        Gara dopo gara, la stagione 2023 si conferma sempre di pi&ugrave; un monologo per Max Verstappen, che anche dopo la conquista del terzo Titolo non sembra intenzionato a lasciare nulla agli avversari. Andando a infrangere un record dopo l'altro, inclusi quelli che lui stesso aveva stabilito. Tolti i due successi di Perez a inizio stagione, e la vittoria di Carlos Sainz a Singapore con la Ferrari, l'olandese ha vinto tutti i rimanenti 17 gran premi del 2023 finora disputati. Andando a infrangere il record del maggior numero di vittorie in una singola annata (peraltro stabilito da lui stesso nel 2022) e riscrivendo un primato che durava addirittura dal 1952, quello della pi&ugrave; alta percentuale di GP vinti in un anno. Verstappen supera anche Ascari Grazie alla vittoria in Brasile ottenuta sul circuito di Interlagos, infatti, Max si &egrave; trovato a vincere 17 dei 22 gran premi in calendario quest'anno. In termini di percentuale, Verstappen ha vinto il 77,27% delle gare dell'anno (peraltro con due appuntamenti ancora da disputare). Mai nessuno aveva fatto meglio. E nessuno si era neppure mai avvicinato a questi numeri, se consideriamo che il record precedente resisteva da ben 71 anni. A stabilirlo, nell'ormai lontano 1952, fu Alberto Ascari al volante dell'Alfa Romeo. L'italiano vinse 6 delle 8 gare in calendario quell'anno, stabilendo cos&igrave; la sua percentuale di vittorie al 75%. Un record imbattuto fino a oggi. E gli altri Campioni del Mondo che hanno dominato nelle rispettive epoche? Chi si &egrave; avvicinato di pi&ugrave; ad Ascari &egrave; stato Michael Schumacher, che nel 2004 trionf&ograve; in 13 dei 18 appuntamenti iridati, con una percentuale di vittorie del 72,2%. Alle spalle del 7 volte Campione del Mondo tedesco troviamo poi Jim Clark con la stagione 1963 (7 vittorie in 10 GP, 70% di successi), Sebastian Vettel nel 2013 (13 vittorie in 19 gare, 68,4% di successi) e nuovamente Max Verstappen, autore nel 2022 di 15 vittorie in 22 GP, abbastanza per fargli guadagnare &ndash; anche &ndash; il 6&deg; posto di questa classifica con il 66,2% di successi. Soltanto ottavo, alle spalle di Juan Manual Fangio, Lewis Hamilton: nella sua annata di maggiore dominazione, il 2020, l'inglese ha vinto &ldquo;solo&rdquo; il 64,7% delle gare disputate quell'anno. Tornando alla stagione in corso, mancano ancora da disputare due gran premi, a Las Vegas e Abu Dhabi. Qualora Verstappen dovesse conquistare il gradino pi&ugrave; alto del podio anche in queste due occasioni, porterebbe la sua percentuale di successi fino a ben l'86,3%, un record che sar&agrave; molto difficile battere in futuro. GP Brasile: le pagelle       

L'olandese pigliatutto della Red Bull sta facendo incetta di record in questa stagione: tra i primati battuti, anche uno fatto segnare da Albert Ascari 71 anni fa

Verstappen batte Ascari: infranto il record che resisteva dal 1952

        La Storia eravamo noi, quelli che avevano tanto da vincere e ben poco da perdere. La Formula Uno e? stata soprattutto un&rsquo;avventura molto tricolore al di l&agrave; della Ferrari, che &egrave; la cosa pi&ugrave; italiana che ci sia al mondo. Al punto da farci scordare che da troppo tempo &egrave; oscura l&rsquo;altra parte della Luna che gira intorno alle emozioni della Formula Uno. Quella dei piloti, che in questi giorni compie 70 anni di assenza dall&rsquo;albo d&rsquo;oro dei campioni, da quel 23 agosto 1953 quando una corona iridata cinse la chioma del ferrarista Alberto Ascari. Da allora il buio totale e solo una stagione in cui c&rsquo;&egrave; stata la speranza di poter chiudere questo digiuno.  La lunga attesa il sogno sfumato di Alboreto Era il 1985 ed era ancora agosto, era il 25, ed era appena finito il Gran Premio di Olanda a Zandvoort con il ferrarista Michele Alboreto quarto e il leader del Mondiale Alain Prost (McLaren) secondo. C&rsquo;erano ancora tre punti di differenza e il sogno di riportare nel garage dei ricordi perduti quel trionfo lontano era quasi reale. Perch&eacute; fino al Gran Premio precedente i due contendenti erano appaiati e in quello prima ancora in Germania, chiuso con la vittoria del ferrarista, Alboreto era avanti di quattro lunghezze. Solo che dopo la sfida di Zandvoort non ne and&ograve; pi&ugrave; bene una, da l&igrave; in poi ci furono un 13esimo posto e quattro ritiri. Vero, nel Mondiale c&rsquo;&egrave; stato anche un altro secondo posto con Riccardo Patrese (Williams) dietro al compagno di squadra Nigel Mansell. Solo che quella volta &ndash; era il 1992 &ndash; non ci fu mai storia, il Leone d&rsquo;Inghilterra aveva vinto a schiaffo le prime cinque gare e otto fra le prime dieci, Patrese solo la penultima a giochi fatti. Quello del Mondiale che non vinciamo mai non &egrave; un sortilegio, perch&eacute; non basta essere bravi per diventare campioni del mondo, serve la monoposto giusta al momento giusto, serve la fortuna, serve che la vettura perfetta non ce l&rsquo;abbia fra le mani anche un altro fra i migliori. E di bravi piloti ne abbiamo avuti tanti, come vedremo in questo pasillo de honor che Autosprint contrappone con orgoglio all&rsquo;amarezza di un digiuno che non &egrave; certo un sortilegio. Ma la Formula Uno &egrave; una classe regina, come i 100 metri dell&rsquo;atletica alle Olimpiadi. &Egrave; gi&agrave; bello essere l&igrave; a correre mentre arde il braciere con il fuoco acceso in Grecia, cos&igrave; come sfrecciare a Monza, Silverstone o Spa. Tutti quelli che arrivano l&igrave; a correre meritano applausi e riconoscenza degli appassionati, la stessa che si deve ai migliori portacolori dell&rsquo;italico motorismo. Con una differenza. Se uno &egrave; veloce sui 100 metri, li corre e magari li vince come ha fatto Marcell Jacobs a Tokyo. In Formula Uno, nell&rsquo;epoca degli sponsor invadenti, uno come Antonio Giovinazzi resta fuori anche se &egrave; piu? bravo della met&agrave; di quelli che corrono. Tazio Nuvolari, 70 anni fa se ne andava il Mantovano Volante Trulli, Fisichella, Brambilla e gli altri Cos&igrave; allora non ci resta che la memoria di una Storia per adesso perduta. Perch&eacute; poi certe vittorie come quella di Vittorio Brambilla nel diluvio di Zeltweg nel 1975, quella di Jarno Trulli a Monte Carlo nel 2004, quelle di Riccardo Patrese e Michele Alboreto non sono certo emozioni da poco. E c&rsquo;&egrave; anche la necessit&agrave; di rivalutare il concetto di qualit&agrave; del trionfo che rende speciale quest&rsquo;avventura italiana fatta di 43 Gran Premi vinti che a noi possono sembrare anche mille tanto sono preziosi. Ma &egrave; altrettanta la nostalgia di una storia che ormai veleggia lontano da qui, perch&eacute; oggi non abbiamo pi&ugrave; neanche un pilota in griglia. E questo rende ancor pi&ugrave; flebile il ricordo dell&rsquo;ultima volta del Mondiale piloti di un italiano. Sono pochi quelli che possono ricordare quell&rsquo;agosto del 1953, otto anni dopo la fine della guerra, con Giuseppe Pella presidente del consiglio appena nominato dopo Alcide De Gasperi e pronto sei mesi dopo a lasciare lo scettro ad Amintore Fanfani. Presidente degli Stati Uniti &egrave; Dwight Eisenhower, in Unione Sovietica &egrave; appena cominciata l&rsquo;era di Nikita Krusciov, nelle case italiane non ci sono ancora i televisori e il primo uomo andra? nello Spazio solo otto anni dopo, per la Luna ne passeranno 16. E anche l&rsquo;ultima vittoria in un Gran Premio, sia pure meno mesozoica, appare sbiadita nei ricordi. Sono passati pi&ugrave; di 17 anni, e? il 19 marzo 2006 e si corre a Sepang, in Malesia. A vincere &egrave; Giancarlo Fisichella su Renault, davanti al compagno di squadra Fernando Alonso. In Italia al governo c&rsquo;&egrave; Silvio Berlusconi che sta per lasciare il posto a Romano Prodi, negli Stati Uniti il presidente &egrave; George W. Bush, l&rsquo;Unione Sovietica non c&rsquo;&egrave; pi&ugrave;ll da 15 anni e in Russia &egrave; gi&agrave; cominciata l&rsquo;era di Vladimir Putin&hellip; Continua a leggere il nostro maxi servizio sui piloti italiani in F.1 (del passato e del futuro) su Autosprint in edicola, oppure clicca qui per la versione digitale.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da Autosprint Official (@autosprintofficial)            

Sono passati 70 anni dall'ultima volta che un pilota italiano, Alberto "Ciccio" Ascari, vinse un Titolo F.1: da allora tanti piloti si sono succeduti, alcune vittorie colte e molti sogni infranti...

F.1 e piloti italiani, 70 anni di solitudine

Quelli del calcio hanno gi&agrave; i dolori di stomaco da mo&rsquo;, per i rovesci ai mondiali della nostra nazionale, nel ciclismo del post-Nibali si gode assai meno di un tempo e nell&rsquo;atletica e nel tennis le gioie arrivano a intermittenza.  Il digiuno pi&ugrave; lungo  Per&ograve;, se ben guardiamo, il pi&ugrave; terribile, devastante, immeritato, lancinante e deflagrante digiuno dello Sport italiano, per quanto concerne una delle discipline maggiori a diffusione planetaria, &egrave; quello che riguarda il mondiale Piloti di F.1. Visto che il 23 agosto 1953 sono 70 anni esatti dal titolo vinto matematicamente da Alberto Ascari al volante della Ferrari 500, grazie al trionfo di tappa sul circuito svizzero del Bremgarten. In quel momento era passata pi&ugrave; o meno una cinquantina d&rsquo;anni dall&rsquo;inizio delle competizioni automobilistiche e l&rsquo;Italia era patria autorevole delle gare a motore e i piloti tricolori gli artisti non incontrastati ma indiscussi del volante.  La grande Italia dei motori  Con l&rsquo;era Fiat garantita dagli epici Felice Nazzaro e Pietro Bordino, sulla cui scia s&rsquo;era inserito Tazio Nuvolari, riconosciuto al di l&agrave; e al di qua dell&rsquo;Oceano come il pilota pi&ugrave; forte del mondo. Sfidato e corroborato da Achille Varzi e Luigi Fagioli, mentre l&rsquo;Alfa Romeo era la Casa da corsa e di produzione pi&ugrave; prestigiosa, vincente e sognata, con la Maserati che mica scherzava per niente, seguita da una selva di marchi italici. Insomma, eravamo la culla del ricamo sull&rsquo;asfalto e non solo la patria dei santi del volante, dei poeti del banco di prova, dei navigati navigatori della realizzazione di bolidi vincenti, bellissimi e inimitabili. Spinte post risorgimentali, monarchia e fascismo, a turno, poco c&rsquo;entravano. Semplicemente, eravamo i migliori, punto. In tutto, dall&rsquo;ideare al costruire. Ma nella guida di pi&ugrave;. Un po&rsquo; con spiegazioni di talento protoindustriale e preagonistico, un po&rsquo; per pura fortuna genetica, perch&eacute; vedere nascere tanti e tali campioni tutti nella stressa penisola, mentre l&rsquo;universo mondo s&rsquo;affanna a produrne di pi&ugrave; bravi in tutta la prima parte del secolo breve, &egrave; anche una mezza botta di culo.  Cosa &egrave; cambiato  Fatto sta che dalla met&agrave; degli Anni &rsquo;50 tutto cambia. La Ferrari scopre la squadra primavera, che sugli italiani Eugenio Castellotti e Luigi Musso fa perno, ma poi essi se ne vanno tragicamente tutti, uno a uno, compreso lo sfortunato neolancista Alberto Ascari - seguiti in circostanze differenti da Collins de Portago e Hatwthorn - e rester&agrave; solo il vuoto. E arrivano gli Anni &rsquo;60 e &rsquo;70 che potrebbero essere favolosi ma non lo sono per niente, per l&rsquo;Italia del volante, visto che tutti i talenti corsaioli nostrani faranno una fine poco bella se non, in certi casi, bruttissima. Lorenzo Bandini, Ludovico Scarfiotti e Ignazio Giunti restano emblemi apicali di questa somma sfortuna e di una sorte maledetta, c&rsquo;&egrave; poco da fare, che allontaner&agrave; sempre pi&ugrave; Enzo Ferrari dall&rsquo;opportunit&agrave; di favorire, caldeggiare e ingaggiare talenti tricolori. Perch&eacute; se poi capita un incidente le rogne sono triple, l&rsquo;eco quadrupla e l&rsquo;ondata avversa di pubblica indignazione decupla. Da l&igrave; in poi, di mondiali sfiorati all&rsquo;ultimo tuffo, nessuno. Punto.  Le occasioni sfiorate  Michele Alboreto fa cose meravigliose per met&agrave; 1985 ma poi la Ferrari lo tradisce. Riccardo Patrese va forte con la Williams dell&rsquo;era Mansell, ma di battere il Baffo non se ne parla, il grande Elio &egrave; vittima del fato cos&igrave; ce la caviamo con virtuali e simbolici quanto consolatori vicetitoli di secondi arrivati nel mondiale, che male non fa, per&ograve; vincere sarebbe stata tutta un&rsquo;altra cosa. Certo, se adesso chiamo Mario Andretti, ecco che &ldquo;Piedone&rdquo; mi spiega quanto siano immotivate le mie paturnie, in quanto lui italiano ci si sente tuttora, di natali, cultura e sensibilit&agrave;, e il titolo, meritatissimo, lo ha vinto nel non preistorico 1978. Per&ograve;, dai, lo sappiamo tutti che lo ha fatto con passaporto e cittadinanza statunitense, il che un tantino le cose le sposta, eccome.  Quali sono le prospettive future  La sporca verit&agrave; &egrave; che gli italiani da corsa andrebbero aiutati a casa loro. E quindi? E, niente, quindi, dopo settant&rsquo;anni di digiuno boia, non solo non abbiamo neanche mezzo italiano in F.1, ma i due papabili ad arrivarci, ovvero gli stupendi Gabriele Min&igrave; e Kimi Antonelli, sono ancora non vicinissimi alla meta, bench&eacute; sulle ali protettive rispettivamente di Alpine e Mercedes. Quanto alla Ferrari, quella di F.1 ha fatto storicamente poco, pochissimo per i nostri anche nel post Drake, tanto che, se tutti i chilometri percorsi da tester italiani nei collaudi fossero stati inanellati in gara, a quest&rsquo;ora la faccenda sarebbe assai meno spasmodica. Ma va be&rsquo;. Dai che ti ridai, la verit&agrave; erutta tre postulati tosti: 1) Da settanta anni il nostro automobilismo non produce un Clark, un Senna o uno Schumi e questo lo dobbiamo accettare con imparziale realismo. 2) La pressione dell&rsquo;opinione pubblica &egrave; sempre a favore della Ferrari e mai a vantaggio dei piloti italiani. Quando, nel Gp di San Marino 1983 - e stavolta l&rsquo;anniversario dice quaranta anni fa -, Riccardo Patrese su Brabham usc&igrave; di pista scivolando sul breccino alle Acque Minerali aprendo la strada alla passerella trionfale del francese Tambay su Ferrari, quasi tutti i centomila italici ruggirono felici e tantissimi italioti in tribuna mostrarono a Riccardo il segno dell&rsquo;ombrello. 3) Qualsiasi pilota italiano post-Ascari che ha provato o prover&agrave; a rivincere il mondiale lo ha fatto e lo far&agrave; non grazie alla Ferrari, ma malgrado la Ferrari.  Il peso della Ferrari  &Egrave; stato cos&igrave; per Alboreto, dalle ali tarpate per virus tecnici aziendali, &egrave; andata in questo modo per Patrese, prima corteggiato e poi non preso dalla Rossa, e sar&agrave; cos&igrave; per chiunque altro che riuscir&agrave; a farsi strada, di certo non potendo contare, almeno a corto raggio, sull&rsquo;aiuto concreto del Cavallino. Ed &egrave; tab&ugrave; parlarne, perche farlo vuol dire toccare concetti scomodini. Pertanto, piano quando si parla di Nazionale Rossa. Quella di Coletta nel Wec in gran parte lo &egrave;, ma in F.1 le cose - dal mesozoico a oggi - funzionano diversamente. Tutto questo discorso serve per arrivare alle morali che mi premono e che sono costruttive ma non vogliono assurgere a costrittive. Cio&egrave;, zero, polemiche. Nessuna accusa, nada battaglie e tutto okay. Per&ograve;, sveglia, perdio, cari signori appassionati italiani. Sveglia, cosiddetta opinione pubblica. Sveglia, colline della passione e sveglia, milioni di entusiasti di motorsport nei social e non. Cominciamo a vivere, soffrire, pensare, veicolare, metabolizzare e propagandare questo digiuno per esorcizzarlo, gettando anche le basi ideologiche e culturali per sconfiggerlo.  C&#39;&egrave; molto ancora da aspettare  Perch&eacute; ho la netta sensazione che, se continuiamo a far finta di niente, mai succeder&agrave; nulla di bello per creare le condizioni d&rsquo;interrompere &rsquo;sta dieta raccapricciante e quasi secolare. Per esempio, cominciamo a tifare come dannati Min&igrave;, Antonelli e non solo loro, ma tutti quei ragazzi tricolori che dimostrano di meritare fiducia, affetto, stima e chance fin dalle formule propedeutiche. Sissignori, bisogna ripartire dal primo piolo della scala, con umilt&agrave;, determinazione e consapevolezza. Noi italiani, pensando a questi 70 anni dall&rsquo;ultimo titolo di Alberto Ascari, dobbiamo provare un brivido di commossa empatia verso il leggendario &ldquo;Ciccio&rdquo;, ma anche un senso d&rsquo;indignazione per tante cose successe e non successe, da l&igrave; in poi. Concludendo che i primi a dover cambiare dobbiamo essere noi. Auspicabilmente, l&rsquo;Italia del motore deve tornare a essere grande tutta e non solo quella Rossa, ma anche se indossa caschi e tute senza il Cavallino stampigliato. Il primo step, modesto, umile ma un tantino incazzato &egrave; finalmente parlarne, di questa cosa, da appassionati automobilisti anonimi, riuniti in cerchio. Ciao, mi chiamo Italia e non tocco un mondiale Piloti da 70 anni. 

Il 23 agosto saranno 70 anni dall&rsquo;ultimo mondiale tricolore targato Ascari

Il peggior digiuno dello Sport italiano &egrave; quello dal mondiale F.1

        A riviverlo oggi, il GP Germania 1953, sembra di rispolverare non solo un'altra epoca, ma addirittura un'altra galassia. Il vecchio e terribile Nurburgring, con i suoi 22,81 chilometri, le 34 vetture al via, un vincitore pi&ugrave; vicino alla soglia dei 50 anni piuttosto che dei 40, giri da pole intorno ai 10 minuti, pit-stop nell'ordine dei 4 e, soprattutto, un pilota italiano a diventare campione del mondo con la Ferrari. L'ultimo e l'unico, finora, a riuscirci: Alberto Ascari. Bis mondiale E' una pagina ingiallita, quella del 2 agosto 1953, ma assolutamente non priva di fascino, se oggi, 70 anni dopo, siamo qui a ricordarla. Nessuno poteva sapere, e forse neanche immaginare, che quella domenica sarebbe stata l'ultima ad incoronare un italiano campione del mondo. Non esisteva ancora il titolo Costruttori, che sarebbe arrivato solamente 5 anni pi&ugrave; tardi, per cui il titolo Piloti era tutto quello per cui valeva la pena gareggiare. E quell'anno avrebbe riservato il bis ad Ascari e alla Ferrari, capaci di difendere il titolo di un 1952 dominato in un 1953 complessivamente pi&ugrave; difficile, ma ancora una volta vittorioso, con quella complicata ma felice domenica tedesca a consegnare a Maranello il secondo alloro iridato della sua storia. Domenica difficile, ma alla fine trionfale Non fu una corsa semplice, quella. Nonostante la pole position (in 9'59"8, unico a scendere sotto il muro dei 10 minuti), per Ascari la domenica &egrave; complicata: vorrebbe stare davanti ed imporre il suo ritmo, nella condizione che predilige, ed al primo giro le cose sembrano mettersi bene. Non ha fatto i conti per&ograve; con una gomma che si stacca, e ci vuole maestria e coraggio per portare la macchina ai box, nel vecchio 'Ring, su tre ruote: la sosta dura 4 minuti e la situazione si fa ardua, mentre davanti Farina, Fangio e Hawthorne lottano per la vittoria. A met&agrave; gara Ascari scambia la vettura con Villoresi (all'epoca si poteva), ma far&agrave; comunque poca strada, perch&eacute; al 15&deg; dei 18 giri previsti deve ritirarsi, con in pungo il punto del giro veloce. Tuttavia, basta e avanza: Farina, prima iridato della storia, vince il quinto e ultimo GP della carriera a 46 anni, 9 mesi e 3 giorni, mentre Ascari pu&ograve; festeggiare un titolo arrivato in virt&ugrave; della regola degli scarti (sono validi solo i quattro migliori risultati dell'anno) nonostante manchino ancora due tappe alla conclusione del mondiale. Ascari &egrave; il primo pilota della categoria a portare a casa un bis mondiale, in una corsa resa immortale, oltre dall'ultimo titolo di un pilota italiano, dalle 34 vetture al via: nessun gran premio ha mai avuto un numero di partenti cos&igrave; elevato. Tale padre, tale figlio Era un figlio d'arte, Alberto. Era un figlio d'arte che aveva dovuto dire addio troppo presto al suo pap&agrave;, Antonio, scomparso quando lui aveva compiuto da pochi giorni 7 anni. Un pap&agrave; che, conscio dei rischi del mestiere, non aveva mai voluto essere troppo tenero con i suoi figli: "Faccio un mestiere troppo rischioso, non voglio che soffrano troppo nel caso me ne dovessi andare presto". Una triste profezia che si avver&ograve;, senza distogliere comunque Alberto da quella che sarebbe stata la sua vera passione, le corse: "Io obbedisco soltanto a una passione. Le corse. Senza non saprei vivere". E in nome di questa passione, avrebbe scelto di seguire le orme del padre. Perdendo la vita, proprio come lui, in macchina, in circostanze mai chiarite, a Monza, durante un test improvvisato. Ma questa &egrave; un'altra storia.       

Esattamente 70 anni fa, il 2 agosto 1953, Ascari portava a casa il secondo alloro iridato della carriera: ad oggi, &egrave; l'ultimo italiano ad aver vinto il titolo in F1, nonch&eacute; l'unico ad averlo fatto con la Ferrari

GP Germania 1953: Ascari e la Ferrari campioni del mondo

Sui suoi profili social ufficiali il Cavallino ha voluto celebrare i 70 anni dal primo Campionato del Mondo di Formula 1 vinto da un pilota Ferrari, Alberto Ascari. Ecco il video emozionante

La Ferrari ricorda Alberto Ascari: il video è da brividi

Da oggi Alberto Ascari ha il suo monumento. E lo avr&agrave; nella sua citt&agrave; natale, Milano, dove &egrave; stato inaugurato il nuovo monumento, donato dall&#39;Automobile Club Milano, che porta il nome del pilota. L&#39;inaugurazione era parte delle iniziative del Milano Monza Open-Air Show 2021.&nbsp; L&#39;opera ha una forma ellittica ed ascensionale che allude a una curva sulla quale &egrave; rappresentata la Ferrari del Campione del Mondo di Formula 1 nel 1952 e 1953.  Calendario F1, Austin-bis per sostituire Singapore?   Chi era Alberto Ascari  Ascari &egrave; stato uno dei due campioni del mondo italiani in Formula 1, il secondo ed ultimo dopo Nino Farina, il quale si impose nel 1950. Il milanese fece suoi il campionato 1952 e 1953 a bordo della Ferrari, correndo anche con Maserati e Lancia per un totale di 32 GP disputati, 13 vittorie, 17 podi, 14 pole position, 12 giri veloci e 140 punti raccolti. Figlio di Antonio Ascari, grande pilota degli anni &#39;20, come il padre trov&ograve; la morte a bordo di una vettura da competizione, mentre testava una Ferrari 750 Sport sul circuito di Monza.  Buon compleanno Jean Alesi!   Le parole delle istituzioni  All&#39;evento erano presenti il sindaco di Milano Giuseppe Sala ed il presidente dell&#39;Automobile Club Milano Geronimo La Russa. &quot;Occasioni come il MiMo 2021 sono momenti per ripensare il mondo dell&#39;auto e della mobilit&agrave; &ndash; ha commentato Sala &ndash;, la citt&agrave; sente il bisogno di guidare il cambiamento nella mobilit&agrave; urbana&quot;. Parole cui sono seguite quelle di Andrea Levy, presidente del Milano Monza Open-Air Show: &quot; L&#39;omaggio del monumento ad Ascari d&agrave; il via al secondo giorno dell&#39;evento, per una giornata che rende protagonisti i giornalisti unendo Milano e Monza, le citt&agrave; del motorismo&quot;.&nbsp;  L&#39;Aston Martin scopre i debrief di Vettel 

L&#39;Automobile Club di Milano ha donato alla citt&agrave; un monumento dedicato al due volte campione del mondo, ed &egrave; stato mostrato oggi nella piazza che porta il nome del pilota

Milano, svelato il monumento dedicato ad Alberto Ascari

Il monumento, inaugurato in largo Ascari In occasione del Milano Monza Motor Show, &egrave; stato svelato e inaugurato Ii monumento al grande pilota Alberto Ascari, nato proprio nel capoluogo lombardo nel 1918 e che perse la vita a Monza il 26 maggio 1955 durante un giro di prova a bordo di una Ferrari 750 Sport. .Alla cerimonia hanno partecipato il sindaco di Milano Giuseppe Sala, il presidente di AC Milano Geronimo La Russa, Veronica e Selvaggia Ascari, rispettivamente nipote e pronipote di Alberto. Ecco le foto

Milano, inaugurato il monumento ad Alberto Ascari 

        E' uno dei due campioni del mondo italiani insieme a Nino Farina, &egrave; l'ultimo ad esserci riuscito. Dopo di lui, aspettiamo ancora un pilota tricolore campione del mondo in F1. Alberto Ascari se ne andava 65 anni fa, in circostanze mai del tutto chiarite. Era il 26 maggio 1955. Cuore da corsa: Cosworth, la F1 inespressa Come pap&agrave; Ascari era un pilota formidabile, figlio di Antonio, anche lui pilota, anche lui morto nel mentre stava compiendo il suo mestiere. Diverse per&ograve; le circostanze: pap&agrave; Antonio stava disputando il Gp di Francia quando quel 26 luglio 1925 trov&ograve; la morte mentre si trovava al comando. La scomparsa di Alberto invece, oltre che la fatalit&agrave; delle competizioni, porta con s&eacute; anche quella del destino: "Ciccio" era scampato pochi giorni prima ad un incidente al Gp di Monaco, quando era finito in mare. Dopo quattro giorni Alberto &egrave; gi&agrave; a casa e gli amici Luigi Villoresi ed Eugenio Castellotti lo invitano a Monza (Ascari &egrave; di Milano) per vedere i loro test con la Ferrari 750. Alberto non ci pensa un attimo e va. Alla fine delle prove mattutine, non resiste: ha voglia di scendere in pista, di compiere qualche giro, la tentazione &egrave; forte. Purtroppo, glielo concedono. Ed accade l'irreparabile, in quella che poi verr&agrave; chiamata, appunto, curva Ascari. Segni di gomma sull'asfalto, inspiegabile. Nessun testimone. C'&egrave; chi dice che qualcosa sia improvvisamente passato davanti ad Ascari. Un animale, una persona forse, un commissario di pista convinto che nell'ora di pranzo nessuno tornasse in pista. Sbandata e cappottamento, pilota morto sul colpo.  Monza diventa un cinema drive-in Gran pilota ma padre severo A 37 anni da compiere, stessa et&agrave; del pap&agrave;, Ascari lasci&ograve; una carriera che lo aveva coronato gi&agrave; due volte campione del mondo con la Ferrari, nel 1952 e 1953, i primi due titoli per il Cavallino Rampante e per Enzo Ferrari, l'uomo che conosceva anche suo padre. Oltre ai due allori iridati, 13 Gp vinti, affermazione alla 1000 Km del Nurburgring del 1953 ed alla Mille Miglia del 1954. Questo il palmar&egrave;s eccellente di un pilota che avrebbe sicuramente riempito ancora la sua bacheca se quell'incidente non avesse messo fine alla vita di un pilota tanto generoso in pista quanto austero nella vita di tutti i giorni. Era un padre spesso duro, ma non per cattiveria. Era una sorta di protezione, indiretta, ai suoi figli. Motivata con questa struggente confessione ad Enzo Ferrari: "Ogni volta che rientro da una corsa, porto loro tutto quello che penso possa farli contenti, in genere io cerco di soddisfarli in tutti i loro desideri, i loro bisogni, anche i loro capricci; ma quanto a me, preferisco trattarli con durezza: non voglio che mi amino troppo. Un giorno o l'altro potrei andarmene. Soffriranno di meno, se non me li sar&ograve; lasciati venire troppo vicini". Johnson vuole salvare Silverstone       

Era il 26 maggio 1955 quando Alberto Ascari trovava la morte sulla pista di Monza, in circostanze mai del tutto chiarite

Alberto Ascari, 65 anni dopo

A 65 anni dalla morte del grandissimo Alberto Ascari, abbiamo voluto celebrare la sua leggenda con alcune delle foto più belle della sua carriera

Alberto Ascari, il mito FOTO

Con la vittoria di Abu Dhabi, Sebastian Vettel ha gi&agrave; eguagliato uno dei record cui ambiva quest'anno: 7 vittorie consecutive. Vincendo ininterrottamente dal Gp Belgio al Gp Abu Dhabi, ha ottenuto sette successi di seguito in una stagione, esattamente come il suo idolo Michael Schumacher che vinse 7 gran premi consecutivi nel 2004 con la Ferrari (in quel caso dal Gp Europa a maggio al Gp Ungheria ad agosto). Se vincesse anche ad Austin, prossimo Gp, Vettel batterebbe quel record.  Ma in realt&agrave; il primato di vittorie consecutive va ancora pi&ugrave; lontano nel tempo: appartiene ad Alberto Ascari che nel biennio 1952/53 (allora i calendari erano mica di 19 gare come oggi, ma meno della met&agrave;) vinse 9 gran premi consecutivi: gli ultimi 6 del 1952, il primo del 1953 in Argentina e poi i successivi due in Olanda e Belgio. In mezzo fra i tre c'era in realt&agrave; la 500 Miglia di Indianapolis, che a quell'epoca era inserita nel calendario mondiale F.1 ma per&ograve; veniva disputata solo dai piloti americani, non da quelli di F.1, e perci&ograve; non viene considerata dagli studiosi di statistica facente parte effettiva della striscia di corse di Formula 1.  Comunque se Vettel vince anche ad Austin batte le 7 vittorie di Schumacher e se vince pure a San Paolo eguaglia i 9 trionfi consecutivi di Ascari; poi pu&ograve; sempre puntare a fare dieci vincendo il primo Gp 2014 dell'era turbo in Australia&hellip; E qualcuno ancora dice che deve dimostrare di essere un campione completo?  Alberto Sabbatini  

7 trionfi consecutivi. Ma il top di tutti i tempi resta ancora Alberto Ascari

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