        Ingegnere e commentatore tecnico per la RAI, appassionato ed appassionante per ci&ograve; che riguarda tutto il lato ingegneristico del motorsport. In pochi hanno l'esperienza di Giancarlo Bruno, che ha lavorato in F1, nel DTM, nel WTCC ed altri campionati, senza mancare l'opportunit&agrave; di vivere in prima fila le migliori gare dell'Endurance come la 24 Ore di Le Mans. Una voce, quella di Giancarlo, che si &egrave; distinta all'evento Ruote da Sogno di Reggio Emilia, dove tra una vettura storica e l'altra, nell'incontro mediato da Veronique Blasi, c'&egrave; stato modo di parlare di tutti i temi pi&ugrave; importanti alla vigilia del mondiale 2024 di Formula 1.  Una F1 sempre pi&ugrave; in miniatura Le prime parole sono state spese sulla nuova Ferrari SF-24, vettura di cui si &egrave; potuto capire poco a primo impatto: "La presentazione mi ha un po' colto di sorpresa, mi aspettavo tutt'altro. Innanzitutto posso dire che come altre realizzazioni viste nei giorni passati il colore nero del carbonio nasconde piccoli segreti, e naturalmente quello che possiamo fare oggi &egrave; solo una valutazione dal punto di vista estetico e sulle linee esterne. In realt&agrave;, ci&ograve; che far&agrave; la differenza riguarda ci&ograve; che &egrave; all'interno delle fiancate e ovviamente il fondo, ovvero cose che non possiamo vedere. Lo sfruttamento del carico aerodinamico di queste aree &egrave; quello fondamentale per la prestazione. Come sospensioni lo schema &egrave; rimasto invariato dall'anno scorso, per quanto&nbsp;riguarda le fiancate invece ho visto un labbro inferiore abbastanza pronunciato prima della sezione d'ingresso dei radiatori che funge da profilo alare. La fiancata ha un profilo ad ogiva, simula un profilo alare, ma il contributo aerodinamico &egrave; minimo rispetto a quello del fondo. La chiave di tutto &egrave; l&igrave; sotto, come si era visto con la Red Bull sollevata dalla gru a Montecarlo nel 2023. Queste sono vetture complesse, ci sono sette o otto circuiti di raffreddamento diversi: penso a quello del motore con acqua e olio, ma ci sono anche quelli per le batterie, il motogeneratore elettrico ed altro. Sono circuiti tutti diversi perch&eacute; alcuni sono ad acqua o ad altro liquido, altri sono ad olio ed altri ancora sono aria-aria, come ad esempio gli scambiatori, per cui c'&egrave; una certa complessit&agrave; tecnica. Quello che sorprende, sulla Ferrari ma anche su tutte le altre vetture, &egrave; la miniaturizzazione di tutte queste componenti". Hamilton, Schumacher, Alboreto Un tema del 2025, e non ancora del 2024, sar&agrave; Lewis Hamilton in Ferrari a partire dalla prossima stagione: "Lewis porter&agrave; freschezza, nonostante la sua et&agrave; - ha spiegato Bruno -, ed anche un approccio diverso. Viene da un'azienda organizzatissima che ha due sedi separate per vetture e motore, per un totale di circa 2000 persone, e senza un'organizzazione perfetta non vinci, nonostante negli ultimi due anni anche loro abbiano fatto fatica. Hamilton ha vissuto tutto il periodo vincente della Mercedes, queste cose le sa, ne ho parlato anche con Aldo Costa".&nbsp; Giancarlo Bruno &egrave; poi miniera di informazioni storiche, utili per raccontare sia come un pilota di grande carisma possa portare cambiamenti positivi e sia come una nuova vettura appena battezzata possa dare subito sensazioni chiare. Il primo ricordo &egrave; su Schumacher: "Quando ero in F1 alla Scuderia Italia, cos&igrave; come altre scuderie italiane e tra queste la Ferrari, come sistema di acquisizione dati utilizzavamo un sistema fornito dalla Marelli, la Benetton invece aveva un sistema fornito da un'azienda inglese. Pi&ugrave; volte noi, confrontandoci anche con altri ingegneri della Ferrari, avevamo fatto presente che c'erano delle difficolt&agrave; nella gestione del sistema Marelli cos&igrave; come era concepito, ma non c'era niente da fare. Quando invece arriv&ograve; Schumi in Ferrari, prov&ograve; quel sistema e non gli piacque, e disse subito secondo lui cosa si sarebbe dovuto cambiare. E disse cose che pi&ugrave; o meno erano vicine alle nostre indicazioni. Era anche una questione di praticit&agrave;, il sistema inglese era molto pi&ugrave; pragmatico. La Ferrari mand&ograve; le indicazioni alla Marelli e stavolta la Marelli ascolt&ograve; i consigli. Oggi sono ovviamente altri tempi, ma un campione del mondo porta in squadra credibilit&agrave; ed autorevolezza, e questo vale tantissimo". Si &egrave; sempre detto che i primi giri su una nuova vettura per un pilota sono molto indicativi. Vale per i piloti ma a quanto pare anche per i tecnici, che si ritrovano ad ascoltare immediatamente il pilota: "Ricordo che nel 1993 Lucchini, capo della Scuderia Italia, decise di passare dal telaio Dallara al telaio Lola, mantenendo il motore Ferrari. Arrivammo a fare il primo test all'incirca a met&agrave; febbraio, con questa macchina tutta nera e molto pi&ugrave; lunga della concorrenza, avevamo un passo di circa tre metri, pi&ugrave; o meno 20 centimetri in pi&ugrave; rispetto alle altre vetture della griglia. Era un camion rispetto alle altre. Michele Alboreto sal&igrave; in macchina, fece un giro e si disse subito poco convinto. Alla seconda uscita fa tre giri, uscita, giro veloce e rientro, torna e ci dice che questa macchina non va per nulla. Aveva ragione. Ricordo che mi disse 'Credimi, so come devono andare le macchine vincenti, e questa non lo &egrave;'".  C'&egrave; stato poi modo di approfondire tutto il lato tecnico delle vetture ai microfoni di Autosprint  Ingegnere, approfondiamo il discorso dei giri di "battesimo". Lei pu&ograve; confermarci dunque che vale per il pilota, ma anche per gli ingegneri con un primo confronto dei dati, &egrave; cos&igrave;? "La prima necessit&agrave; da parte dei tecnici &egrave; quella di capire la funzionalit&agrave; della vettura, dunque essere certi che tutto stia funzionando al meglio. Tutto ci&ograve; riguarda le temperature di esercizio del motore, e poi confrontarle con la temperatura esterna. Qualunque temperatura abbia l'aria al momento del test, bisogna poi fare un calcolo in proiezione e verificare che se la temperatura esterna salir&agrave; il motore non andr&agrave; in crisi. Succedeva soprattutto una volta, quando si girava d'inverno e faceva pi&ugrave; freddo. Questa &egrave; una delle necessit&agrave; da affrontare nei primissimi giri della vettura. Superata poi la fase della verifica delle funzionalit&agrave;, ed oltre al motore mettiamo anche batterie o motore elettrico al giorno d'oggi, si passa a quella della prestazione. Con le simulazioni si sa che con un certo carico di benzina, con quelle gomme e con quell'assetto c'&egrave; un tempo di riferimento da raggiungere, e lo si verifica in pista. Se viene raggiunto significa che si &egrave; nel target previsto, e cos&igrave; tutti i valori di riferimento ed i dati acquisiti ci fanno capire che si &egrave; sulla buona strada grazie a questa corrispondenza funzionale. A questo punto si va pi&ugrave; nel dettaglio e si verificano le altre temperature, le pressioni delle gomme e con i mini long run degrado e decadimento delle gomme. E' tutto pianificato e programmato per step, partendo come detto dalla funzionalit&agrave; fino alla performance".  Sorprende che oggi tutte queste verifiche vadano fatte in tre giorni su una F1, con una giornata e mezza a disposizione per ciascun pilota. "Vero, per&ograve; bisogna dire che c'&egrave; un livello simulativo che fornisce un grande aiuto. Ci sono i banchi dinamici ed i simulatori, dove vengono messi alla prova tutti questi parametri. Successivamente si cerca la corrispondenza tra i dati della pista e quelli delle simulazioni. Se i dati collimano, si pu&ograve; crescere e migliorare la monoposto agendo direttamente sul simulatore. E' una sorta di circolo vizioso: quello che si trova in pista va confrontato con il simulatore, se questo &egrave; confermato si possono modificare alcune cose sul simulatore e cercare di ritrovarlo in pista. E' un girotondo che ha come ultimo fine quello ovviamente di migliorare il livello della vettura".  La convergenza tecnica sulle F1 2024 era prevedibile, ma lei si aspettava qualcosa di pi&ugrave; o qualcosa di meno? "Direi di no. L'identit&agrave; per ognuna delle squadre viene comunque conservata, sono approcci diciamo filosofici all'interpretazione del regolamento. Tutto nasce da una comprensione molto profonda del regolamento, una volta metabolizzato dagli ingegneri si passa ad elaborare le strategie progettuali e si intraprendono certe direzioni. Il caso della Mercedes recente &egrave; emblematico, si &egrave; metabolizzato un regolamento scegliendo la strada delle pance rastremate che si &egrave; rivelata sbagliata, tuttavia loro ci hanno insistito anche l'anno successivo. Gi&agrave; nella seconda parte della scorsa stagione hanno fatto degli interventi, vedremo come reagiranno quest'anno. L'impostazione iniziale che deriva dalla lettura profonda dei regolamenti &egrave; molto importante per generare un tipo di vettura piuttosto che un'altra. Una volta intrapresa una strada poi non &egrave; facile interrompere il processo, non si pu&ograve; di punto in bianco dire 'copiamo la Red Bull e andiamo pi&ugrave; forte', perch&eacute; non &egrave; detto che avvenga. Altre volte invece insistendo per la propria strada di interpretazione si riesce a migliorare".  Dunque &egrave; possibile dire che per riprogettare una macchina si deve andare anche a rileggere il regolamento? "Assolutamente s&igrave;. Osservando i concorrenti ci si pone dei dubbi, ed allora si va a rivedere il paragrafo di quell'area sul regolamento. A volte osservare la concorrenza fornisce altre chiavi di lettura e dunque si va a rivedere ci&ograve; che &egrave; stato fatto. Di solito non si parla dell'impostazione generale del progetto, si parla di dettagli, ma oggi il piccolo dettaglio fa la differenza. Un buon esempio di tutto ci&ograve; &egrave; stata McLaren, che ha capito al volo che la sua macchina era sbagliata e l'ha di fatto riprogettata dopo aver compreso che tra simulazioni e pista non c'era riscontro. A luglio la nuova macchina era pronta ed hanno fatto un salto prestazionale incredibile. Ci&ograve; significa che indipendentemente da ci&ograve; che fanno gli altri, pur osservandoli sempre, quando escono delle problematiche si fa sempre una sorta di reverse engineering, cio&egrave; si va a rivedere a ritroso i passi che hanno portato a quel tipo di progetto. Cos&igrave; si pu&ograve; capire dove si &egrave; sbagliato e risolvere i problemi, &egrave; una cosa che si pu&ograve; fare e McLaren lo ha dimostrato".  Da ingegnere, osservando i regolamenti tecnici delle principali categorie, tra F1, WEC, WRC ed altro, se fosse un capo progettista, quale sarebbe secondo lei il regolamento tecnico pi&ugrave; stimolante dove avrebbe voglia di mettersi alla prova per disegnare un nuovo progetto? "Devo dire la verit&agrave;, nessuno. Fino a qualche tempo fa l'Endurance era il pi&ugrave; sfidante, perch&eacute; consentiva di avere in pista assieme un 4 cilindri, un diesel, un 8 cilindri, c'era insomma una variet&agrave; tecnica marcata. Quel regolamento poi &egrave; morto, segno che qualcosa evidentemente non ha funzionato. Oggi invece c'&egrave; meno libert&agrave;, restano i motori differenti ma sono fissate altre caratteristiche. Poi abbiamo la F1 all'estremo opposto della libert&agrave;, perch&eacute; abbiamo cilindrata, cilindri, corsa del pistone ed angolo del motore fissato: ma perch&egrave;? Se sono bravo a fare un monocilindrico, per dire, perch&eacute; non posso farlo? Perch&eacute; non posso fare un motore piatto se non voglio il V di 90&deg;? Ci sono troppi vincoli. Poi dipende anche dai punti di vista, ed a tal proposito ne ho parlato con Newey: per un ingegnere &egrave; pi&ugrave; stimolante avere la libert&agrave; totale del foglio bianco oppure avere dei vincoli e provare ad infilarsi tra le pieghe del regolamento? Possono essere stimolanti entrambe le vie, forse il foglio bianco &egrave; pi&ugrave; dispersivo, l'altra strada invece ti costringe ad essere uno specialista ed affrontare il dettaglio fino del particolare in quella particolare area. E' difficile trovare un bilanciamento tra le due, per&ograve; secondo me la F1 dovrebbe avere qualche margine di libert&agrave; maggiore rispetto a quella odierna. Poi la fantasia e la capacit&agrave; dei tecnici emergeranno sempre, questo &egrave; fuori discussione, ma quando i vincoli sono troppi il rischio &egrave; quello di avere macchine tutte uguali, e oggi c'&egrave; un'altra dimostrazione. Vincoli eccessivi portano a vetture decisamente troppo simili. Fossero tutte le nere, ed in buona parte gi&agrave; lo sono, non le riconosceremmo. Ci vuole un occhio molto molto attento".        

Giancarlo Bruno da ingegnere ha lavorato sia in pista che fuori, vivendo in prima persona tantissime categorie fino al ruolo di commentatore tecnico in tv: tra i ricordi di Schumi e Alboreto, ecco cosa pensa della F1 odierna ed eccome come vede Hamilton a Maranello

Intervista a Giancarlo Bruno: "F1 di oggi troppo restrittiva. Nuova vettura? Alboreto diceva bastano pochi giri per capire"

Las Vegas torna in Formula 1 a 40 anni di distanza dall'ultima volta. Il GP nel Nevada fu intenso e regalò il mondiale piloti a Rosberg e quello costruttori alla Ferrari, ma più di tutti vide trionfare, per la prima volta, il nostro immenso Alboreto

Las Vegas '82, il GP magico di Alboreto

Michele Alboreto, vent&rsquo;anni dopo la sua scomparsa, non &egrave; pi&ugrave; solo Michele Alboreto, ma noi che abbiamo bisogno di lui. Noi che lo ricordiamo e lo rimpiangiamo, lo riviviamo come uno dei ricordi pi&ugrave; belli e pi&ugrave; puri della nostra giovinezza.  L&rsquo;italiano di nuovo scelto da Enzo Ferrari dopo quasi tre lustri d&rsquo;ostracismo tricolore, seppur non immotivato. L&rsquo;ultimo - e di fatto l&rsquo;unico, fino a che &egrave; durato il sogno -, a sembrar candidato a succedere ad Alberto Ascari, iridato nel 1952-1953.  Michele Alboreto, il ricordo a 20 anni della scomparsa della moglie Nadia    L&#39;uomo, il simbolo  Michele Alboreto resta simbolo bello, sorridente e galantomista dell&rsquo;Italia nel mondo della F.1 degli Anni &rsquo;80 e non solo. N&eacute; edonista e n&eacute; reaganiano, cos&igrave; unico e diverso rispetto ai suoi tempi pi&ugrave; belli e all&rsquo;era che lo vedeva sulla cresta dell&rsquo;onda, perch&eacute; semplicemente e deliziosamente signorile, meritocratico, in tutto e per tutto, squisito, mai prevaricatore e capace di farsi rispettare, sissignore.  Perch&eacute; il gentiluomo beneducato di stampo ottocentesco conviveva col campione determinato e tignoso e l&rsquo;uomo capacissimo di farsi rispettare anche dai giganti cattivelli di quei giorni cos&igrave; fecondi, in fatto di talenti e personalit&agrave;. Comandamento numero uno: in pista non lasciarti mai intimidire.  Michele in pista  Tanti anni fai a un evento Audi vissi un&rsquo;indimenticabile serata a cena proprio con Michele che si confid&ograve;: &quot;Il mago moderno dell&rsquo;intimidazione &egrave; stato, con rispetto parlando, Ayrton Senna. Nelle qualificazioni Anni &rsquo;80 fu il primo ad architettare il giochino del rientro in pista lento, quando la pole era gi&agrave; sua. Tu tiravi alla morte col turbo a manetta e lo incontravi a passo d&rsquo;uomo: un&rsquo;alzatina istintiva la davi sempre, perdendo qualcosa. Lui tornava ai box, si rimetteva in assetto da guerra, tornava in pista e piazzava la coltellata decisiva a pochi secondi dalla fine delle prove. Ma non &egrave; tutto&quot;.   Michele non si fece pregare: &quot;In corsa Ayrton era un genio delle astuzie: se non riusciva a staccarti, dava un colpettino al freno in rettilineo e ti faceva rizzare i capelli dalla paura, ti faceva tremare l&rsquo;anima. Prost lo sa bene: Senna una volta a Hockenheim lo fece diventar matto anche cos&igrave;. Stufo di questo trattamento, al Gp d&rsquo;Austria &rsquo;87 gli dissi prima del via: &#39;Occhio, Ayrton: oggi ti curo io&#39;. Lui fece l&rsquo;indifferente. In gara ero davanti e gli feci battere il muso della sua Lotus contro il mio cambio della mia Ferrari, strapazzandolo bene bene. Ci vedemmo dopo e non disse niente. Da quel giorno non ebbi pi&ugrave; problemi con lui&quot;. Ecco, chi era Michele, in pista. Mica solo uno buono e veloce.    Il sorridente appassionato di corse   Per&ograve; dentro restano delle immagini pungenti, schegge balenanti e preziose che dipingono la fuga in rosso di un ragazzo verso quel sogno iridato della prima met&agrave; del 1985 su Ferrari, il suo stupendo impatto televisivo nella trasmissione &ldquo;rosso 27&rdquo; di e con Ezio Zermiani e quindi quella sua capacit&agrave; dialettica forte davanti alle telecamere, unita alla sensazione di trovarsi di fronte a una persona perbene. E poi c&rsquo;&egrave; un&rsquo;altra cosa, che non tutti sanno. Michele era anche il pilota che incontravi sorridente ai circuiti e quello, secondo me, resta l&rsquo;aspetto pi&ugrave; bello e premiante.  Perch&eacute; la brava persona sapeva diventare un uomo dal fare gentile e dall&rsquo;accoglienza carina. Sempre, ovunque e comunque. L&rsquo;ho visto, vissuto e sperimentato, dalla indy 500 alla notte di Le Mans passando per le garette Endurance dell&rsquo;American Le Mans Series, trovando sempre la stessa persona. Ovvero, una volta levato il casco, diventava appassionato di corse tale e quale a noi tutti.    Il ricordo   Proprio per tutto ci&ograve; penso che la grande chance di questa pubblicazione &egrave; quello di riviverlo e raccontarlo nella sua stupenda umanit&agrave;, sposando la classe del driver a quella dell&rsquo;uomo che vinse e visse molte volte. Diverse carriere e tante vicende e cicli agonistici, dai primi giorni della Formula Monza agli ultimi giorni di tester e Pilota Audi, passando per mito Ferrari e simbolo delle corse italianamente nobili in non meno di tre decadi. E in casi come questi &egrave; inevitabile riproporre l&rsquo;ultimo ricordo, l&rsquo;incontro finale, il saluto inconsapevole. Il mio &egrave; datato Silverstone 2000, quando del tutto per caso ci incrociamo al paddock tra un bilico e l&rsquo;altro e lo trovo gentile ma un po&rsquo; seccato, perch&eacute; quando gli chiedo come mai non sia schierato in gara dall&rsquo;Audi, lui mi dice: &quot;Guarda, mi hanno detto che sono destinato alle gare lunghe, ovvero alle maratone endurance e ai collaudi, quindi niente corse corte, da qui in poi. Oddio, la cosa non mi crea alcun problema, ma per uno come me, che gode ogni volta alla sola idea di disputare una corsa in pi&ugrave;, boh, ecco, non sono proprio felicissimo, ma che ci vuoi fare... Via, si va avanti e speriamo per il meglio!&quot;. Al che aggiungo ovviamente sottotraccia... &quot;Chiaro che quello che mi hai detto resta tra noi, non lo scriver&ograve; mai...&quot;. E lui: &quot;Ma no, dai, anche perch&eacute; sar&agrave; meglio che scrivi qualcosa alla prima bella occasione in pista, queste sono cose dette tra noi... Via, a presto, la carriera continua e la mia passione &egrave; intatta. E, ti garantisco, tale e quale, pure la mia capacit&agrave; di andare veloce, unita alla voglia di farlo&quot;. Una pacca sulla spalla e via. Be&rsquo;, mettetela come volete, penso sia un bellissimo commiato. inatteso, inconsapevole, destinato a passare attraverso le maglie strette e brutte del destino, ma pur sempre un saluto che resta e ancor oggi didascalizza una carriera, un modo di essere e anche il senso del restare nel cuore degli appassionati.  Chi era Michele Alboreto   Michele Alboreto &egrave; questo. Uno che ha dato tutto alle corse e per le corse, senza arrendersi mai. Evitando in tutti i giorni della sua vita di pronunciare il concetto di ritiro definitivo dalle competizioni. Perch&eacute; tra Michele alboreto e le corse la storia non &egrave; mai finita, si &egrave; semplicemente interrotta per volont&agrave; del destino.  Ma la voglia degli uomini pu&ograve; pur sempre, vent&rsquo;anni dopo, andare oltre ci&ograve; che &egrave; stato, tornando a rendere protagonista proprio lui. E&nbsp;non solo a vent&rsquo;anni esatti dalla fine della sua esperienza terrena, ma anche a quaranta precisi dal debutto in F.1 con la tyrrell sponsorizzata dalle ceramiche imola, in un bagnatissimo gp di san Marino 1981. Perch&eacute; queste tante pagine vogliono essere una specie di nuovo inizio, di modo dolce per ripercorrere una traiettoria umanamente forte. ricordando passo dopo passo un uomo speciale, un pilota top, la sua passione e il suo stile. Buona lettura, nel segno di Michele.     Autosprint Gold Collection dedicato a Michele Alboreto lo trovate in edicola, oppure qui in edizione digitale.    

Tornare con la mente e col cuore ai giorni pi&ugrave; belli e intensi della lunga carriera di Alboreto,&egrave; come sfogliare un album di famiglia, per ritrovare personaggi cari e momenti intensi, mai dimenticati. A venti anni dalla scomparsa, lui &egrave; qui, con tutti noi

Il gusto di narrare Michele Alboreto

I numeri di Michele Alboreto raccontano di un secondo posto al Campionato Mondiale Piloti di Formula 1 con la Ferrari, 5 Gran premi vinti, una 24 ore di Le Mans, una Petit Le Mans (non inganni il nome, si corre negli Stati Uniti), una 12 ore di Sebring e un campionato Europeo di Formula 3. Una carriera iniziata dopo aver visto al cinema Paul Newman e Richard Wagner fare a sportellate (e a pugni) in&nbsp;&quot;Indianapolis pista infernale&quot;, un&#39;auto comperata in societ&agrave; con un amico, le prime gare minori e poi l&#39;approdo in Formula 3, nel 1979. Una carriera terminata il 21 aprile del 2001 sul circuito del&nbsp;Lausitzring, mentre collaudava una Audi R8 Sport, uscita di strada e poi ribaltatasi per lo scoppio di uno pneumatico. Un incidente drammatico ma del quale Alboreto, veloce, aggressivo ma pulitissimo, non aveva colpa. A 20 anni di distanza, ricordiamo uno dei piloti pi&ugrave; eleganti del Circus della Formula 1, che nel 1995 per poco non riusc&igrave; a regalare ai tifosi Ferrari il sogno di un titolo mondiale costruttori, vinto da un pilota Italiano.

F1, tutte le auto di Michele Alboreto

Non c'è più da 20 anni, ma è come se non se ne fosse mai andato. Vogliamo celebrare tutte le emozioni che Michele Alboreto ci ha regalato, con il numero di Autosprint Gold Collection a lui dedicato e questo piccolo omaggio fotografico alle sue 5 vittorie in Formula 1. Sul fascicolo in edicola o disponibile nell'edizione digitale, tutte le storie di quelle magnifiche imprese

Michele Alboreto, le vittorie in F1

&Egrave; con grande piacere che accompagno l&rsquo;uscita di questo speciale di Autosprint Gold Collection interamente dedicato alla memoria di Michele, nel ventennale della sua scomparsa.  Se nel decennale come famiglia ci eravamo mossi per ricordarlo direttamente, ora, in tempi di emergenza legata al Covid-19, queste pagine diventano un veicolo privilegiato e fondamentale per sentirci vicini nel suo nome.  E, accanto alla commozione, provo un sentimento molto positivo nel constatare come lui venga ricordato con affetto, stima e passione in egual misura, non solo da chi scrive queste pagine, ma anche e soprattutto dalla moltitudine degli appassionati che mai l&rsquo;ha dimenticato e continua ad apprezzarlo per tutto ci&ograve; di cui lui resta sinonimo.    Cos&igrave; questa &egrave; una bellissima occasione per (ri)scoprire un bravissimo pilota, certo che s&igrave;, ma anche un uomo assolutamente straordinario, portatore di un&rsquo;educazione e di uno stile d&rsquo;altri tempi. Perch&eacute;, vedete, vorrei approfittare di queste righe per dire una cosa cui tengo infinitamente: pi&ugrave; che nei risultati, nelle corse vinte e nei trofei portati a casa, Michele, in realt&agrave;, ha lasciato una testimonianza di valori forti.  Il gusto di narrare Michele Alboreto, il ricordo di Mario Donnini  Di garbo, sensibilit&agrave;, intelligenza, ironia, autoironia e culto dell&rsquo;amicizia. E perfino di senso della giustizia, perch&eacute; a quasi quarant&rsquo;anni, nel 1994, nell&rsquo;anno in cui lasci&ograve; la F.1, in un momento molto triste, doloroso e delicato per la categoria, fu il primo e il solo ad autoregolamentarsi, limitando di sua volont&agrave; la velocit&agrave; di rientro in corsia box, proprio per tutelare l&rsquo;incolumit&agrave; degli addetti. Perch&eacute; una vita umana vale sempre di pi&ugrave; di una manciata di secondi persi o guadagnati.  Ecco, gustate queste pagine, riscoprite il fascino dolce della nostalgia, di certi tempi belli e andati che in varie foto, in tante pagine e con alcune parole magicamente ritornano... Ma, vi prego, non dimenticate di ci&ograve; che ancora c&rsquo;&egrave; e brilla di bello e di vivo in esse.    L&rsquo;esempio stupendo di un ragazzo, di un uomo gradevole e vero chiamato Michele Alboreto, capace di portare alla vittoria una macchina da corsa ma anche uno stile di vita, un modo di essere lucente e meraviglioso. Perch&eacute; Michele &egrave; stato grande da campione, da marito e, ve lo assicuro, anche da padre. E se c&rsquo;&egrave; un&rsquo;immagine bella con la quale qui e ora voglio ricordarlo e regalarvelo, &egrave; quando corse col fiocco rosa, al volante della Ferrari, nel Gran Premio del Messico 1987, perch&eacute; era appena nata Alice, la nostra prima figlia, che tre anni dopo avrebbe accolto anche l&rsquo;arrivo di Noemi.  In quella macchina rossa e anche un po&rsquo; rosa c&rsquo;&egrave; il senso di tutto, il senso di una vita in cui lui ha saputo sposare alla grande non solo me ma anche due colori cos&igrave; simbolici di passione e dolcezza, di capacit&agrave; e umanit&agrave;. In queste pagine ritroverete Michele e io ritrover&ograve; Lui e Voi, s&igrave;. E sono certa che, ancora una volta, sar&agrave; un bellissimo incontro.  Nadia Alboreto     Autosprit Gold Collection vi aspetta in edicola, oppure qui in edizione digitale. 

Rompendo il silenzio e dando voce a una discrezione e a una sobriet&agrave; che mai vengono meno, la compagna di una vita ricorda, spiega ed esalta l&rsquo;esempio di Michele, in macchina e ben oltre

Michele Alboreto, omaggio all&rsquo;uomo

Michele Alboreto aveva tanti sorrisi: di soddisfazione, ironici, sarcastici, beffardi. Sulle pagine di Autosprint ne sono rimasti impressi a non finire: &egrave; il suo lascito pi&ugrave; bello al settimanale della Conti Editore e ai suoi lettori. Dalla fine degli Anni Settanta fino ai giorni nostri, &egrave; presenza costante, prima come protagonista poi si trasforma in una straordinaria memoria da custodire con cura e dolcezza. Il suo nome non ha mai lasciato Autosprint. A 20 anni dalla sua scomparsa, oltre una maledetta tragedia del 25 aprile 2001, &egrave; ancora vivissimo il suo ricordo. Una frustata secca e i brividi lungo la schiena per quel dramma che si era appena consumato in Germania. Il conseguente silenzio di piombo che cal&ograve; in redazione nel vedere la copertina listata a lutto che raccontava la tragedia di Michele al Lausitszring.  &nbsp;  Da pi&ugrave; di quarant&rsquo;anni &egrave; presenza fissa. Il suo nome inizia a comparire sulle nostre pagine alla fine degli Anni 70. &Egrave; davvero un crescendo. Spettacolare l&rsquo;affresco che Antonio De Giusti gli dedica sul numero 48 del 1980, mentre si celebra la vittoria del milanese nel campionato di Euro F3. A fine anno ai Caschi d&rsquo;Oro nel tripudio del palazzo dello sport di Bologna riceve la statuetta assieme a Jones e Piquet. I volti sorridenti di Michele e di Riccardo Patrese spuntano accanto alla testata del numero 29 del 1981 mentre in cover giganteggia la Lancia con la quale trionfano al Glen e regalano il titolo iridato alla casa torinese nell&rsquo;endurance.  &nbsp;  Un viaggio tra le copertine di As a lui dedicate che &egrave; soprattutto il racconto di un&rsquo;ascesa costante, di un&rsquo;asticella che ogni anno si alza di qualche tacca, mentre Michele regala solo sorrisi. Il sorriso di un uomo felice. Tra le tante copertine che siamo andati a sfogliare, ne abbiamo scelta una molto significativa. &Egrave; quella di Michele ancora in tuta biancoverde nel suo primo giorno da ferrarista. &Egrave; la cover di Autosprint n&deg; 52 del 1983 con il suo saluto ai lettori. La giornata &egrave; storica. Dopo anni in cui la Rossa sembrava proibita per un italiano la storia cambiava il suo corso. E questo milanese nato il 23 dicembre del 1956 approdava a Maranello, ultimo italiano scelto per correre su una Rossa da Enzo Ferrari.&nbsp;  Michele Alboreto &egrave; un simbolo di Autosprint e di quel mondo delle corse che generava passione autentica. Solo lui e Patrese, tra gli italiani eredi di Farina e Ascari, sono arrivati a un passo dal mondiale piazzandosi secondi. Ma questo Autosprint Gold Collection &egrave; davvero speciale perch&eacute; narra la storia di un campione del mondo nell&rsquo;essere uomo.   

Da domani, sabato 24 aprile, Autosprint ricorda, a 20 anni dalla scomparsa, le grandi stagioni del campione milanese. Un racconto straordinario di un uomo speciale

In edicola un nuovo As Gold Collection dedicato a Michele Alboreto

C&rsquo;&egrave; un aspetto che corre parallelo alla memoria, alla passione e al senso dell&rsquo;empatia verso i campioni pi&ugrave; amati del nostro automobilismo. E si chiama Rispetto. Rispetto per la storia, per i risultati, per il sacrificio di chi incarna un ruolo, addirittura un&rsquo;epoca. Sto parlando di Michele Alboreto, protagonista compianto e amatissimo del nostro automobilismo, Vice Campione del mondo 1985 al volante della Ferrari, vincitore della 24 Ore di Le Mans, della 12 Ore di Sebring, della Petit Le Mans oltre a 5 Gran Premi di F.1, con 23 podii su 194 gare disputate nel mondiale, dal 1981 al 1994.  Questo basterebbe a definirlo un monumento dell&rsquo;automobilismo nazionale, se non fosse che a caratterizzarlo ancor meglio c&rsquo;&egrave; la sua eredit&agrave; morale, comportamentale e personale fatta di stile, galantomismo, cultura per le corse e delle corse, oltre a un&rsquo;autorevolezza e un prestigio personale di consistenza specchiata e adamantina. Perch&eacute; lui resta un pilota e un campione in cui trofei vinti valgono tanto, tantissimo ed esattamente quanto la scala valoriale che ha sempre contraddistinto la carriera e la sua stessa esistenza.    Cosa ci resta a vent&#39;anni dalla scomparsa di Alboreto  Michele Alboreto se n&rsquo;&egrave; andato il 25 aprile di venti anni fa, per un incidente nel corso di un test Audi al Lausitzring quando, oltre che 44enne pilota ufficiale, era anche Vice Presidente della Csai, ovvero della nostra Federazione, impegnato nello studio di una nuova categoria promozionale che nelle sue intenzioni avrebbe consentito ai giovanissimi nuove e pi&ugrave; accessibili opportunit&agrave; d&rsquo;ingresso e crescita nell&rsquo;automobilismo da corsa.  Ma non ha senso parlare solo dei punti d&rsquo;arrivo, perch&eacute; la vita di un uomo si misura dal punto di partenza e per Michele l&rsquo;avvio fu dal primo gradino della scala, anzi, dal nudo pavimento su cui la scala era poggiata, percorrendo poi, sudando, tutti i pioli, uno ad uno. Da pilota ricco di classe ma non certo di famiglia.  Michele Alboreto, in sintesi, &egrave; simbolo meraviglioso, meritocratico e puro di un&rsquo;Italia da corsa che rimpiangiamo e continuiamo ad amare. Non solo. A volte arrivano i numeri e il calendario a dare colpi di specchio in codice, segnali celebrativi e dalle suggestioni quasi cabalistiche, che ispirano gesti, prese di posizione e spunti di riflessione. Cos&igrave; &egrave; bello e carezzevole notare che, al di l&agrave; dell&rsquo;anniversario triste della scomparsa, a inizio maggio ricorreranno i quarant&rsquo;anni dal debutto di Michele in F.1 con la Tyrrell sponsorizzata da Imola Coop Ceramica, nella prima edizione del Gp di San Marino.  Una curva per Alboreto  Gi&agrave;, quarant&rsquo;anni tondi tondi. Bene, questa rubrica &egrave; dedicata stavolta al gusto della rimembranza non fine a se stessa, ma valida e utile come spunto di sensibilizzazione e, dicevo, Rispetto. Contenendo un suggerimento, un appello che vuole essere anche un dolce augurio, rivolto a tutti coloro che hanno non solo il potere, ma anche l&rsquo;autorevolezza, la sensibilit&agrave; e il senso della giustizia per accoglierlo: vi prego, andate oltre il bel fatto che ad Alboreto &egrave; gi&agrave; dedicata la Scuola Federale Aci Sport a Vallelunga, e intitolate una curva di un importante autodromo italiano alla memoria di Michele.  Fatelo non solo per lui, ma soprattutto per noi e per chi verr&agrave;. S&igrave;, per tutti noi che l&rsquo;abbiamo conosciuto e apprezzato, non importa se frequentandolo o solo stringendogli la mano ovvero guardandolo sfrecciare da dietro le reti o da davanti la Tv.  E fatelo anche per chi, troppo giovane per averlo vissuto, lo apprezza magari leggendo queste righe, vecchi articoli o gustando filmati di corse belle e toste, su YouTube o in ognidove. Dir&ograve; di pi&ugrave;. Se c&rsquo;&egrave; un circuito e un luogo chiamato pi&ugrave; di tutti a rendere omaggio a Michele, per storia, cultura e vissuto reciproco di pilota e impianto, non pu&ograve; che essere quello di Monza. S&igrave;, Monza.  L&rsquo;autodromo su cui lui inizi&ograve; a correre proprio nella formula promozionale che porta il nome stesso del tracciato, da pilota tutt&rsquo;altro che supportato, anzi, da ragazzo da corsette club, come tanti. Uno qualsiasi che certi gioved&igrave; torna a casa anzitempo perch&eacute; non s&rsquo;&egrave; neanche qualificato. E che tre lustri dopo arriva in scia al compagno di squadra Berger a festeggiare una leggendaria doppietta Ferrari a pochi giorni dalla morte del Drake.  Segno di rispetto  Poi mi piace non fermarmi, spingendomi anche oltre, individuando un sito simbolico. La prima Variante. Sinonimo della voglia di disinnescare per sempre la sfida ma anche il pericolo letale del Curvone. Uno dei grandi segnali dati dal Motorsport che era ora di cambiare, in nome della sicurezza e della tutela delle vite dei piloti, a due, tre e quattro ruote, pure a sei, considerando la Tyrrell P34. Ebbene, Michele Alboreto &egrave; stato da sempre e per sempre anche uno dei portabandiera nobili e dei testimoni pi&ugrave; concreti del culto della sicurezza. E sottolineerei in quel delicato e per certi versi terribile 1994, quando lui correva per la Minardi, la sua scelta, a un certo punto, di autoregolamentarsi nella velocit&agrave; in pit-lane, a esclusiva tutela della sicurezza degli addetti ai lavori. Un potente segnale di umanit&agrave; e di etica al di l&agrave; della competitivit&agrave; e dell&rsquo;istinto alla competizione. In una scelta come questa c&rsquo;&egrave; tanto del Michele uomo che sa arrivare d&rsquo;un soffio prima del Michele pilota. &Egrave; una posizione matura, importante, che d&agrave; un senso al tutto e che definisce appunto una scala di valori e una scelta di vita per un uomo ben deciso a dedicare tutto se stesso al suo Sport amatissimo, senza mai perdere di vista le cose che nella vita contano davvero.  Cos&igrave; tutto quadra, tutto ha un senso.Adesso la parola passa alle Autorit&agrave;, ai soggetti competenti. Come si dice in questi casi, a chi di dovere. Intanto, per non lasciar passare il tempo invano e per fare a nostra volta un gesto concreto, sentito e colmo di passione tracimante anche tanta commozione, stiamo lavorando sodo per fare uscire a fine aprile un numero monografico di Autosprint Gold Collection di oltre 130 pagine, interamente dedicate a Michele.  Alboreto is racing again.   

&Egrave; tempo di omaggiare Michele nel ventennale della scomparsa

Intitoliamo una Curva di Monza ad Alboreto!

Certo che &egrave; stato bello domenica veder trionfare Seb Vettel in un Gp del Canada stradominato e bellissimo sentirlo omaggiare il passato glorioso e indimenticabile della Ferrari.  Con tutti, giustamente, a ricordare i quarant&rsquo;anni dal primo successo in F.1 di Gilles Villeneuve e a sottolineare i quattordici anni di scarto con il precedente successo canadese della Rossa con Michael Schumacher, peraltro esatrionfatore a Montreal. Viva la storia della Rossa, dunque.&nbsp;  Tutto giusto e tutto bello, con Seb che mai come nel dopogara si &egrave; messo a parlare italiano, e Arrivabene che cantava l&rsquo;inno da puro patriota, solenne come un fuciliere del battaglione San Marco.  A questo quadro stupendo non c&rsquo;&egrave; nulla da togliere, in un pomeriggio memorabile che ha riportato Seb e il Cavallino Rampante in testa al mondiale. Piuttosto, c&rsquo;&egrave; solo qualcosa da aggiungere, di sentimentalmente, emotivamente e nostalgicamente importante.  In Canada la Ferrari &egrave; una Casa che ha vinto tanto, 12 volte, seconda solo alla McLaren con 13. E allora giusto spazio anche ai centri di Jacky Ickx nel 1970 a Mont Tremblant, di Ren&eacute; Arnoux a Montreal nel 1983, di Jean Alesi nel 1995, l&rsquo;unico nei Gp, per lui. Ma con queste e sopra queste ce ne &egrave; una che va ricordata con commovente senso di giustizia e rimpianto per ci&ograve; che poi avrebbe potuto e dovuto essere ma non fu: il trionfo del grande Michele Alboreto nell&rsquo;edizione 1985, nell&rsquo;anno in cui la Ferrari sfidava - allora come oggi - una monoposto dotata di un motore tedesco ritenuto invincibile, il Tag-Porsche V6 turbo in luogo della powertrain Mercedes d&rsquo;oggid&igrave;.  Era una Ferrari molto diversa da quella d&rsquo;oggi, col suo fondatore ormai 87enne e comprensibilmente meno al timone, con Mauro Forghieri ormai a bordo campo e tante piccole e grandi lotte in atto per raccogliere le investiture pi&ugrave; prestigiose.&nbsp;  E fu cos&igrave; che in quella situazione strana, di delicatissima transizione, che ben presto sarebbe diventata l&rsquo;antipasto di una gravissima crisi d&rsquo;affidabilit&agrave; meccanica, di consistenza tecnica e di solidit&agrave; politico amministrativa, Michele Alboreto riusc&igrave; a emergere come punto di riferimento generoso e non sporadicamente vincente. Dopo tre secondi posti a inizio stagioone 1985 fu proprio la vittoria in Canada a lanciare la sua candidatura iridata, ben presto doppiata dalla grande affermazione al Nurburgring. Prima che il crollo tecnico della Rossa gli distruggesse la seconda parte della stagione e anche l&rsquo;unica vera occasione della carriera che si present&ograve; a Michele di diventare campione del mondo.  Cos&igrave; il successo di Vettel che riporta la Rossa al top, al di l&agrave; del giusto fascino dell&rsquo;anniversario, offre anche la stupenda chance di ricordare, oltre a Gilles e Schumi, una terza figura amatissima e rimpianta tra i tifosi dal cuore Rosso: Michele Alboreto.&nbsp;Un grande pilota, un ragazzo stupendo, una bella persona. 

Dopo il trionfo di Vettel e della Ferrari, oltre ai riferimenti a Gilles e Schumi &egrave; giusto celebrare anche il trionfo a Montreal dell&rsquo;italiano nel 1985

Non solo Gilles: in Canada ricordiamo anche Alboreto

Aveva 41 anni e ormai in molti lo consideravano gi&agrave; un ex. Eppure l&#39;ex ferrarista riusc&igrave; a vincere la 24 Ore al volante della Twr-Porsche by Joest, al fianco dell&#39;allora novellino Kristensen e del veterano Stefan Johansoon. Il boss del team, Reinhold Joest,&nbsp;comment&ograve;: &laquo;In quel weekend capii fino in fondo sul piano del pilotaggio e su quello umano quanto poteva essere grande la classe del campione e dell&rsquo;uomo Michele Alboreto. Se qualcuno mi chiede fino a che punto io l&rsquo;abbia apprezzato, posso rispondere con i fatti: la sua foto campeggia tuttora in ufficio, dietro la mia scrivania. Tutto ci&ograve; perch&eacute; sono orgoglioso di confessare che cos&igrave; facendo io di un uomo come Michele ho il privilegio di vederne l&rsquo;immagine e di ricordarne la storia ogni mattina, tutti i giorni della mia vita&raquo;.

Alboreto vince la 24 Ore di Le Mans '97

Venti anni. Tanti ne sono passati da quell&rsquo;inatteso trionfo di Michele Alboreto alla 24 Ore di Le Mans 1997, ottenuto quando il pilota milanese aveva appena varcato i 41 anni d&rsquo;et&agrave; e in teoria sembrava ormai ai margini dell&rsquo;automobilismo che conta. E gi&agrave; fuori da fine 1994 da quella F.1 alla quale sentiva di non aver pi&ugrave; nulla da dare, dopo avergli dedicato i momenti migliori della carriera, sfiorando il titolo mondiale nel 1985, su Ferrari. Ma &egrave; dall&rsquo;inizio della seconda met&agrave; degli Anni &rsquo;90 che Michele inizia un percorso del tutto nuovo, che &egrave; anche la testimonianza pi&ugrave; bella del suo infinito amore per l&rsquo;automobilismo da corsa.  Piuttosto che piantarla gloriosamente l&igrave;, eccolo saggiare il Dtm con l&rsquo;Alfa Romeo e nello stesso tempo programmare in chiave 1996 il suo attacco alla 500 Miglia di Indianapolis, con un plan parziale che lo vede in scena con una Lola del team Scandia di Andy Evans negli Usa laddove, e alla 24 Ore di Le Mans al volante della Wsc Porsche Twr Porsche by Joest, un vecchio progetto ex Jaguar Gr. C poi gestito dalla Mazda e infine confluito in un riciclo di materiale da parte di Renhold Joest, che mette insieme un agguerrito prototipo in due esemplari dotati del classicissimo e eterno motore Flat Six Turbo.  Nel 1996 Michele, che corre insieme a Piero Martini e a Didier Theys, &egrave; costretto al ritiro mentre la vettura gemella di &nbsp;Reuter-Wurz-Jones s&rsquo;aggiudica a sorpresa la classicissima gara. E per il 1997 la Porsche ufficiale sfila una delle pericolose barchette a Joest e la infila nel museo di Stoccarda per toglierla di mezzo e spianare la strada a una fortemente voluta affermazione dell&rsquo;arma pi&ugrave; fresca, la 911 Gt1 all&rsquo;attacco in forma ufficiale e affidata anche a un nugolo di team privati.  Michele si ritrova quindi sull&rsquo;unico prototipo Twr by Joest superstite e a pochissimi giorni dalla 24 Ore, prevista nel weekend del 14-15 giugno, non &egrave; neanche sicuro dell&rsquo;esatta composizione del suo equipaggio.&nbsp;Al suo fianco, quasi a rinverdire per un&rsquo;ultima volta i giorni pi&ugrave; belli, ci sar&agrave; l&rsquo;altro veterano Stefan Johansson, coetaneo e soprattutto compagno di squadra in Ferrari nell&rsquo;intenso e indimenticato biennio 1985-1986. Il terzo posto disponibile, misteriosamente libero fino alle ultimissime ore delle verifiche in piazza dei Giacobini, nel vecchio centro di Le Mans, rimane contrassegnato da una X sino a che in extremis esce fuori il nome del pilota designato: il quasi sconosciuto danese Tom Kristensen, all&rsquo;epoca pilota del team AutoSport Racing in F.3000 Internazionale, alla corte dell&rsquo;italianissimo Gianfranco Bielli.  Kristensen &egrave; un novellino di Le Mans e sembra tanto il punto debole dell&rsquo;equipe. Non importa: il resto lo racconta direttamente Reinhold Joest, il pi&ugrave; glorioso, blasonato e autorevole team boss nell&rsquo;era moderna dell&rsquo;Endurance, non solo capo della sua squadra ma successivo punto di forza della saga Audi alla Sarthe e nella che cambier&agrave; volto all&rsquo;intera categoria: &laquo;Michele fu fantastico con Tom. Invece che trattarlo con distacco e superiorit&agrave; si atteggi&ograve; subito a compagno di squadra caldo, aperto e generoso, non lesinando consigli e aiuto nella delicatissima fase di acclimatamento. Anche perch&eacute; lui a Le Mans aveva corso gi&agrave; quattro volte, tre delle quali con la Lancia, sia in Gruppo 5 che in Gruppo 6 e in Gruppo C. Ebbene, grazie a lui la nostra struttura inizi&ograve; la sfida in uno stupendo clima di motivatissima collaborazione. E il resto della trama di quell&rsquo;emozionante gara ci avrebbe dato ragione&raquo;.  Parliamoci chiaro, sembra tanto sia la gara di Bob Wollek e della sua Porsche 911 Gt1 ufficiale. Il 54enne alsaziano forse &egrave; alla sua ultima posibilit&agrave; di riuscire a vincere la 24 Ore che gli sfugge da quasi 30 anni e insieme agli altri veterano Boutsen e Stuck non lascier&agrave; nulla d&rsquo;intentato pur di farcela. L&rsquo;altra 911 Gt1 della Casa vede coinvolti Kelleners, Collard e Dalmas, l&rsquo;equipaggio pi&ugrave; giovane tra quelli top.  La gara, fortunatamente risparmiata dalla pioggia, vede sostanzialmente un&rsquo;appassionante fuga delle due 911, con il prototipo Wsc che si mantiene nella loro scia, vera spina nel fianco, quasi una goccia che scava nelle due 911 fuggitive come una goccia buca la pietra. E alle 8 di mattina della domenica tocca a Wollek uscire catastroficamente alla secca piega destrorsa di Arnage, rovinando il suo sogno di vittoria. Il pilota sembra sotto accusa, ma anni dopo il tecnico Singer confesser&agrave; che si &egrave; trattato di un&rsquo;avaria alla trasmissione.  Okay, ora in testa passa la vettura gemella ufficiale, sempre seguita come un&rsquo;ombra dalla Wsc di Alboreto-Kristensen-Johansson, i quali stanno dando vita a una gara regolarissima, priva di noie e incredibilmente consistente, peraltro senza ancora attaccare la Porsche lepre.  Le Mans, domenica 15 giugno, mezzogiorno in punto.&nbsp;La 911 Gt1 di testa si mette a fare fuoco e fiamme, quindi si stoppa malinconimcamente a bordo pista. Il pilota Kelleners scende, si appoggia a una rete e piange. &Egrave; finita. La Porsche ufficiale ha perso la 24 Ore di Le Mans e in testa ora c&rsquo;&egrave; incredibilmente Michele Alboreto col vecchio prototipo di Joest che marcia come un orologio.  Non lo riprenderanno mai pi&ugrave;.&nbsp;Coadiuvato meravigliosamente da Tom Kristensen, rookie con un grande avvenire davanti - diventer&agrave; futuro recordman di vittorie alla Sarthe con 9 stordenti centri comlpessivi - e dal vecchio amico Johansson, Michele porta la Twr Wsc by Joest sotto la bandiera a scacchi, cogliendo una vittoria inattesa, meritata e in grado di nobilitare una carriera, quella del pilota milanese, gi&agrave; meravigliosa di suo e che con questa ulteriore iniezione di gloria e entusiasmo potr&agrave; prolungarsi ancora per anni. S&igrave;, fino a un brutto giorno di primavera del 2001 al Lausitzring, ma questa &egrave; un&rsquo;altra storia.  La chiusa di quella meravigliosa trama della 24 Ore di Le Mans 1997 spetta di dritto al grande Reinhold Joest: &laquo;In quel weekend capii fino in fondo sul piano del pilotaggio e su quello umano quanto poteva essere grande la classe del campione e dell&rsquo;uomo Michele Alboreto. Se qualcuno mi chiede fino a che punto io l&rsquo;abbia apprezzato, posso rispondere con i fatti: la sua foto campeggia tuttora in ufficio, dietro la mia scrivania. Tutto ci&ograve; perch&eacute; sono orgoglioso di confessare che cos&igrave; facendo io di un uomo come Michele ho il privilegio di vederne l&rsquo;immagine e di ricordarne la storia ogni mattina, tutti i giorni della mia vita&raquo;. 

Venti anni fa Michele sbanc&ograve; la classicissima 24 Ore con la Twr-Porsche by Joest, al fianco dell&#39;allora novellino Kristensen e del veterano&nbsp;Stefan Johansson

Le Mans &#39;97, quando Alboreto fu Re della 24 Ore

Il 25 aprile 2001 veniva a mancare in seguito a un incidente al Lausitzring&nbsp;l&#39;ex pilota di F1 e Endurance. Alboreto era nato a Milano il&nbsp;23 dicembre 1956: nell&#39;81 il debutto in Formula 1. Dopo tre stagioni con la Tyrrell passa alla Ferrari, con cui nell&#39;85 si laurea vicecampione del mondo, il miglior risultato ottenuto durante la sua carriera in F1.&nbsp;Ren&eacute; Arnoux, suo compagno di team in Scuderia Ferrari nel biennio &#39;84-&#39;85 lo ricorda cos&igrave;: &laquo;Ecco, mi sono sempre chiesto come potesse essere possibile che un uomo cos&igrave; valido, cos&igrave; nobile d&rsquo;animo, riuscisse ad andare cos&igrave; forte, perch&eacute; in genere le due cose non sono cos&igrave; automatiche e compatibili. Invece lui era un campione come pilota ma anche un grande come persona. Prendi il 1985. Se la Ferrari non avesse avuto la caduta di affidabilit&agrave;, Michele avrebbe tranquillamente battuto la McLaren-Tag-Porsche di Alain Prost.&raquo;

Michele Alboreto, l'indimenticabile

Nell'immagine Michele Alboreto sul gradino pi&ugrave; alto del podio al&nbsp;GP di Germania, il 4 agosto 1985, anno in cui sfior&ograve; il mondiale in Formula 1 con Ferrari. In quella domenica di 30 anni fa il milanese vinse la sua seconda gara stagionale tagliando il traguardo davanti ai francesi Alain Prost e Jacques Laffite. Ieri un altro anniversario ma estremamente triste: sono trascorsi quindici anni esatti dal 25 aprile 2001. Il giorno maledetto del Lausitzring che port&ograve; via Alboreto, vittima di un incidente causato dal kappa&ograve; di uno pneumatico, mentre stava collaudando l&rsquo;Audi in vista di Le Mans.  Autosprint, da domani in edicola, dedica uno speciale all'indimenticabile pilota, ricordato da nove amici speciali. Come il fratello Ermanno, unico depositario degli "albori" di Alboreto: &laquo;Pap&agrave; ci porta a vedere il film &ldquo;Indianapolis, pista infernale&rdquo; con Paul Newman protagonista e ci parte la bolla. Inizio io col motocross, poi nel 1976 arriva lui, gi&agrave; diplomato perito meccanico, che salta il kart e compra una F. Monza, a 875mila lire, in compropriet&agrave; con un amico. Michele per correre &egrave; costretto a vendersi la prima moto, una Mondial Sachs 125, ed &egrave; pronto a disputare una gara a testa col socio, ma costui, andando a fare la licenza, scopre d&rsquo;essere daltonico e mio fratello si ritrova per caso pilota a tempo pieno&raquo;.  O Piercarlo Ghinzani, compagno ai tempi della F3 e poi del mondiale Endurance: &laquo;Vinciamo al Mugello e i meccanici ci fanno una gran festa: un giorno stupendo. &Egrave; cos&igrave; che lo ricordo:&nbsp;veloce, sorridente, un gran mastino in pista e un signore nella vita. Provo per lui tanta stima e un immenso affetto&raquo;.    Impossibile non interpellare Gian Carlo Minardi, che lo fece debuttare in F2: &laquo;Michele non ebbe fortuna quando ne avrebbe avuto bisogno. Capit&ograve; alla Ferrari nel momento pi&ugrave; difficile e l&rsquo;anno dopo, nel 1985, perse un mondiale senza sbagliare nulla. Infine, a quasi 45 anni, ebbe quell&rsquo;incidente non per colpa sua, lui che era uno che sbatteva il meno possibile&raquo;.  Ren&eacute; Arnoux, suo compagno di team in Scuderia Ferrari nel biennio '84-'85 lo ricorda cos&igrave;: &laquo;Ecco, mi sono sempre chiesto come&nbsp;potesse essere possibile che un uomo cos&igrave; valido,&nbsp;cos&igrave; nobile d&rsquo;animo, riuscisse ad andare cos&igrave; forte,&nbsp;perch&eacute; in genere le due cose non sono cos&igrave; automatiche&nbsp;e compatibili. Invece lui era un campione come&nbsp;pilota ma anche un grande come persona. Prendi&nbsp;il 1985. Se la Ferrari non avesse avuto la caduta di&nbsp;affidabilit&agrave;, Michele avrebbe tranquillamente battuto&nbsp;la McLaren-Tag-Porsche di Alain Prost.&raquo;.  Infine Emanuele Pirro, compagno di colori di Michele nell&rsquo;armada Audi e avversario in Formula 1, che sottolinea le doti gladiatorie di Alboreto: &laquo;L&igrave; era tosto, mica ci potevi scherzare tanto. Ricordo nel 1990 al Gp del Canada, l&rsquo;asfalto si stava asciugando, lui era con le slick, io con le rain. Tenta di superarmi, io chiudo, ci agganciamo e finiamo fuori. Fine. Cavolo, si arrabbi&ograve; parecchio e io, sbagliando per puro orgoglio, lo accusai a mia volta. Siamo rimasti in rogna un po&rsquo; poi &egrave; andato tutto a posto, perch&eacute; lui era uno intellettualmente onesto e in buona fede. Sempre&raquo;.  Il servizio completo con&nbsp;le testimonianze sul nuovo numero di Autosprint in edicola

Il 25 aprile 2001 la morte di Michele Alboreto in seguito a un incidente al Lausitzring: a 15 anni dalla scomparsa il ricordo di nove amici e colleghi

13 risultati per 'alboreto'