"Abbiamo fatto fatica ad accendere le rosse in qualifica e poi abbiamo fatto fatica all’inizio ad accendere le bianche in gara. Il team che ha fatto il più grande step in avanti rispetto allo scorso anno siamo noi. Bisogna andare avanti in questa direzione e le soddisfazioni di battere la Red Bull in corsa arriveranno a breve". Le parole di Charlers Leclerc sono serene, ariose anche se non radiose, ma pronunciate in modo maturo, da vero leader. Benvenuti nel purgatorio strano del pilota che di più al mondo ha voglia di sfidare ruota a ruota e battere Verstappen e invece dal 2019, pur correndo in un top team, anzi, nel top team per antonomasia, deve mordersi le labbra ed aspettare domani. A parte l’inizio 2022, quando aveva la macchina giusta, che però è durata poco, surclassata dalla sintonia fine Red Bull.
Ma torniamo al presente. Quest’anno in qualifica la Ferrari a Jeddah fa vedere d’essere a tre decimi scarsi dalla Red Bull in qualifica e a quattro in gara, punto. Poi può capitare di piazzare la coltellata del giro più veloce in corsa sol perché la SF-24 è una macchina buona, sincera, in crescita, e Charles ha manico da vendere e l’orgoglio del diamante a 24 carati. Ma il punto è un altro: siamo sicuri che Max fosse impiccato, là davanti, per tutta la gara? Manco per niente. L’olandese andava relativamente a spasso. Semmai, non s’aspettava di cedere il gpv, questo no, ma son cose che capitano. Andare a prendere il Re in condizioni gara è tutta un’altra storia. Per ora è impossibile e in chiave prospettica sarà un’impresa di quelle belle titaniche. Perché vincere due o tre Gp in tale situazione e in questa stagione, con la scala dei valori emersa nettamente a inizio mondiale, si configura come una delle più grandi imprese nella storia della F.1 richieste a una squadra e a un pilota in posizione non dominante. Staremo a vedere. Di sicuro Ferrari e Leclerc il potenziale - rispettivamente tecnologico e umano - e la determinazione per provarci ne hanno. Ma facciamo un passo di lato e guardiamo le cose come stanno. Sono sei stagioni che Leclerc corre e soffre con e per questa Ferrari.
Nessuno mai nella storia è stato al Cavallino Rampante per così tanto tempo senza avere mai la possibilità di giocarsi un mondiale nell’ultima parte di campionato, spesso partendo da capitano preclaro. E non per colpa sua. Presumibilmente, neanche per colpa della Ferrari, perché contro la Mercedes del primo ciclo turboibrido e contro la Red Bull del secondo, ovvero questo, nulla hanno potuto neppure la Red Bull e la Mercedes rispettive, quindi figuriamoci. Però c’è un però. E riguarda Charles. Ecco, voglio dire che nel calcio è diverso, perché i tifosi di una grande squadra sanno amare per sempre atleti generosi capitati nel momento sbagliato, quando il collettivo era tosto ma non vincente. Per dire, ancora oggi i milanisti sono innamorati di Hateley e Wilkins, che non hanno vinto niente di leggendario, eppure ce la mettevano tutta, ciascuno a modo suo. Così come quelli del Cagliari adorano per sempre Gigi Riva, Rombodituono, e anche Mario Brugnera, aggrappati alla bandiera isolana nella stagione scudetto 1969-1970 ma anche negli anni del declino, fino alla retrocessione in B, a metà decade successiva. Nella buona e nella cattiva sorte.
Come accade ai matrimoni che funzionano davvero. Voglio dire, terzi posti come quello di Jeddah non bisogna dimenticarli, visto che valgono quanto un primo. Perché sono terzi posti presi da un pilota bandiera. Da un alfiere di cuore rosso. Un inizio di campionato tignoso e maturo come quello di Leclerc fine inverno 2024, vale un gol di testa in acrobazia di Mark Hateley, altroché. E quando un giorno la Ferrari tornerà vincente, bisognerà ricordarsi che nei giorni in cui non si poteva che arrivare terzi, quarti, oppure settimi, Charles era lì, sempre, a giungere terzo, quarto oppure settimo. Ovvio, con lo spettro in faccia della sindrome di Jean Alesi, ossia quello di correre una vita (cinque stagioni per l’avignonese) con una Rossa non da primato, facendo l’innamorato generoso ma dalle polveri bagnate, che alla fine non c’è più quando tutto cambia e si propizia. Dai, un po’ come il tenente Giovanni Drogo nel romanzo “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati.
Eccolo, Charles Leclerc. Uno che vive la sua vita meravigliosa di top driver nella squadra più IN dell’universo, ormai temendo, molto più della Red Bull e di Max Verstappen ovvero l’arrivo stesso a Maranello di Lewis Hamilton, temendo, dicevo, soprattutto la storia di Jean Alesi e il più bel romanzo di Dino Buzzati. Certe volte, ancor più che stappare champagne per il terzo posto e far finta d’essere felici, la verità è che bisogna solo resistere, resistere e resistere, consapevoli, un giorno, di dimostrare d’essere i migliori e di riprendersi il maltolto. In fondo, nella serata dei Caschi d’Oro di Autosprint 2023, Jean Todt ha detto una cosa fantastica che vale per Charles Leclerc e per tutti coloro che nella vita, per un attimo o decenni, si trovano nella stessa condizione. Cioè questa: "Attenzione, perché nelle situazioni che sembrano senza via d’uscita non basta il talento e il merito, ci vuole perseveranza. La perseveranza è la meno valutata e la più importante e decisiva della qualità, quando si affianca al talento". Bravo, Charles, a Jeddah, quindi. È stato un gol di Hateley, un’azione da assist di Wilkins. Adesso, per sperare in future e liberatorie notti magiche da Champions trasformandoti in van Basten (ops, un olandese), hai davvero tutto, dentro di te. Semplicemente, in una situazione del genere, meglio che terzo non potevi arrivare. Sorridi, dunque, sei su terzi a parte. Devi solo tener duro e aspettare. In fondo il deserto del Bahrain e di Jeddah mettono in corpo più luce e fiducia del deserto dei tartari.