Ecco la puntata del 18 gennaio di &ldquo;Ci vediamo da Mario&rdquo;, dedicata dal nostro Mario Donnini a due grandi e compianti piloti nati in questo giorno: Pedro Rodriguez e Gilles Villeneuve.

Ci vediamo da Mario: L'omaggio a Rodriguez e Villeneuve

        Ci sono le classifiche di merito, le classifiche dei numeri, freddi ed impassibili, quindi le classifiche di gradimento. E poi ci sono le classifiche del cuore. Incalcolabili, strane, illogiche. Figlie di un algoritmo tutto suo, di una selezione pura e naturale, scevra, spesso, dalla scienza dei risultati. Nelle classifiche del cuore, insomma, aver vinto o perso non &egrave; tutto. E nelle classifiche del cuore, si fa fatica a non far stravincere Gilles Villeneuve.  Febbre Villeneuve, un virus dilagante Vale per tutti. Per chi lo ha visto da adulto, per chi lo ha visto da bambino, per chi da bambino se lo &egrave; fatto raccontare, perch&eacute; figlio di un'epoca successiva alla Febbre Villeneuve. Un virus tutt'altro che maligno, al contrario di quello che fronteggiamo oggi. Ma un virus ugualmente dilagante, che pi&ugrave; che i polmoni prendeva direttamente il cuore. Solo che non c'era vaccino per farselo passare, non c'erano cure n&eacute; palliativi. Se lo prendevi, te lo tenevi per l'eternit&agrave;. Con tutta una serie di controindicazioni, a partire dal fatto che la domenica alle due, in barba agli orari strani del calendario extraeuropeo, c'era l'incontro con il dottore: il quale, anzich&eacute; curarti, faceva di tutto per farti contagiare ancora di pi&ugrave;. Lui era Gilles Villeneuve: un compagno di avventure, piuttosto che un tale con il vizio di correre in macchina. Capace di esaltarti, oh s&igrave;, come nessun altro sarebbe stato in grado di fare. Una serie di imprese impavide E tutto questo per uno che ha vinto "solo" sei gare. Nel giudizio eterno, la grandezza di Gilles sta proprio qui: nell'essere accostato ad un dio pagano a fronte di un curriculum infinitamente inferiore rispetto ad altri pesi massimi della categoria. Ma che importa, quando corri cos&igrave;, quando la manovra passa per gli occhi e arriva dritta sotto la pelle. Digione 1979, per esempio: nessuno si sogna di dire che Gilles abbia vinto quel leggendario duello con Arnoux con in palio un 2&deg; posto e non la vittoria. Fu un duello di quelli rari, impensabili come la neve d'agosto. In quella sequenza di fotogrammi ruota a ruota, Gilles e Ren&eacute; si stavano consegnando al mito: e infatti Digione 1979 &egrave; la loro gara, di quelli che arrivano secondo e terzo, di certo non quella di Jean-Pierre Jabouille, il quale portando al successo un motore turbo per la prima volta nella storia era convinto di averla fatta, la storia. E la fece, ma mica abbastanza da togliere la copertina agli altri due, perch&eacute; quel giorno di chi aveva vinto importava niente a nessuno. Quasi quasi nemmeno ad Arnoux, battuto dal compagno di squadra alla distanza e da Villeneuve nel corpo a corpo: eppure anche lui sa benissimo come quel giorno sia contato esserci, piuttosto che vincere o perdere. Poi l'ala rotta di Montreal 1981, sotto il diluvio, a guidare alla cieca, per non dire di Zolder 1979: 23&deg; ad inizio gara dopo una toccata, 3&deg; dopo una rimonta clamorosa prima di dire addio alla corsa causa benzina. Tutto ci&ograve; senza dimenticare quel giro, e sottolineiamo "quel" giro: Zandvoort 1979, il rientro ai box con una sospensione sbriciolata, il braccio alzato e la macchina inclinata, per consegnare "quel" giro, appunto, agli annali, come simbolo di una tenacia infinita. Fermarsi? Macch&eacute;. Proseguire, ripartire, provarci sempre e comunque. Tra emozione e ragione Gilles sceglieva sempre la prima, tanto che ebbe pure la faccia tosta di dire a Forghieri "riparate che riparto!", prima che Furia lo prendesse per matto. Quattro esempi di Febbre Villeneuve, quattro esempi di come non sia necessariamente richiesta una vittoria per lasciare il segno nel mondo delle corse. Di vittorie comunque ce ne furono, eccome. Imprese, pi&ugrave; che vittorie: come la prima in Canada nel 1978, a casa sua, nelle settimane in cui la gente si chiedeva quand'&egrave; che Enzo Ferrari avrebbe dato il benservito a quel fantino proveniente dalle motoslitte. Monaco 1981, la prima vittoria di un motore turbo tra le stradine del principato, un qualcosa di impensabile; e quindi Jarama tre settimane dopo, tutti in fila dietro a Gilles: tutti pi&ugrave; veloci, ma nessuno in grado di passare. Nel conteggio, anche Kyalami, Long Beach e Watkins Glen 1979. Poche per uno con quel talento, tantissime per chi era, &egrave; e sar&agrave; disposto a concedere a Gilles gratitudine imperitura. Nonostante l'8 maggio 1982, quarant'anni fa, la storia si sia interrotta per sempre. Lasciando dentro un vuoto incolmabile dominato dal senso di ingiustizia, incredulit&agrave;, di rassegnata malinconia per uno che sembrava invincibile. Un attimo dopo, Gilles non c'era gi&agrave; pi&ugrave;, ed il mondo sembrava pi&ugrave; brutto. La F1 non sarebbe pi&ugrave; stata la stessa, perch&eacute; di campioni ne nascono tanti, ma di Gilles Villeneuve, statene certi, ne nasce uno solo. Un modo tutto suo di intendere la vita Forghieri lo defin&igrave; "un puro". Purezza d'animo, purezza nell'intendere la vita come sfida continua al limite. In tutto e per tutto, in pista e fuori. Ardito come pochi, sprezzante del pericolo per alcuni, semplicemente Gilles per tutti gli altri, comprensivi verso un modo di fare che prevedeva prendersi dei rischi continuamente. Disposti, tutti, a concedergli quelle stravaganze senza le quali Gilles non sarebbe stato Gilles. Del resto "essere coraggiosi non significa non avere paura, significa avere paura ma farlo lo stesso", diceva. In elicottero con la nebbia, quasi a secco, come se cercare un terreno per un atterraggio di emergenza fosse un gioco come un altro; quella voglia di battere i propri record tra le strade che separavano Maranello e Modena oppure Maranello e Montecarlo, strade pubbliche che per l'occasione diventavano una prova speciale privata. Erano i tempi in cui i vigili urbani lo fermavano, gli facevano la multa e poi gli chiedevano la foto, perch&eacute; quando ti ricapita di fare una contravvenzione a Gilles Villeneuve, ma soprattutto di stringergli la mano. Anche i vigili, alla fine, hanno un cuore, mica si divertono a fare le multe. Evidentemente avevano il cuore come tutti gli altri, come tutti quelli che soffrivano della Febbre Villeneuve. Quelli che in cima alla lista delle priorit&agrave;, ci mettono le classifiche del cuore.       

L'8 maggio 1982 il terribile incidente di Zolder portava via con s&eacute; Gilles Villeneuve, pilota circondato da un affetto senza eguali per uno che con il suo modo di correre fece innamorare pi&ugrave; di una generazione

Per sempre Villeneuve: 40 anni dopo, Gilles è ancora qui

Emozioni in bilico sul precipizio di una domenica (la prossima) sospesa tra il duello esplosivo Leclerc-Verstappen e Ferrari-Red Bull e una clamorosa esplosione di ricordi a 40 anni dalla scomparsa di Gilles Villeneuve. Da una parte la prima volta di Miami che rappresenta gi&agrave; un crocevia importante per il Mondiale 2022. Dall&rsquo;altra l&rsquo;ennesimo tributo a un pilota che non se n&rsquo;&egrave; mai andato dal cuore degli appassionati, un mito ancora molto presente, per sempre con noi, testimoni di una vera apparizione non pi&ugrave; riproducibile. Questo numero di AS &egrave; una dedica allo straordinario canadese che ci ha rapito con imprese sempre abbondantemente oltre il limite.   Raccontava Dino Tagliazucchi, autista di Enzo Ferrari, in un&rsquo;intervista di alcuni anni fa: &quot;Nel cuore del Commendatore c&rsquo;era soprattutto Villeneuve. Il suo ingaggio fu una specie di lotteria: Ferrari l&rsquo;aveva visto debuttare in F.1 a Silverstone con la terza McLaren ed era rimasto affascinato. Scommise su questo ragazzo che tra l&rsquo;altro come ingaggio costava anche poco. Gilles si present&ograve; a Ferrari con uno zainetto dietro alle spalle. Firmarono il contratto in via Trento e Trieste. Alla tv il Drake rimaneva affascinato dalle imprese di Villeneuve. Il giorno che mor&igrave; a Zolder, ero a fianco dell&rsquo;ingegnere in pista a Fiorano. Pioveva a dirotto. Ricevette una telefonata. Lo accompagnai con l&rsquo;ombrello in ufficio, gli allungai la cornetta del telefono: si mise a piangere come un bambino. Mi disse &#39;non vorr&ograve; mai pi&ugrave; bene a un pilota&#39;&quot;.    Quell&rsquo;8 maggio 1982 &egrave; una ferita ancora aperta per Pietro Corradini, celebre meccanico della Rossa. &quot;Il giorno pi&ugrave; brutto della mia vita - ricorda - Quell&rsquo;anno seguo la vettura di Pironi e poco prima di pranzo, Didier sta per finire di girare. Nel retro-box incrocio il giornalista Eugenio Zigliotto e mi fa &#39;&Egrave; successo un incidente a Gilles&#39;. Dopo ripareremo la macchina&#39;, rispondo io, ignaro dell&rsquo;accaduto. &#39;No. &Egrave; stato un incidente grave&#39;, replica lui. Mi si gela il sangue. Entro nei box, mentre in pista non gira pi&ugrave; nessuno. C&rsquo;&egrave; un silenzio da pelle d&rsquo;oca. Arriva Pironi, ha in mano il casco di Gilles. Poi Forghieri dice: &#39;Chiudiamo il garage: &egrave; successo un grosso incidente a Gilles, speriamo ce la faccia&#39;. Invece non ce l&rsquo;ha fatta. Da l&igrave; &egrave; finito tutto. Anche Didier non &egrave; stato pi&ugrave; lui. Quando ha avuto il suo incidente in quello stesso anno al GP di Germania arriv&ograve; tardi per prendere parte alle prove del sabato. Era stanco, trasandato. Mi accorsi del suo incidente dai monitor. Un istante dopo, la telecamera fece lo zoom e vidi Pironi, con la testa reclinata su un lato e i piedi fuori dall&rsquo;abitacolo&hellip; &quot;.  Di Gilles e del suo rapporto con Ferrari ne scrisse su AS anche Franco Gozzi, il delfino del Grande Vecchio: &quot;In un ricordo stampato per i tifosi mi sugger&igrave; di scrivere: &#39;Gilles! S&igrave;, c&rsquo;&egrave; chi lo ha definito aviatore e chi lo valutava svitato, ma con la sua generosit&agrave;, con il suo ardimento, con la capacit&agrave; distruttiva che aveva nel pilotare le macchine macinando semiassi, cambi di velocit&agrave;, frizioni e freni, ci insegnava cosa bisognava fare perch&eacute; un pilota potesse difendersi in un momento imprevedibile, in uno stato di necessit&agrave;. &Egrave; stato campione di combattivit&agrave; e ha regalato tanta notoriet&agrave; alla Ferrari&rdquo;. E volle concludere con la frase &ldquo;Io gli volevo bene&rdquo;. Gilles &egrave; stato l&rsquo;unico pilota che abbia sentito io rivolgersi al Capo con uno sfacciato &ldquo;tu&rdquo; che ci lasciava tutti a bocca aperta. Ricordo ancora quando al ritorno dal GP del Giappone 1977 nel quale Gilles aveva fatto il finimondo, feci stendere tutti i rottami in mezzo al cortile e io stesso scattai una foto di quel disarmante &ldquo;esploso&rdquo;, dicendogli che l&rsquo;avrei fatto pubblicare con la didascalia &ldquo;ecco come Villeneuve riporta a casa la macchina dopo la gara&rdquo;. Il Vecchio, che gli perdonava tutto, quando seppe la faccenda della fotografia &#39;Lascia perdere quello scherzo - mi stopp&ograve; - perch&eacute; Villeneuve &egrave; cos&igrave;: se non fosse cos&igrave; non sarebbe Villeneuve&quot;&#39;.    

Questo numero di AS in edicola &egrave; una dedica allo straordinario canadese che ci ha rapito con imprese sempre abbondantemente oltre il limite

L&#39;editoriale del Direttore: Uno spaccato di Gilles

Credete davvero che la partecipazione immensa e l&rsquo;onda calda d&rsquo;empatia che circondano il quarantesimo dalla morte di Gilles Villeneuve siano solo sfogo di passione e nostalgia? Davvero pensate che la celebrazione sia solo una scarica antidolorifica, atta a lenire le mille punture di rimembranza di tutti noi malati di ricordi e paradisi perduti? O piuttosto l&rsquo;analisi da fare &egrave; ben diversa, magari pi&ugrave; cunicolare e scomoda ma non per questo meno esaltante? In realt&agrave; la presentazione del canadese come esagerato tutto coraggio, sprezzante del pericolo e del limite, pronto a vivere una vita a tavoletta, a distruggere Ferrari e ad esaltare folle e folli in nome di una compulsiva attitudine a gettare il cuore oltre l&rsquo;ostacolo, &egrave; tanto caricaturale e fa correre il rischio, qui e ora, di percepire e intendere di lui solo una ricostruzione da cartone animato. Non vita, sorte e miracoli di Gilles ma solo ed esclusivamente un riassunto per bambini. L&rsquo;ode a una specie di acerbo Vasco Rossi young quando mezzo briaco cantava, anzi, bofonchiava a Sanremo &ldquo;Vado al massimo&rdquo;.  Chi era davvero Villeneuve  No, paradossalmente per gustare l&rsquo;essenza vera, indimenticabile di Gilles Villeneuve, bisognerebbe totalmente elidere, dimenticare e azzerare gli incidenti, le esagerazioni e le smargiassate di terra e per aria, in macchina ed elicottero, perch&eacute; il ganglio pensante, la filosofia, il nettare di ci&ograve; che il canadese &egrave; stato, &egrave; e sar&agrave; nei sentimenti di chi continua a rimpiangerlo, stanno ben altrove, al di l&agrave; delle immagini spettacolari e telegeniche di botte di vita e di guard-rail. Perch&eacute; Gilles &egrave; altro e per ben altro &egrave; idolatrato e tuttora in parte inconsciamente preso a modello.  Punto uno, Gilles Villeneuve &egrave; un ragazzo partito da zero. Un povero che da teenager rischia la pelle in motoslitta e senza futuro. Viene dalle parti del Grande Nord, dal punto d&rsquo;approdo di Jack London quando voleva scomparire in cerca di fortuna, e da l&igrave; scala velocemente le vette dell&lsquo;automobilismo, unico al mondo a far innamorare McLaren e Ferrari in due mesi. Mai nessuno s&rsquo;era avviato cos&igrave; dal basso, dallo zero idrometrico della carriera sportiva, arrivando a cime prestigiose e proibite.  Gilles, in poche parole, &egrave; un no hoper, duro e puro apparentemente senza speranza, che ce la fa. Dopo una gavetta sfiancante, tanto che preferisce nascondersi due anni d&rsquo;et&agrave;, perch&eacute; teme d&rsquo;apparir vecchio, una volta esposto alle luci della ribalta.  Punto due, Gilles Villeneuve non &egrave; uno sfasciamacchine, un mezzo matto, un Peter Pan immaturo con la tendenza seriale ad accartocciare telai, ma un pilota che arriva alla Ferrari in uno snodo particolare nella storia del Cavallino, quando la certa competitivit&agrave; degli anni prima svanisce, insieme all&rsquo;era Lauda, dovendo ripartire da zero. La verit&agrave; &egrave; che la T3 che trova Gilles nel 1978 non &egrave; una monoposto decisiva in chiave iridata, ma un&rsquo;onesta macchina che pu&ograve; solo vincere battaglie e mai la guerra, sfiancata dall&rsquo;arma totale Lotus 79.  La verit&agrave; &egrave; che la T4 al top nel 1979 con Scheckter non &egrave; la miglior vettura del mondiale, ma solo la pi&ugrave; continua, consistente e affidabile, perch&eacute;, in quello strano anno, all&rsquo;inizio la pi&ugrave; forte &egrave; la Ligier e poi in cima sale indiscutibilmente la Williams. La verit&agrave; &egrave; che la T5 del 1980 &egrave; la Ferrari peggiore della storia, a parte quella del 2020, e con essa il canadese non pu&ograve; che prendere puntarelli. La verit&agrave; &egrave; che la 126 Ck del 1981 ha il motore acerbo, potente ma inaffidabile che mal si sposa al telaio e Gilles fa due miracoli vincendo - e ricorderete come - a Montecarlo e a Jarama - come e dove nessuno mai avrebbe vinto.  La verit&agrave; &egrave; che la sola macchina assolutamente vincente che si ritrova, la 126 C2, Gilles la ha in mano nel 1982 e diventa tale, ben maturata, da Imola in poi, ma il canadese non fa in tempo a goderne, perch&eacute; l&rsquo;unghiata del destino lo porta via. Quindi, vedete, Gilles non &egrave; uno che, come tanti dicono, vince poco, ma un pilota che trionfa molto in uno snodo delicato della Ferrari, che si trova a non essere pi&ugrave; competitiva a causa dell&rsquo;avvento dell&rsquo;effetto suolo, della crescita difficoltosa dei radiali Michelin e del sofferto passaggio al turbo.    La verti&agrave; la dicono i numeri  La verit&agrave;, dicevo, non &egrave; che Gilles butta via tanto. &Egrave; vero tutto il contrario: lui va a segno - fatto salvo qualche errore -, quelle poche volte in cui la Ferrari potrebbe vincere una gara, pi&ugrave; altre in cui con quella Rossa potrebbe trionfare solo lui. Non dimentichiamo che nel 1979, l&rsquo;anno in cui il compagno di squadra Scheckter vince il mondiale, lo stesso Jody porta a casa tre successi nei Gp, esattamente tanti quanti Gilles.  E le cose prendono una piega favorevole al sudafricano sol perch&eacute; il canadese va fuori in Olanda battagliando con Alan Jones, decidendo poi di aiutare l&rsquo;amico Jody a Monza ed evitando di sfidarlo, con un gesto galantomista che non ha eguali nella storia delle corse, se non con Collins verso Fangio sempre a Monza, ma quasi un quarto di secolo prima. In altre e sentite parole, Gilles Villeneuve &egrave; uno che ha vinto tanto, perch&eacute;, a parte qualche sbavatura da rookie, porta a casa Gran Premi tutte quelle poche volte in cui la Ferrari di quel quinquennio pu&ograve; farcela, pi&ugrave; un paio di sue prodezze. Tanto che vince 6 Gp (pi&ugrave; la Corsa dei Campioni) in un&rsquo;era in cui la Rossa in tutto vince solo 13 gare iridate. Quindi lui fa la sua parte alla grande.  In sintesi, dategli una macchina competitiva e Gilles vincer&agrave;. Infine, il vero centro del ragionamento. Gilles &egrave; un sontuoso pilota incistato nel corpo di un fantino ma anche un uomo grande, immenso, faticosamente contenuto in una tuta con misure da sedicenne.    L&#39;uomo oltre il pilota  Gilles coltiva valori umani. L&rsquo;amicizia, la correttezza, l&rsquo;onore e la dignit&agrave;, su tutto e tutti. Per amici ha Ren&eacute; Arnoux e Bruno Giacomelli, altri due partiti come lui da zero, entrambi dal Grande Nord industriale italiano, con Bruno stesso perfino emigrante in Gran Bretagna. Gilles va d&rsquo;accordo con Carlos Reutemann, argentino bello, velocissimo, con qualche fisima ma ricco di valori interiori, e lega con Jody Scheckter, ruvido, molto diretto e aperto, uno pane al pane, poi si rovina la vita quando entra a contatto con Didier Pironi, francese, figlio dell&rsquo;alta borghesia imprenditoriale, con i suoi sorrisi educati, i modi carezzevoli e felpati, ma pronto ad accoltellarlo alla prima occasione vera.  Volete la verit&agrave;? Gilles &egrave; soprattutto questo. Cuore, anima, moralit&agrave; forestale, contadina e pre-industriale. &Egrave; il Pilota Buono, ma mai coglione. Assolutamente, puramente, felicemente puro, lindo e positivo, nella storia della F.1 e tra i pochi dello sport praticato a livelli mondiali. Gilles, direbbero i testi di filosofia, &egrave; uno dei pochi uomini di successo che nell&rsquo;era post-rivoluzione industriale appare denso di valori morali all&rsquo;interno d&rsquo;un&rsquo;esistenza assiologicamente orientata. E in questo sistema coraggio e sprezzo del pericolo non sono fini a se stessi, ma diventano satelliti, lune ancelle rispetto al valore supremo che &egrave; quello della sfida leale e del rispetto dell&rsquo;avversario, dell&rsquo;altro da s&eacute; e della tutela, financo e soprattutto in pista, dell&rsquo;amico.  Gilles ci insegna che la vita non si sfugge, non si schiva, non si beffa, ma si affronta. Sempre. &Egrave; un maestro di Guida, ma anche di Vita. Onorandolo, carezziamo anche ci&ograve; che dobbiamo e dovremmo essere.  Proviamo dunque a celebrare i quarant&rsquo;anni dall&rsquo;8 maggio 1982 assaporandone la vera essenza anche nei pezzi strepitosi del fresco numero di Autosprint cartaceo in edicola da questo marted&igrave; ad opera dei testimoni reali del tempo quali Marcello Sabbatini, Oscar Orefici, Giancarlo Cevenini unito a Marino Bartoletti e allo stesso Pino Allievi.  Col privilegio di cogliere finalmente il vero senso di tutto nella vita, nella carriera, nella fine materiale e anche nell&rsquo;immortalit&agrave; ideale ed esemplare di Gilles Villeneuve. Ragazzo, Uomo, Campione che non &egrave; vissuto per morire, ma che vanta per sempre il meraviglioso merito d&rsquo;essere morto per vivere e correre restando se stesso. 

Al di l&agrave; del coraggio Villeneuve, a 40 anni dalla scomparsa, resta un raro modello di morale e valori puri nello Sport

Gilles amato perch&eacute; Maestro di Vita

Se oggi sono trentasette anni dalla scomparsa di Gilles, quaranta anni&nbsp;esatti sono passati dall&rsquo;incubazione del morbo e per una volta, quasi facendo il verso al grande Luciano Onder e a Medicina 33, oggi parliamo di Febbre. In particolare della pi&ugrave; speciale ed entusiasmente delle sue manifestazioni: appunto, la Febbre Villeneuve.  Rara, trascinante e irrefrenabile affezione che comincia a colpire il tifoso - non necessariamente ferrarista ma trasversalmente passionale, oltre che appassionato di corse strappacuore -,&nbsp; al termine della stagione 1979.  E che dilaga per quasi tre stagioni, salvo trasformarsi nel simulacro d&rsquo;un&rsquo;emozione forte, intensa, a tratti emulabile e recidiva, s&igrave;, ma mai eguagliabile davvero, tuttavia citabile e revivescente.&nbsp;  In quanto non ne esisteranno di campioni pi&ugrave; tali e quali nello stile al suo soggetto e oggetto prezioso: Gilles Villeneuve da Saint-Jean-sur-Richelieu, Canada, pilota ufficiale della Ferrari a partire dal Gp del Canada di due stagioni prima, anno di grazia 1977, in sostituzione del dimissionario neo-campione del mondo Lauda Niki.  Come andarono davvero le cose?&nbsp;  La Febbre di Villeneuve nasce e si propaga in due modi. Il primo banale, furbo, para-commerciale e quasi burocraticamente innocuo.&nbsp;  Poi il virus muta, si fortifica, diventa aggressivo trasformandosi in simpatica e benefica pandemia, alla quale nessuno vorrebbe sfuggire e dalla quale ben pochi saranno risparmiati, nonch&eacute; a essa indifferenti.  Ma procediamo con ordine.  Nella primavera 1979 gli organizzatori del Gran Premio del Canada concordano con lo sponsor ufficiale Labatt - ossia la birra locale -, una potente campagna pubblicitaria legata al nuovo idolo dell&rsquo;automobilismo nazionale, Gilles Villeneuve, vincitore dell&rsquo;edizione precedente: le flamboyant pilote canadien qui a fait les beaux jours de la Scuderia Ferrari.  Manifesti, adesivi, depliant, flyer da ogni parte, perfino nelle scuole. Il messaggio arriva bello chiaro e felice: &ldquo;J&rsquo;ai la fi&egrave;vre Villeneuve&rdquo;.&nbsp;  S&igrave;, ho la febbre Villeneuve.  Ma il Paziente Zero? &Egrave; Marcello Sabbatini&nbsp;  E siamo allo stadio uno. Robina da niente. Sembra una semplice campagna pubblicitaria come tante, ma improvvisamente si trasforma in qualcosa d&rsquo;altro e di ben diverso, perch&eacute; a essere colpito, come in tutte le pandemie che si rispettino, &egrave; uno storico, leggendario e telescopico Paziente Zero: il supergiornalista Marcello Sabbatini.&nbsp;    Lui. Il Direttore di un Autosprint capace di arrivare a 240mila copie di venduto, in occasione del numero successivo al Gp d&rsquo;Italia 1979, quello che segue il mondiale vinto dalla Ferrari e da Jody Scheckter, fedelmente scortato a Monza dal compagno e amico Gilles Villeneuve. Ossia, guarda caso, il numero di Autosprint che precede di pochi giorni l&rsquo;attesa e pompatissima corsa canadese, nella quale Gilles sar&agrave; secondo dietro alla Williams di Alan Jones.&nbsp;  La Febbre arriva in Italia su As il 16 ottobre 1979  Marcello Sabbatini, in quel momento, &egrave; tante cose. Adesso se a uno gli danno del giornalista, quello si pu&ograve; pure mezz&rsquo;offendere. Al tempo no, la professione ha ancora dignit&agrave; forte e inattaccabile, a prescindere. Eppoi Marcellone &egrave; anche qualcosa di diverso e molto di pi&ugrave; d&rsquo;un semplice bravuomo dell&rsquo;informazione.  No, lui dirige un giornale quasi fosse un partito, &egrave; pervaso dal sacro fuoco delle battaglie ideali, gode a schierarsi, a scendere in campo, preferibilmente attaccando i lecchini dei poteri forti - i famigerati leccobardi - e, peggio ancora, direttamente e frontalmente, i poteri forti medesimi. E pi&ugrave; potente &egrave; il nemico, pi&ugrave; bella e audace &egrave; la pugna e avvincente la vittoria che gonfia il cor.&nbsp;  Di converso, quanto pi&ugrave; tatticamente debole &egrave; il soggetto da difendere, tanto pi&ugrave; eroico e immortalante &egrave; l&rsquo;agone promesso e permesso.  In uno scenario del genere, l&rsquo;arrivo di Gilles Villeneuve sulla scena rende il canadese stesso immediatamente legittimo sposo e manico prodigio per una nuova, entusiasmante e indimenticabile battaglia di e su Autosprint.  Gilles, la scommessa&nbsp;  E questo &egrave; niente, poich&eacute; Villeneuve &egrave; forse la pi&ugrave; grande scommessa nella quasi centenaria vita di Enzo Ferrari.&nbsp; Il Drake nell&rsquo;intensissimo 1977 si separa da Niki Lauda, bi-campione iridato da lui costruito pi&ugrave; robotico, giovane, esoso e insolente, per dare fiducia e abbracciare le sorti di un semisconosciuto privo di blasone, povero, mediaticamente nullo, promettente ma desolatamente digiuno di Formula 1, politica, giochi di palazzo e sponsor.  Ingaggiare Villeneuve &egrave; un passo nel buio che solo uno con le spalle larghe come Enzo Ferrari pu&ograve; permettersi. Spingerlo a tifarlo, difenderlo, esaltarlo contro tutto e tutti, &egrave; invece roba fatta apposta per uno come Marcellone.&nbsp;  L&rsquo;ode di un magico e magista sciamano-patriarca, solo apparentemente urlatore e in realt&agrave; perdutamente invaghito d&rsquo;un&rsquo;idea, di un sogno, di un consapevolissimo grido di libert&agrave; che giorno dopo giorno, irrazionalmente, irresistibilmente, implacabilmente abbatteranno barriere, pregiudizi, perplessit&agrave; e felpate cautele, trasformandosi nel pi&ugrave; colossale, condiviso e unificante innamoramento in bianco nella storia delle corse.  In quel 1979 tutto cambia per sempre&nbsp;  Attenzione, Gilles Villeneuve all&rsquo;inizio con la Ferrari fa danni e fatica a pi&ugrave; non posso. Si prende coi veterani della F.1, picchia forte, con incidenti spettacolari, drammatici, perfino tragici. Ma mica una volta e neanche solo due. No. Di pi&ugrave;.  Lottare con Ronnie Peterson, campione corretto ma terrificante quanto a combattivit&agrave; o provare a doppiare l&rsquo;arcigno Clay Regazzoni a Long Beach 1978, che quando vede negli specchietti la sua ex amata Ferrari condotta da un altro non &egrave; cos&igrave; felice di far sconti, ecco, diciamo pure che son cosine da farsi venire l&rsquo;ansia, piegando sempre pi&ugrave; telai Ferrari, aperture di credito e opportunit&agrave; a disposizione.  La vera riscossa di Gilles Villeneuve avverr&agrave; proprio a casa sua, a Montreal 1978, la prima volta in cui la F.1 corre sul tracciato amico di Notre Dame, in luogo del gotico e terribile Mosport.  L&rsquo;Aviatore, cos&igrave; soprannominato perch&eacute; i suoi spettacolari crash mostrano pi&ugrave; d&rsquo;una volta tonitruanti propensioni al decollo, finisce col vincere la corsa che forse avrebbe meno meritato.&nbsp;  Visto che viene dominata fin l&igrave; in lungo e in largo da Jean-Pierre Jarier supplente in casa Lotus, ma costretto al ritiro per un sasso che gli rovina il radiatore, che gli cuoce il motore che al mercato suo padre compr&ograve;.  &nbsp;Lo strano destino del mito Gilles&nbsp;  Insomma, per farla breve, la Febbre di Villeneuve &egrave; affezione strana, che sublima un pilota, un esempio e un campione in divenire, che al momento non ha iridi, coppe e riconoscimenti a iosa, in cascina - n&eacute; ahim&eacute;, ahilui e ahinoi - nel suo caso li avr&agrave; mai - ma pu&ograve; contare sulla magia emozionale delle sue gesta, della sua filosofia oltre il limite, sempre e comunque. Sul talento innato, unito a una vocazione omerica al sacrificio senza paura, all&rsquo;interno d&rsquo;una scala di valori nobile e condivisa. Cristo, come si fa a restare insensibili, a uno cos&igrave;? Non si deve, non si pu&ograve;.  E non &egrave; vincendo, che Gilles provoca la Febbre, ma provandoci.&nbsp;Non &egrave; il cosa o il quanto, che arrapa, ma il come. Tanto che quando il virus si propaga, di fatto Cittanuova in realt&agrave; ha appena perso il mondiale vantando solo 4 vittorie iridate all&rsquo;attivo, due delle quali in Italia non sono state trasmesse neppure in diretta televisiva.  No, Gilles nel 1979 e pure dopo non piace per come vince, ma - come Nuvolari e ma anche per ragioni sue - &egrave; uno che entusiasma per tutt&rsquo;altri motivi.&nbsp;  Il secondo posto pi&ugrave; bello nella storia dell&rsquo;Uomo&nbsp;  Sei giri e circa 7 minuti alla fine del Gp di Francia. Digione, 1&deg; luglio 1979. In testa Jean-Pierre Jabouille su Renault procede sereno, pregustando il primo successo del motore turbo in F.1, per giunta davanti al pubblico di casa. Ma a circa 15&rdquo; dietro di lui sta per avvenire l&rsquo;imprevedibile. Lo scoppio di sogno.&nbsp;  Gilles Villeneuve su Ferrari &egrave; 2&deg; e si ritrova attaccato agli scarichi Ren&eacute; Arnoux con l&rsquo;altra Renault, che ha appena fatto segnare il giro pi&ugrave; veloce a 197,802 km/h di media. Gilles pare spacciato. Okay, perdere un 2&deg; posto non dovrebbe essere problema. Ma Villeneuve non la pensa cos&igrave; e Arnoux vede la faccenda esattamente come lui. Scia piena di Ren&eacute;, sul rettilineo piatto, sterzata secca d&rsquo;uscita e frenata in vista della piega destrorsa. Villeneuve risponde: tre quarti di curva all&rsquo;esterno. Non molla. E subito diventa la cosa pi&ugrave; grande che Ren&egrave; Arnoux abbia mai visto riflessa negli specchietti, in vita sua. I due piombano in un&rsquo;altra dimensione, sembrano dar vita a un torneo medioevale in cui i cavalieri corrono dalla stessa parte ma non per questo possono evitare d&rsquo;urtarsi col clangore di ruote e cerchi che s&rsquo;arpionano quasi fossero scudi e picche.&nbsp;    Scie infinite, inchiodate in cui gli sbuffi di caucci&ugrave; nebulizzato delle Michelin paiono ormai incenso sacrificale di un rito antico, in cui &egrave; in palio non un posto sul podio ma l&rsquo;orgoglio, la dignit&agrave; stessa di due piloti venuti dal nulla. Dalle nevi delle motoslitte, piuttosto che dalla buca di un&rsquo;officina.  Sono entrambi nel cerchio magico e spietato del gioco, dove il tempo &egrave; sospeso e tutto pu&ograve; accadere. C&rsquo;&egrave; chi conta le volte in cui le monoposto si toccano, in quei 6 giri, e ciascuno azzarda un numero, mai inferiore a cinque.&nbsp;  Nella telecronaca Rai, Mario Poltronieri, compassato signore della vecchia scuola, perde improvvisamente il controllo di se stesso e didascalizza quel che stanno facendo quei due, gridando a squarciagola come vendesse pesce fresco agli avventori palermitani di Ballar&ograve;.  Il mondo dimentica Jean-Pierre Jabouille che vince, invisibile e filato zero, mentre gli ultimi secondi di corsa consegnano alla leggenda Gilles e Ren&eacute;: 2&deg; il canadese e 3&deg; il francese  Ma chissenefrega del verdetto. Perch&eacute; in fondo il risultato non importa.  Nella memoria di tutti c&rsquo;&egrave; come una poesia sospesa, l&rsquo;immagine ballonzolante con una macchia gialla e una rossa che caracollano e s&rsquo;inseguono all&rsquo;infinito. Perse in un moto rotatorio e coraggioso attorno ai saliscendi di Digione a recitare quella che non sembra ormai solo una corsa ma la poesia di un pomeriggio che per molti, da quel giorno, non finir&agrave; mai pi&ugrave;.  Il senso della Febbre&nbsp;  La Febbre vuol dire cose belle assai. L&rsquo;essudato esistenziale, l&rsquo;estratto nobile delle competizioni non &egrave; la vittoria, ma la lotta. Chiunque, nel finale, potr&agrave; recitare la parte del buono a patto che il cattivo fino all&rsquo;ultimo sia disposto a fare la sua parte, in una trama in cui nessuno &egrave; buono e cattivo fino in fondo.&nbsp;  Ecco perch&eacute; quei minuti conclusivi di Digione 1979, con gli spettatori tutti in piedi, due macchine al comando - ma solo delle nostre viscere -, Poltronieri col cuore in gola e Forghieri ai box che balla il twist, non sono una gara, ma un simbolo. Una lezione. Un inno bello ai sogni mai rinnegati.  Questo &egrave; l&rsquo;humus, il brodo primordiale in cui pullulano batteri che genereranno di l&igrave; a poco la Febbre e che Marcello Sabbatini sapr&agrave; sontuosamente nobilitare. Facendo surf mediatico sull&rsquo;onda montante della commozione adrenalinica del Gilles sconfitto e mai arreso su tre ruote a Zandvoort e col cuore in mano a Monza, nel difendere l&rsquo;amico Jody, perch&eacute; una promessa &egrave; una promessa e un amico &egrave; per sempre.  Quella malattia bellissima&nbsp;  Fermiamoci qui, non andiamo oltre. Da l&igrave; in avanti, da fine 1979, in poi, da quando la Febbre &egrave; realt&agrave; segnalata in ogni presidio passionalmente sanitario, tante altre imprese baceranno l&rsquo;epopea breve e magica di Gilles.&nbsp;  Altri giorni strani, delusioni, rovesci, esaltazioni, glorificazioni vicine e solo sfiorate, con la tragedia a Zolder 1982 purtroppo resa inevitabile dalla sorte maligna, in un clima avvelenato.  Ma no, dai, noi ora stoppiamoci prima. Esattamente e giusto a quarant&rsquo;anni fa. Per capire. Per ricordare. Per gustare e rivivere l&rsquo;afflato nobile della F.1 d&rsquo;un&rsquo;altra epoca che avrebbe raccontato la sua ultima favola fatta non di coppe, soldi, azioni e asset, ma impastata di valori umanissimi e fondanti quali coraggio, abnegazione, correttezza e senso del cuore oltre l&rsquo;ostacolo.  In questo e per questo fu grande Gilles Villeneuve e la di lui Febbre - considerata tale perch&eacute; dilagante, inspiegabile, accaldante e mai pi&ugrave; padroneggiabile -, di cui Marcellone Sabbatini fu cerimoniere geniale e benemerito, oltre che commovente e scatenato untore autosprintiano.&nbsp;  Tra adesivi, gadget, corsivi, richiami e perfino uno spannometrico termometro, donato simbolicamente a Gilles, in occasione dei Caschi d&rsquo;Oro 1979.  E noi qui a non dimenticare, ancor oggi, tutto ci&ograve;. Perch&eacute; l&rsquo;amore pi&ugrave; bello e vero &egrave; quello che non ha pi&ugrave; speranze e s&rsquo;infiamma solo della tenacia tenera e struggente del ricordo. Che avvampa ormai quale antica e quasi inspiegabile mal&igrave;a, capace ancora di scaldare l&rsquo;anima, malgrado tutto e tutti. S&igrave;, malgrado quanto cristallizzi la morte e poi, peggio ancora, malgrado quanto consumi la vita.  Ma qualcosa resta. A mezz&rsquo;aria. Nella citt&agrave; delle corse, pur sempre ammorbata di e da un che di non pi&ugrave; dimenticable e sublimante, tipo la Venezia contagiata di Thomas Mann.&nbsp;  Proprio come se fosse una, anzi, La Febbre.          Visualizza questo post su Instagram            8 maggio 1982, #Zolder, ore 13.52. Gilles Villeneuve se ne va, restando tuttavia nel cuore di chi non lo dimentica | #autosprint #villeneuve #gilles #f1 #Formula1 #amarcord #GillesVilleneuve Un post condiviso da  Autosprint Official (@autosprintofficial) in data: Mag 8, 2019 at 1:53 PDT  

8 maggio 1982, Zolder, ore 13.52. Il canadese se ne va, restando tuttavia nel cuore di chi non lo dimentica. Ecco come nacque la Febbre Villeneuve

Ricordando Gilles

Monaco, il 12 maggio prossimo, con un&#39;offerta in mano per provare a strappare un pezzetto di storia. Idealmente, di Formula 1. Va all&#39;asta la Ferrari 308 GTS appartenuta a Gilles Villeneuve, verr&agrave; battuta da RM Sotheby&#39;s. Non &egrave; tra i modelli leggendari del Cavallino Rampante, fu per&ograve; il primo a superare le 10 mila unit&agrave; vendute, in 10 anni di produzione vennero consegnate pi&ugrave; di 12 mila esemplari tra GTB e GTS, in varie serie. Coup&eacute; la prima, Targa la seconda.  Era il 1977, settembre, il Salone di Francoforte, quando Ferrari presentava la versione scoperta della GTB. Poche settimane prima, l&#39;accordo con un poco pi&ugrave; che debuttante in Formula 1, Gilles Villeneuve, che avrebbe corso in Canada, a ottobre, la prima gara con la Rossa. Il 1978 la prima stagione completa. Il resto &egrave; storia e leggenda.  Nello stesso anno, a ottobre, dalla fabbrica usc&igrave; il telaio 21371, poi immatricolato e consegnato a Villeneuve: fu l&#39;auto personale dell&#39;Aviatore fino al 1982. Dopo la tragedia di Zolder, l&#39;auto venne custodita dalla Ferrari fino al 1984, prima di essere venduta a un cliente modenese, che la tenne fino al 2010. Poi, l&#39;esportazione in Danimarca, qualche passaggio in mostra, un cimelio da esporre. Il prossimo 12 maggio si offrir&agrave; ai collezionisti.  Spinta da un motore V8 3 litri da 255 cavalli, l&#39;esemplare appartenuto a Villeneuve si caratterizza per la tinta Rosso Dino, la presenza di un unico terminale di scarico, una frizione pi&ugrave; robusta, la stessa montata sulla Ferrari 512BB. La 308 GTS fu l&#39;auto di storie che contribuirono a creare il mito Villeneuve, oltre le imprese in pista, come il Montecarlo-Maranello, pi&ugrave; di 430 km, coperti in meno di due ore e mezza (180 orari di media).  Per quotazioni di mercato che oscillano tra i 70 e gli 80 mila euro, sar&agrave; interessante registrare l&#39;interesse per un esemplare ricco di fascino, con appena 36.600 km, una prima serie che coincise con il passaggio alla carrozzeria in acciaio &ndash; dettata da esigenze specifiche del mercato USA &ndash; della GTB, rispetto alla pi&ugrave; leggera vetroresina impiegata fino al 1977 e realizzata da Scaglietti. La Gran Turismo Scoperta &egrave; accompagnata da tutti i documenti originali nonch&eacute; una lettera di autenticit&agrave; firmata da Jacques Villeneuve. 

Verr&agrave; battuta a Monaco il prossimo 12 maggio, con tanto di certificato d&#39;autenticit&agrave; firmato da Jacques Villeneuve. Fu l&#39;auto del Montecarlo-Maranello a 180 orari di media, appartenne all&#39;Aviatore tra il 1978 e il 1982

All&#39;asta la Ferrari 308 GTS di Gilles Villeneuve

Le immagini del gioved&igrave; di Montreal dove sul circuito Gilles Villeneuve si corre il 7&deg; round stagionale della Formula 1

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