La F.1 2019, la più barbosa, pallosa, insignificante, piatta, predecisa e orrenda in tutta la storia settantennale del campionato iridato, è finita, grazieadio, e, ahinoi, già e pronta a cominciare l’edizione 2020.
Come? Be’, alla grande, dai. Cioè con la totale abolizione del mercato Piloti. Col Circus che, caso praticamente unico nella storia, vede sistemate tutte le tessere del mosaico fin dalla prima metà della stagione precedente, ossia quella in corso, visto che lo sapeva anche mio zio Raniero che Ocon sarebbe finito alla Renault per dar lustro a un minimo d’orgoglio patrio francese e che l’iperdollaruto Latifi avrebbe rilevato il posto di Kubica in una Williams alla frutta, grazie soprattutto ai crediti bancari del padre più che al credito agonistico di se stesso, dignitoso assai, ma mai irresistibile.
Per il resto, guardate un po’ la griglia 2020: FERRARI con Sebastian Vettel e Charles Leclerc; MERCEDES con Lewis Hamilton e Valtteri Bottas; RED BULL con Max Verstappen e Alexander Albon; McLAREN con Carlos Sainz e Lando Norris; TORO ROSSO con Pierre Gasly e Daniil Kvyat; ALFA ROMEO RACING con Kimi Raikkonen e Antonio Giovinazzi; WILLIAMS con George Russell e Nicholas Latifi; RACING POINT con Lance Stroll e Sergio Perez; HAAS con Kevin Magnussen e Romain Grosjean; RENAULT con Daniel Ricciardo e Esteban Ocon.
A conti fatti - e si far per dire -, il più grande colpo di scena resta la conferma dell’abbastanza discontinuo ma tendenzialmente in crescita Giovinazzi e meno male, perché se i soldi italiani che affluiscono alla ex Sauber fossero serviti solo per far fuori Bon Giovi, allora sarebbe stato proprio un bel cavolo di lavoro. Per il resto, fateci caso: chi aveva iniziato a Melbourne è rimasto al suo posto. Nessun appiedamento in corso d’opera. Veruna chiosa, nulla da cambiare. A parte lo scambio Albon-Gasly in seno a Red Bull e Toro Rosso, con un giro di volanti in famiglia, non s’è mossa foglia. È una Formula Uno all’insegna della marmorea immutabilità.
La verità è che ormai, di fatto, il mercato piloti non esiste più. Nessuno tende ad appiedare nessuno, perché ci sono contratti firmati che pesano come macigni, posti che tendono sempre più alla quasi inamovibilità, visto che la forza politica e economica dei soggetti in ballo riesce a sopperire alla vulnerabilità agonistica del pilota di volta in volta pericolante. In altre parole, se in F.1 sei così bravino e appoggiato da arrivarci, poi per un po’, nella maggior parte dei casi per un gran bel po’, stai pur sicuro che il sederino famoso non te lo tocca nessuno.
Tanto che, altra cosa agghiacciante da rilevare, è che la F.1 da Abu Dhabi in poi fa a meno tranquillamente di due dei personaggi più tridimensionali, sofferti e stimati, vale a dire Robert Kubica e Nico Hulkenberg, dopo che Fernando Alonso è fuori dallo scorso anno.
In altre parole, tre delle storie umane più toste e belle del patrimonio del paddock sono e restano out, ciascuno con un immeritato e scandaloso calcio nel sedere.
Nessuna osmosi dalle formule d’ingresso, niente interesse per i migliori del Pianeta Usa, IndyCar o che. Questa F.1 si basta da sola.
Nei top team si va avanti per rapportoni pluriennali, tutti sono murati. Poi se è vero che John Elkann sta aprendo a Lewis Hamilton, lo vedremo nel concreto più avanti, ma, morale della favola, nei top team i rapporti dei grandi tendono tutti a durare ere geologiche, creando il panorama più asfittico e assonnante in tutta la storia dell’automobilismo.
Non troppo tempo orsono, mica mille anni fa, la F.1 era come il calcio. Ogni mesetto c’era un bel colpo a sensazione, vero o no. Qualcuno veniva silurato, qualcun altro arrivava a sorpresa, c’era il minimercato tra un Gp e l’altro degli abitacoli in affitto e poi v’era in agguato la creatività delle trattative che nascevano di sera, tra un motorhome e l’altro.
Tanto che i giornalisti più contesi del paddock non erano dei patinati sparascontatezze ma dei battaglieri, ben introdotti, incendiari e coloratissimi cacciatori di primizie. Prendete Giancarlo Cevenini di Autosprint, che magari non scriveva in endecasillabi baciati, però ogni settimana, per non dire ogni giorno, se c’erano tre, quattro o duecentoquindici rumors nel Circus, lui ne sapeva duecentosedici più due cavolate, sapendo discernere quali erano le cavolate dalle duecentosedici voci plausibili.
Ecco, ormai non gira più alito di voce, altro che rumors. Tutto normalizzato, come al dopolavoro dei becchini. Solo comunicatacci fantasiosi come i mutandoni di Helmut Marko. Anzi, bisogna tenerselo caro e buono il dottor Marko, perché se non fosse per il suo estro e la sua voglia di cambiar robe, la F.1 sarebbe più stabile, incistata e geologicamente immutabile del collegio della Corte Costituzionale.
Già. Peggio. Il Circus come il posto fisso che non va più manco nei film di Checco Zalone. Dio, che tristezza.
Pensate se nel calcio, improvvisamente, avessero spianato tutto: mercato piloti, rumors, indiscrezioni, per lasciare il posto a ingaggi simili a questa specie di cooptazioni misteriosofiche tipiche più dei meandri più reconditi del partito comunista della Corea del Nord, che non dei rutilanti paddock della un tempo cangiante, spumeggiante, flessibile e vivissima Formula Uno.
Ecco, se il calcio fosse messo come il Circus, senza mercato e senza test, cioè senza bombe e annunci e vietando le partitelle estive grazie alla legalizzazione dei simulatori, a quest’ora i tifosi del pallone avrebbero preso la Bastiglia e tempestato col battipanni le chiappe di tutti i maggior enti del regno d’Eupalla.
Invece il tifoso di F.1 sempre zitto e buono. Prende su tutto. Il suo è lo sport che costa di più in Tv e dal vivo? Zitto. Gli tolgono le piste toste? Muto. Lo bersagliano con un merchandising a prezzi delinquenziali? Buono. Gli tolgono le dirette dalla Tv generalista? Moscio. Lo costringono a un esborso annuale per vedere un numero crescente di dirette pari all’importo di un lieve incidente stradale? That’s okay. Vede vincere sempre gli stessi con la stessa macchina da sei anni, in nome di un non meglio specificato indice di modernismo politicizzato e semi ambientalista d’un regolamento che produce ormai dei tram di cinque metri e mezzo con tre motori addosso? Wow che bello. Infine, in F.1 non cambia mai nulla, con gli stessi che stanno sempre con gli stessi e l’unico colpo di scena è quando ci si sveglia di botto, perché il gatto fa cascare la fioriera a metà gara? Meraviglioso.
Sai che c’è? Adesso dico uno sfondone, ma devo. Quasi quasi rimpiango i tempi di Ecclestone - uno che la F.1 quella vera peraltro l’ha devastata come pochi - che almeno era l’uomo in più, la clausola segreta, il grande demiurgo, il mago che con un colpo di bacchetta sapeva costruire trame nuove e sceneggiature da Oscar, obbligando piloti e squadre a svolte epocali. C’era bisogno di far rinascere la Ferrari per ridare vita al Circus? Okay, Bernie si dava da fare per non ostacolare il passaggio di Schumi a Maranello. Bisognava depotenziare la IndyCar ridando vigore al mito caldo in F.1? Ma sì, prendiamo Jacques Villeneuve e smistiamolo alla Williams. E così via. Uno, dieci, cento, mille colpi così.
In un’epoca del genere, Mister E avrebbe già mandato Hamilton alla Ferrari, Hulk alla Mercedes a prendersi sto cavolo di podio che gli sfugge da una vita e Kubica, che ne so, in una squadra capace di non umiliarlo come questa Williams diventata ormai la neoMinardi ma quella di Stoddart, mica quella cazzuta di patron Gian Carlo, neh.
Dai, dopo i circuiti i campioni parlanti, pensanti e arrischiati, dopo le sfide toste, ci hanno tolto pure il mercato piloti. Nel quale ormai i tecnici hanno sostituito i campioni stessi, come i soli disposti a cambiare casacca.
Perché in questa F.1 sciapa, buonista, stupidina e mortalmente noiosa, il pilotino ha raggiunto il miraggio del posto fisso, incistandosi il più delle volte tra un concorso addomesticato e quattro amici degli amici nei corridoi capienti ed esclusivi del paddock, vissuto come Ministero della Velocità.
In un posto pubblico globale e a rilevanza planetaria molto difficile da ottenere, ma che se te lo ciucci poi nessuno, per tanti anni, ti toglierà.
Ma andate a scopare l’autostrada di notte, va.