sottolinearlo.
Da allora corre ininterrottamente e - come dice lui - «Senza mai pensare a un possibile futuro addio».
Dopo sei decadi di fretta è lui il testimone del tempo, l’essere semovente che più s’avvicina al concetto d’eternità agonistica e anche l’oggetto costante di una stima e un affetto degli appassionati che non accennano a diminuire.
E che col passare dei decenni aumentano quanto a temperatura e dolcezza.
Delle sue quattro caratteristiche più personali, il cappello da cow-boy, la sigaretta pendula, la Coca-Cola e il parlar chiaro, l’Arturo ne ha mantenute tre.
Col fumo in realtà ha smesso, stavolta pare per sempre, il 26 maggio 2008 a Vallelunga, dove era per correre con una Porsche Gt in coppia con Angelo Proietti. Art s’arrabbiò per un nonnulla e scagliò in terra la millesima cicca dicendo «Cavolo sono le 9.42 di mattina e sono già al secondo pacchetto, basta: smetto!», un meccanico rispose in bergamasco stretto: «Vedremo se ce la fai» e lui accettò la sfida.
Oh, yes: ce la sta facendo.
Con la Coca-Cola e il cappellone, invece tutto bene, grazie. Art comprò il primo stetson in Florida, quando nel 1967 debuttò col millino Abarth alla 24 Ore di Daytona, perché lui gli americani li ha sempre adorati.
E poi nella prima metà degli Anni ’70 ha fatto diventare il cappellone stesso simbolo della sua sponsorizzazione Marlboro, peraltro mai autorizzandone la commercializzazione.
Infine, adesso per lui resta una sorta di stupendo e iconico costume di scena.
Quanto al parlar chiaro, be’ quello non gli mancherà mai. Nipote di Francesco, il grande uomo artefice dei container, figlio di Giorgio, costruttore edile, Merzario ha iniziato a correre davvero nel 1948 - mentre Tazio Nuvolari su Ferrari partecipava e quasi vinceva la sua ultima 1000 Miglia -, su un carrettino a cuscinetti a sfera, dalla chiesetta del Ghisallo, cara a Coppi e Magni, fino all’amata Civenna.
Poi è passato alla bici e quindi alle auto, appunto dal 1962.
Art è universalmente noto in tutto il mondo per uno dei gesti più belli mai compiuti in tutta la storia dello Sport, visto che ha salvato il grande Niki Lauda dal rogo del Nurburgring, nel 1976. Di fatto restituendo vita e futuro all’uomo che aveva preso il suo posto in Ferrari.
Ma lui si schermisce: «È stato un bel gesto, okay. Ma preferisco essere ricordato per tutto ciò che ho vinto a bordo di macchine da corsa e per le piste che ho conosciuto, in tutto il mondo, assommando un’esperienza unica, sui cinque continenti, dalla F.1 ai prototipi passando per le stock car americane. L’unicità della mia storia e del mio contributo alle corse va oltre Niki, per il quale conservo enorme rispetto».
Adorato da Karl Abarth, amato da Enzo Ferrari, stimatissimo da Frank Williams e perdutamente supportato dal grande Marcello Sabbatini Direttore di Autosprint negli anni ruggenti, Arturo è il nostro passepartout per qualsiasi epoca d’oro, agento o bronzo dell’automobilismo da corsa.
Ovunque, lui c’è stato. Di chiunque sa vita, sorte e miracoli.
Un aneddoto fresco e personale?
Dai, proviamo.
Qualche giorno fa ono al telefono con lui e a un certo punto mi fa: “Senti, posso rivolgerti una domanda?”.
Be’ sì, certo.
“Okay, allora, quanti libri hai scritto in vita tua? Dieci, venti, trenta? E quanti articoli? Mille, duemila?”.
Arturo, la domanda qual è?
“Ne ho diverse, in realtà. Tipo: be’, sincero: quante volte hai scritto la vera verità, tutta la verità e nient’altro che la verità? Mah, sai, penso mai. Perché se scrivi la verità ti denunciano, poi ti levano casa, auto, saluto, fido e stipendio. Ecco perché io scriverò un libro solo in vita mia, tra 4 anni, quando ne compirò 80. Perché quando compi 80 anni è il solo momento in cui ci sei di testa e puoi dire tutto quel che pensi e non possono più metterti in galera. E allora io Arturo Merzario dirò tutta la verità. Ricorda queste tre quantità: 80 anni, 1 solo libro, tutta la verità”.
Arturo, dovevo rispondere a qualche domanda?
“No no, non importa, era per dire”.
Buon compleanno, grande uomo e immenso campione di corse e di vita.
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