Verissimo, le facce sul podio sono le stesse di Sakhir, ma la prima, vera e grande novità - al di là dell’expolit di Perez che approfitta alla grande delle sfortune di Verstappen in qualifica e di un semiasse che ha stalkerato l’olandese apparentemente anche in gara -, si chiama Fernando Alonso. Perché il suo secondo podio consecutivo dopo quello del Bahrain ha una natura diversa e rivoluzionaria, rispetto al primo.
L'Aston Martin di Alonso è una realtà
Quello poteva sembrare una specie di giornata di grazia, l’eccezione carina, una simpatica e pittoresca violazione dell’ordine precostituito. Cose che possono capitare alla prima gara quando non tutti sono a punto e affidabili, ma poi non si ripetono più o spesso, perché la conservatività delle forze in campo ben presto riprevale. Un po’ come il Congresso di Vienna che riaggiusta le cose, dopo i casini di Napoleone. E invece no. L’Alonso (e pure l’Aston Martin, per la verità) di Jeddah lancia alto nel cielo, assieme ai fuochi d’artificio, un messaggio altro e destabilizzante. Ossia questo. Lo spagnolo ha in mano una macchina per viaggiare in zona podio presumibilmente per tutto l’anno. E c’è una regola non scritta ma osservatissima e conosciuta da chi respira l’ambiente, la quale recita che in Formula Uno se ti tieni per una stagione intera nelle zone che contano, prima o poi una gara, per merito o di culo, non importa, finisce che la vinci. Ecco, è questo il punto. Lavoriamo su tale ultimo aspetto.
L'ultima vittoria di Nando
Nando non vince un Gp da Spagna 2013, suo ultimo successo in Ferrari e nel mondiale, all’interno di un’annata opaca ma migliore della successiva, che sancì l’addio alla Rossa e pure l’inizio vero dell’astinenza da trionfi in F.1. Una mancanza lacerante, psicologicamente snervante quanto attitudinalmente abrasiva e tale da distruggere qualsiasi senso d’autostima a chiunque altro, perché dieci anni secchi, dico dieci anni, senza il gusto della vittoria per un top driver rappresentano forse la tortura più tossica e maledetta ipotizzabile. Ma Nando niente. Testa bassa e pedalare. No problem. Lui ha continuato e continua a credere in se stesso.
E' ancora competitivo
L’ha sempre detto che sarebbe tornato in F.1 e che sarebbe tornato pure a vincere. Il punto della questione, però, risiede altrove. Da vecchio quasi a tutti Alonso sembrava ormai un pittoresco illuso, uno che ama spararla grossa, una specie di mezzo matto tignoso che non s’arrende mai e alla fin fine così (s)facendo rischia di sfiorare quella zona liminale che sta tra lo struggente e il patetico. Invece no. Il Nando di oggi, comunque vada, è un uomo di tutt’altra natura e direzionalità esistenziale. Perché, per esempio, e questo sia detto chiaro, non s’è mai visto un ultraquarantenne più integro, competitivo e avvelenato di lui, nella storia della F.1 moderna. Vero è che Mansell in Australia 1994 con la Williams aveva vinto a 41 anni abbondanti e che il sor Luigi Fagioli nella fase antidiluviana del mondiale s’era aggiudicato un Gran Premio in condivisione a oltre cinquanta primavere, ma quello era un altro modo di correre e, in fondo, anche un altro mondo, ché in confronto il pianeta Marte al giorno d’oggi sembra appena svoltato l’angolo. Insomma, la faccenda adesso per Alonso e grazie a lui diventa diversa eccome, perché si esce dal Gp d’Arabia con la netta impressione che sarà più che possibile vederlo spesso stappare champagne e che il primo trionfo Aston Martin ora diventa un’eventualità più probabile che remota, entro la fine della stagione. Con l’eventualità di migliorare uno dei primati più strani e impensabili, ossia quello del maggior digiuno di vittorie interrotto da un successo.
I record nel mirino
Ambivalente - perché non si capisce se sia solo un record felice o anche contemporaneamente un po’ malinconico e punitivo -, e che ad oggi spetta a Kimi Raikkonen, il quale ha saputo attendere ben 112 Gran Premi e cinque anni e mezzo di dieta, prima di tornare al successo in F.1 - peraltro l’ultimo in carriera e al volante della Ferrari -, ad Austin, in occasione del Gp Usa 2018. Robetta, rispetto a quello che si potrebbe apparecchiare in prospettiva all’asturiano, lanciatissimo verso un qualcosa che presto scopriremo. La verità? Il Fernando ultraquarantenne di oggi appare, credeteci o no, ben più forte, continuo e costante rispetto al Mansell del 1994 o allo struggente e trafelato Schumi dell’era Mercedes. E, sinceramente, anche a confrontarlo con il grande Kimi Raikkonen, appunto l’ultraquarantenne più in palla fino a oggi, lo spagnolo ha e vanta un che d’invisibile ma palpabile in più. Cosa? La felicità. Lo spirito dionisiaco e goduto d’essere lì.
La vera sfida di Alonso
La luce negli occhi, la vitalità folle che ha il vecchio capace di lanciare la sfida, non più al tempo sul giro, ma al Tempo nel senso di epoche ed ere. Poiché dopo Jeddah 2023 Fernando Alonso sta spiegando al mondo che non ha più avversari archetipici o arcinemici in pista, ma la posta ormai si è alzata e sta sfidando qualcosa di più grande e impegnativo. La lotta, ormai, è contro le barriere stesse che impediscono a un pilota di andare a spasso sull’asfalto bucando divari generazionali impensabili. Esaltato dal sentirsi un ritornante e trionfale Conte di Montecristo, un Edmond Dantes evaso dalla prigione ingiusta dell’anonimato agonistico. Diciotto anni dopo essere diventato campione del mondo, Nando è ancora in cerca della prossima vittoria. Come se nel 1968, quando Jackie Stewart era un top driver, il venerando e austero Nino Farina fosse ancora da podio e non solo. Così uno dei temi laterali che prova a salvare questo mondiale, partito male e in tono decisamente monocorde, rappresenta a oggi una delle briscole narrative del campionato 2023.
Il vero rivale della Red Bull
Nando a oggi è l’unica alternativa credibile ai Red Bull Boyz. Cow-boy contro alieni. Il mito della frontiera che buca i secoli contro lo strapotere di genio e top class da dream drink team. Appunto, perché, finalmente, Fernando Alonso e l’Aston Martin sono felici. La luce negli occhi dello spagnolo non è mai stata così sfavillante e nessuno a oggi aveva mai visto sorridere così tenero e dolce Lawrence Stroll, di solito più ombroso e arcigno del re di picche. E anche vedere sotto il podio Luca Furbatto very happy esultare, cantare e fare il groupie dopo una trentina d’anni di F.1 è la prova che l’animo soave è presupposto, segno, causa e allo stesso tempo conseguenza ed effetto delle magie che stiamo vedendo, ossia di un’AMR23 sontuosa, da urlo e curata alla stragrande. Bella, stupenda, questa lezione esistenziale che vale anche per tutti noi. Resilienza felice, classe pura e voglia di crederci possono diventare la pietra filosofale di una giovinezza non eterna ma prorogabile, a patto d’avere cuore, palle e cervello idealmente distribuiti. Continuate, non smettete d’essere così, ragazzi di ieri dell’Aston Martin, e sarete anche i ragazzi di domani, regalando un sogno e una bellissima storia a tutti noi.