L&#39;ex pilota di Formula 1 Wilson Fittipaldi &egrave; morto questa notte all&#39;et&agrave; di 80 anni all&#39;ospedale Prevent Senior, nel sud di San Paolo in Brasile. Fittipaldi era ricoverato in ospedale dal 25 dicembre scorso, quando era rimasto soffocato da un pezzo di carne, era andato in arresto cardiaco ed era stato rianimato, ma i danni celebrali per la carenza di ossigeno sono stati a lungo andare fatali. A riportare la tragica scomparsa sono proprio i media locali brasiliani.  Una famiglia di campioni  Il pilota, fratello maggiore del due volte campione del mondo Emerson Fittipaldi ha disputato 38 Gran Premi, ottenendo il suo miglior risultato nel GP di Germania nel 1973, quando fu settimo. Dopo due anni con la Brabham, assieme al fratello fond&ograve; la prima, e ancora oggi unica, scuderia di F1 sudamericana made in Brasile, la Copersucar Fittipaldi con cui corse nel 1975 e port&ograve; avanti il sogno di una vittoria tutta gialloverde per team e pilota nel Circus. Dopo aver lasciato la F1 per cinque stagioni si dedic&ograve; alle gare di Stock Car. Anche suo figlio Christian Fittipaldi &egrave; stato pilota di F1, negli anni &#39;90 con la Minardi. Ora tocca ai pronipoti Enzo (gi&agrave; in Ferrari e Red Bull Academy)e Pietro (attualmente terzo pilota Haas) Fittipaldi, figli di , portare avanti la tradizione corsaiola del DNA di famiglia in Formula 1 e non solo.&nbsp;  &nbsp; 

Il fratello del due volte campione del mondo Emerson, &egrave; morto in ospedale a San Paolo in Brasile

Addio a Wilson Fittipaldi: l&#39;ex pilota di F1 aveva 80 anni

        Ci ha lasciato Alberto Antonini, storica colonna di Autosprint e del giornalismo sportivo italiano e della Formula 1. Il responsabile della comunicazione Ferrari dal 2014 al 2019 &egrave; morto questa sera all'Ematologia Seragnoli del Policlinico Sant'Orsola di Bologna a 62 anni. Nato a Imola, fu portavoce della scuderia di Maranello durante l'era da team principal della Rossa di Maurizio Arrivabene. L'ultimo saluto di Arrivabene "Alberto,Uomo educato e per bene, un professionista preparato di grande umilt&agrave; e umanit&agrave; (doti non comuni oggi dove tutti si sentono fenomeni), ma soprattutto un caro amico, gli volevo bene.Un abbraccio,Maurizio" Questo l'ultimo pensiero che l'ex team principal Ferrari affida in esclusiva ad Autosprint per ricordare un uomo, un giornalista, un amico che sar&agrave; sempre nei cuori di chi vive, racconta e ama il motosport. Alla moglie Barbara vanno le pi&ugrave; sentite condoglianze da parte del direttore Andrea Cordovani e di tutta la redazione di Autosprint.        

&Egrave; morto a Bologna lo storico giornalista di Autosprint, portavoce della Scuderia Ferrari della gestione Arrivabene

Addio ad Alberto Antonini: il ricordo di Maurizio Arrivabene

        Tragedia nel mondo del motorsport. Il pilota brasiliano Douglas Costa, 42 anni, e la fidanzata Mariana Giordano, 36 anni, lo scorso 8 giugno sono morti a distanza di quattro ore l'uno dall'altra a causa del morso di una zecca. I sintomi della malattia Douglas Costa stava partecipando all'AMG Cup Brasil, un evento dedicato alle GT Mercedes, quando ha accusato i primi sintomi (ebbre, dolore ed eruzioni cutanee rosse). In seguito al ricovero, all'ospedale Jundiai di San Paolo, &egrave; sopraggiunta la morte, nello stesso ospedale in cui gi&agrave; da due giorni era ricoverata la fidanzata Mariana Giordano, che accusava dei malori simili a una forte febbre. La coppia &egrave; stata colpita, si &egrave; poi scoperto, dalla febbre maculosa delle Montagne Rocciose, una malattia infettiva provocata proprio dal morso di una zecca. Costa muore a mezzogiorno, Mariana alle 16 "Domenica le &egrave; stata somministrata adrenalina ed &egrave; tornata a stare bene - ha dichiarato il fratello della ragazza deceduta -. Luned&igrave; &egrave; andata all'universit&agrave; per un corso che stava finendo. Di notte ha iniziato a sentirsi molto male ed &egrave; stata ricoverata in ospedale. Marted&igrave; l'hanno trasferita in terapia intensiva, &egrave; morta gioved&igrave;. Douglas &egrave; morto a mezzogiorno e lei &egrave; morta alle 16". A causare la malattia, probabilmente, &egrave; stato un batterio del genere Rickettsia, trasmesso dalle punture di zecca. LA MORTE BUSSA ALLE PORTE DELLO SHOW       

Il pilota brasiliano stava correndo l'AMG Cup, evento targato Mercedes. Trasportato in ospedale, &egrave; deceduto quattro ore prima della sua compagna Mariana Giordano

Tragedia in Brasile: Douglas Costa e fidanzata muoiono dopo il morso di una zecca

Il mondo intero piange la prematura scomparsa di Ken Block, il pilota di rally diventato famosissimo per le sue folli acrobazie ad altissimo tasso di adrenalina su qualunque mezzo avesse delle ruote. E proprio l&rsquo;ultimo incidente a bordo di una motoslitta, tra le nevi dello Utah, gli &egrave; stato fatale. Il campione statunitense se ne vada 55 anni, lasciando la moglie e tre figli

Addio a Ken Block, il Re dei traversi

Trentaquattro anni fa, il 14 agosto, si spegneva Enzo Ferrari. Era il 1988, una domenica, e il giorno dopo il funerale del Drake fu celebrato in gran segreto. La morte del commendatore prese tutti in contropiede. Raccontava il suo ex autista Dino Tagliazucchi tornando a quell&rsquo;estate triste: &quot;Il giorno del suo funerale a Ferragosto del 1988 a San Cataldo nel cimitero di Modena eravamo presenti in pochi. Oltre al figlio Piero e alla sua famiglia, il ragionier Benzi, il suo amministratore personale, Olmi, Scaglietti, Gozzi, la guardia del corpo Valentini, i vecchi capomeccanici Bellentani e Borsari, l&rsquo;ingegner Forghieri e Marco Piccinini. Fu fatto tutto in gran segreto con alcuni depistaggi: la sua volont&agrave; era quella di non voler confusione&quot;.   &quot;Ci freg&ograve; a tutti andandosene via a Ferragosto, quando i giornali non uscivano. Richiamai la redazione dalle ferie: in un lampo venne preparata un&rsquo;edizione straordinaria&quot;, ha raccontato Carlo Cavicchi. Nell&rsquo;editoriale l&rsquo;allora direttore di Autosprint scriveva: &quot;&Egrave; successo di ferragosto, quando tutti sono in vacanza e l&rsquo;indomani nemmeno escono i giornali. Enzo Ferrari voleva essere lasciato in pace, non voleva gente di troppo al suo funerale. Aveva chiesto che non lo sapesse nessuno, stanco di una vita ritmata dalle telefonate curiose. dagli appostamenti, dalle interrogazioni. Questa volta &egrave; riuscito nel suo intento. Ci ha lasciato di mattina presto, domenica scorsa, quando ancora tre quarti del Paese aspettavano di godersi la festa con la faccia triste da italiano allegro. Se n&rsquo;&egrave; andato al camposanto al mattino di buon&rsquo;ora, questa volta di luned&igrave;, proprio il giorno di vacanza per eccellenza. Un fine settimana ideale per uno come lui: non c&rsquo;erano corse da seguire, tecnici da ascoltare, decisioni importanti da valutare&hellip; Da mesi, purtroppo, eravamo tutti in allarme per le sue condizioni di salute, ben pi&ugrave; serie di quanto i suoi uomini si ostinassero a raccontarci. Per&ograve;, ci faceva piacere l&rsquo;idea di considerare Ferrari quasi immortale. Novant&rsquo;anni non sono pochi ma c&rsquo;&egrave; chi ha vissuto ben di pi&ugrave; e perch&eacute; mai non avrebbe dovuto farcela proprio lui? Invece non &egrave; successo e la disgrazia pi&ugrave; grossa che mai potesse capitare al mondo dell&rsquo;automobile si &egrave; verificata. Il giorno pi&ugrave; temuto &egrave; arrivato&hellip; Addio Drake. Dopo Nuvolari, ultimo eroe di un tempo passato, dopo Villeneuve, ultimo eroe dei tempi moderni, ecco che adesso se n&rsquo;&egrave; andato anche il mito. Quello che rimane &egrave; solo il contorno, probabilmente tutto quello che Re Enzo aveva sempre detestato e, fin che aveva potuto, anche rifiutato&hellip; Ce lo dovevamo aspettare eppure tutto &egrave; successo cos&igrave; in fretta. Era un domenica del tutto tranquilla. Non c&rsquo;erano corse in giro per il mondo. Non c&rsquo;era nulla di cui temere e per di pi&ugrave; a Maranello ci si preparava per la grande festa annuale in occasione dell&rsquo;Assunzione. Vuoi mica che Ferrari&hellip; E invece s&igrave;&quot;.   

Era il 14 agosto 1988, una domenica, e il giorno dopo il funerale del Drake fu celebrato in gran segreto. La morte del commendatore prese tutti in contropiede...

L&#39;editoriale del Direttore: Ricordando Enzo Ferrari

        La Formula 1 piange Nathalie Mailler, direttrice e CEO del circuito di Spa Francorchamps. Una tragedia terribile quella che ha travolto tutto il Belgio e tutto il motorsport. La donna e una sua amica sono state trovate morte in casa, a Gouvy in Lussemburgo. Secondo gli inquirenti si tratta di un omicidio-suicidio a opera del marito di Nathalie, fondatore della corsa VW Fun Cup.&nbsp; "A mezzanotte e dieci minuti nella notte tra sabato e domenica la polizia ha rinvenuto i corpi di due donne un uomo in un&rsquo;abitazione a Gouvy - si legge nel comunicato diramato dalla procura belga -. Tutti e tre presentavano ferite da arma da fuoco. Secondo le indagini, l'individuo maschio avrebbe usato volontariamente la sua arma da fuoco per uccidere entrambe le donne, compresa la moglie, prima di uccidersi". Addio allla vera leader di Spa-Francorchamps A confermare la disgrazia sono state le note ufficiali pubblicate oggi sul sito del tracciato di Spa-Francorchamps e della FIA. "In questo giorno cos&igrave; triste, tutto lo staff di Spa-Francorchamps desidera presentare le pi&ugrave; sincere condoglianze alla famiglia e agli amici di Nathalie. Il circuito, ma anche l'automobilismo, oggi ha perso una donna appassionata, forte delle sue convinzioni e sempre rivolta al futuro". Al cordoglio si &egrave; aggiunto anche il ricordo del presidente del circuito, Melchior Wathalet: "&Egrave; stata una vera leader e ci mancher&agrave; molto. I miei pensieri sono con la famiglia di Nathalie, i suoi genitori e i suoi cari. Oggi perdiamo una donna molto rispettata, una vera leader che ci mancher&agrave; molto. Nathalie era diventata il volto del tracciato di Spa-Francorchamps. Incarnava la passione per le corse che tutti noi condividiamo". "La FIA &egrave; addolorata nell&rsquo;apprendere la tragica morte di Nathalie Maillet. Nathalie era l&rsquo;amministratore delegato del Circuito di Spa Francorchamps dal 2016, periodo durante il quale ha supervisionato il grande sviluppo dell&rsquo;iconica pista che ospita tantissimi campionati FIA. A nome di tutta la comunit&agrave; del motorsport, vogliamo rivolgere le nostre condoglianze alla sua famiglia e ai suoi amici", si legge nel comunicato ufficiale FIA.       

Tragedia in Belgio, la Formula 1 piange la direttrice del tracciato di Francorchamps, trovata in casa senza vita insieme ad un'amica: l'uomo dopo averle uccise si &egrave; suicidato

Tragedia a Spa, il CEO del circuito Nathalie Maillet uccisa dal marito

Addio a Lole, addio al vicecampione del mondo di Formula 1 nel 1981 che sfior&ograve; il titolo che poi vinse Nelson Piquet. Il motorsport piange Carlos Reutemann, ex pilota Ferrari, Brabham, Lotus e Williams che se ne va a 79 anni. A dare il triste annuncio &egrave; la figlia Cora su Twitter che conferma purtroppo l&#39;aggravarsi delle condizioni di salute dell&#39;argentino.  &ldquo;Pap&agrave; se n&rsquo;&egrave; andato in pace e con dignit&agrave; dopo aver combattuto come un campione con un cuore nobile e forte che &egrave; lo ha accompagnato fino alla fine. Sono orgogliosa e benedetta per il padre che ho avuto. So che sar&agrave; con me tutti i giorni della mia vita fino a quando ci incontreremo di nuovo nella casa del Signore&rdquo;, si legge nel tweet.   Pap&aacute; se fue en paz y dignidad despu&eacute;s de luchar como un campe&oacute;n con un coraz&oacute;n noble y fuerte que lo acompa&ntilde;&oacute; hasta el final. Siento orgullo y bendici&oacute;n por el padre que tuve. S&eacute; que me acompa&ntilde;ar&aacute; todos los d&iacute;as de mi vida hasta que nos volvamos a encontrar en la casa del Se&ntilde;or pic.twitter.com/84wo3WgfTg &mdash; Cora Reutemann (@CoraReutemann) July 7, 2021    Addio a un grande pilota  Reutemann dal 2017 combatteva contro un tumore al fegato e a maggio scorso era stato ricoverato in ospedale per un&#39;emorragia intestinale. Le sue condizioni purtroppo sono peggiorate nella giornata di ieri, tanto che era stato trasferito in terapia intesiva, nella sua Santa Fe.  Nella sua carriera decennale in Formula 1 ha collezionato 146 Gran Premi tra gli anni 70 e i primi anni 80, vincendo 12 gare e conquistando sei pole position. Con la Casa di Maranello ha conquistato due GP di Interlagos consecutivi nel 1977 e nel 1978, oltre ai due GP degli Usa e quelli di Gran Bretagna a Brands Hatch. &nbsp;   

Il pilota argentino, ex Ferrari, Brabham, Lotus e Williams &egrave; scomparso all&#39;et&agrave; di 79 anni a Santa Fe, per complicazioni dovute ad un&#39;emorragia intestinale&nbsp;

La F1 piange la morte di Carlos Reutemann

Calcio e Formula 1: due mondi così simili e così diversi di vivere lo sport, ognuno con la sua leggenda e con i propri miti. Ma di fronte alla scomparsa del Dio del pallone il Circus s'inchina e applaude Diego Armando Maradona. Da Hamilton a Leclerc fino a Jean Todt e Giovinazzi: l'amore per il Pibe de Oro unisce tutti. Ecco l'omaggio dei piloti della Formula 1

Morte Maradona: i messaggi d'addio dei piloti di F1

Era il 17 luglio del 2015 quando Jules Bianchi a soli 25 anni perdeva la sua corsa pi&ugrave; importante: quella con la vita. Un talento in Formula 1, un piccolo campione di kart e una promessa della Ferrari Driver Academy, con un futuro da grande pilota delle monoposto nella scuderia del Cavallino. &nbsp;  &Egrave; l&#39;epilogo pi&ugrave; triste di una tragedia che ritorna a ricordare tutta la sua gravit&agrave;, con le parole di un padre, Philippe Bianchi, che 4 anni fa come oggi maledice un Gran Premio disputato in condizioni meteorologiche al limite.  Adieu Bianchi: il ricordo    Ma l&#39;incidente sulla pista di Suzuka, durante il GP del Giappone del 5 ottobre 2014, spezza&nbsp;i sogni di un ragazzo - nipote del pilota&nbsp;Lucien Bianchi&nbsp;morto nel 1969 durante le prove a&nbsp;circuito di Le Mans -&nbsp;sempre col sorriso sul volto. La pioggia incessante sul circuito, la visibilit&agrave; limitata e una gru maledetta, che stava rimuovendo la monoposto di Adrian Sutil&nbsp;finito fuori pista, e&nbsp;che molto probabilmente non doveva riamanere&nbsp;l&igrave;.  Bianchi: una carriera brillante, stroncata  Bianchi al 43&deg; giro perde il controllo della sua MR03 e ci finisce contro, la prende&nbsp;in pieno e cade in un lungo coma di 9 mesi, dal quale non si risveglier&agrave; pi&ugrave;. Dopo il tragico incidente la FIA decide di ritirare il&nbsp;numero&nbsp;17, dalla lista dei numeri del mondiale F1, e Nizza, la sua citt&agrave; natale, gli intitola una strada, che oggi &egrave; meta di pellegrinaggio per i tanti appassionati del motorsport. E nonostante il tempo passato, il suo ricordo continua a vivere nel cuore degli appasionati e di tutti quelli che&nbsp;si sono emozionati almeno una volta vedendo Jules sorridere al&nbsp;volante.  Bianchi, quell&rsquo;abbraccio che rester&agrave;  &nbsp;   Never forgotten. Always in our hearts.#JB17 #ForzaJules pic.twitter.com/PVp3ZcvXtt &mdash; Formula 1 (@F1) 17 luglio 2019   &nbsp; 

Un sorriso e un ricordo che rimangono nonostante il tempo che passa. Era il 17 luglio del 2015 quando dopo 9 mesi di coma dall&#39;incidente del GP del Giappone, moriva Jules Bianchi: giovane pilota dal futuro in Ferrari

Jules Bianchi, quattro anni e un ricordo sempre vivo

Era il 17 luglio del 2015&nbsp;quando Jules Bianchi a soli 25 anni perdeva la vita a seguito delle conseguenze di uno scontro con una gru, durante il GP del Giappone del 5 ottobre 2014. La corsa disperata in ospedale&nbsp;di&nbsp;Yokkaichi, l&#39;intervento per ridurre un ematoma al cervello, le sue condizioni critiche e i 9 mesi di coma e quel dolore rimangono indimenticabili nei cuori degli appassionati e dei piloti della Formula 1&nbsp;

Jules Bianchi, il ricordo del pilota a quattro anni dalla sua morte

Il commesso addio a Jules Bianchi si &egrave; svolto ieri mattina alla chiesa Sainte Reparate di Nizza. A rendere l&rsquo;ultimo omaggio allo sfortunato pilota francese deceduto venerd&igrave; 17 luglio c&rsquo;erano tutti i suoi colleghi di F1. Fra loro Lewis Hamilton, Rosberg, Vettel, Massa, Grosjean, Maldonado, Gutierrez. E poi tanti colleghi di Bianchi che hanno condiviso battaglie in pista negli anni passati, in karting, in F.3 e in Gp2 prima del suo arrivo alla F.1. Presenti anche lo staff attuale della Ferrari, con il team principal Maurizio Arrivabene in prima fila, e anche Domenicali che era stato quattro anni fa l&rsquo;artefice dell&rsquo;ingresso di Bianchi nella Ferrari Driving Academy. E anche il presidente della Fia, Jean Todt e suo figlio Nicolas Todt, che era il manager di Bianchi fin dall&rsquo;inizio della carriera di Jules.    Tra i pi&ugrave; commossi Jean Eric Vergne, il francese ex Toro Rosso e attualmente in forza alla Ferrari dove si occupa del simulatore, che era amico fraterno di Bianchi. Fu Vergne a realizzare gli adesivi per i caschi dei suoi colleghi con la scritta "TousavecJules#17&rdquo; (tutti con Jules) che i piloti hanno sfoggiato negli ultimi Gran premi del 2014.  Al termine della cerimonia funebre sono state suonate due canzoni che erano colletto care a Jules Bianchi: &ldquo;Hotel California&rdquo; degli Eagles e &ldquo;La notte&rdquo; di Arisa, che testimonia l&rsquo;attaccamento del pilota francese all&rsquo;Italia. A parte l&rsquo;esperienza in Ferrari, la famiglia Bianchi &egrave; di origine italiane: il nonno paterno di Jules, Mauro, e il pro-zio Luciano, erano milanesi trasferiti in Francia nel dopoguerra. Entrambi erano stati piloti e Luciano, che francesizz&ograve; il suo nome in Lucien, corse alcuni Gp di F.1 &nbsp;nei primi Anni &rsquo;60, vinse una 24 Ore di Le Mans con Rodriguez nel 1968 e perse la vita sempre a Le Mans nei test della 24 Ore l&rsquo;anno successivo con una Alfa Romeo 33.

Le esequie si sono svolte ieri a Nizza. C&rsquo;erano Vettel, Hamilton, Rosberg, Massa e Vergne amico fraterno di Jules

Tutta la F1 al funerale di Bianchi

Tutta la F1 al funerale di Bianchi, le immagini

Marted&igrave; 21 luglio. Sar&agrave; questa la data per dare l&rsquo;ultimo saluto a Jules Bianchi, a Nizza, alle ore 10:00 nella cattedrale di Sainte Reparate. Intanto, continuano le parole di cordoglio di tutti i personaggio del mondo della Formula 1, mescolate a valutazioni che tornano prepotentemente d&rsquo;attualit&agrave; nove mesi dopo Suzuka. Una commissione d&rsquo;indagine ha analizzato gli eventi che hanno portato all&rsquo;incidente, fornendo giustificazioni non sufficienti alla famiglia Bianchi.  La storia non si fa con i &ldquo;se&rdquo; e i &ldquo;ma&rdquo;, tuttavia, la tragedia di Suzuka ha riportato davanti alla cruda realt&agrave; dell&rsquo;esistenza di un rischio di fondo, insito nella Formula 1. &laquo;E&rsquo; stato fatto molto per la sicurezza, non abbiamo avuto un incidente mortale in Formula 1 per 21 anni, significa aver fatto tanto lavoro. Ma come in ogni cosa, c&rsquo;&egrave; sempre ancora un po&rsquo; da fare&raquo;, ha commentato Alain Prost.  Il quattro volte iridato ha voluto ribadire la sua visione sulla gestione delle fasi finali di gara a Suzuka, sebbene in contrapposizione con l&rsquo;inchiesta, giunta alla conclusione che una molteplicit&agrave; di fattori imprevedibili siano stati alla base dell&rsquo;incidente, originato dal mancato rallentamento di Jules Bianchi nel settore con doppie bandiere gialle. &laquo;Ho detto quel che pensavo allora e non intendo cambiare idea oggi, anche se ci sono state delle inchieste, molte riunioni e discussioni. Penso ci sia stato un piccolo errore di valutazione, costato molto caro. C&rsquo;era stato un incidente (quello di Adrian Sutil; ndr), pioggia battente e una pessima visibilit&agrave;. Sarebbe dovuta entrare una safety car per rallentare la corsa prima dell&rsquo;ingresso del mezzo di recupero in pista: quello &egrave; stato l&rsquo;errore di valutazione.  L&rsquo;inchiesta ha svelato qualcosa di diverso, il che &egrave; un po&rsquo; scandaloso, pur conoscendo tutte le persone che vi hanno lavorato e le stimi. L&rsquo;unica cosa che ancora doveva essere fatta sul piano della sicurezza, riguardava i mezzi di recupero che entrano in pista&raquo;, spiega Prost.  Purtroppo, si &egrave; intervenuti al richiamo pi&ugrave; tragico. Anche le parole di Bernie Ecclestone nelle ultime ore vanno a ripercorrere cos&rsquo;&egrave; andato storto il 5 ottobre 2014: &laquo;Quel mezzo che ha colpito non sarebbe dovuto essere l&igrave;. Se non ci fosse stato, avrebbe colpito le barriere, come l&rsquo;altro pilota uscito di pista&raquo;. Ecco, &ldquo;se&rdquo;: qualcosa non sufficiente a confortare i familiari di Jules.  &laquo;Oggi la Formula 1 &egrave; sicura, le macchine sono super sicure, i circuiti sicuri, tutto va bene, come ho detto non sarebbe accaduto nulla senza quel mezzo l&igrave;. Abbiamo reso la Formula 1 la pi&ugrave; sicura possibile ma ovviamente questi ragazzi guidano al massimo&hellip;&raquo;. Una sicurezza, come dire, relativa. Infine, un pensiero anche alle ripercussioni che psicologicamente potranno vivere i piloti, impegnati domenica in Ungheria: &laquo;Tutti sanno che esiste un pericolo, col quale convivono. Quando accadono certe cose, tu pensi sempre che non possano capitarti, perci&ograve; non credo che far&agrave; alcuna differenza sui piloti&raquo;, ha dichiarato a Sky Sports.  Fabiano Polimeni

Passi avanti enormi sulla sicurezza non eliminano un rischio di fondo che &egrave; parte stessa delle corse 

Bianchi: Prost-Ecclestone sui rischi F1

Si &egrave; conclusa nel modo peggiore la battaglia che Jules Bianchi ha condotto dal giorno del suo incidente a Suzuka circa 9 mesi fa, cio&egrave; lo scorso 5 ottobre, nel corso del GP F1 del Giappone. La famiglia ha dato notizia questa notte del suo decesso, avvenuto venerd&igrave; sera presso l'ospedale dell'Universit&agrave; di Nizza dove era ricoverato in coma. &laquo;Jules ha combattuto fino alla fine, come ha sempre fatto, ma ieri la sua battaglia si &egrave; conclusa&raquo;, hanno dichiarato i genitori Christine e Philippe, con il fratello Tom e la sorella Melanie.  &laquo;La nostra &egrave; una pena immensa e indescrivibile. - ha proseguito la famiglia Bianchi - Ringraziamo il personale medico dell'Ospedale dell'Universit&agrave; di Nizza, che lo ha trattato con amore e dedizione. Ringraziamo anche il personale del Mie General Medical Center in Giappone, che ha preso in cura Jules subito dopo l'incidente, cos&igrave; come tutti gli altri medici coinvolti nella lotta portata avanti negli ultimi mesi&raquo;.  &laquo;Vogliamo inoltre ringraziare i colleghi di Jules, i suoi amici, i suoi sostenitori e tutti coloro che hanno dimostrato il loro affetto in questo periodo. Ci hanno dato la forza per resistere in questi momenti terribili. Ascoltare e leggere i loro numerosi messaggi ci ha mostrato come Jules avesse suscitato un profondo affetto in cos&igrave; tante persone in tutto il mondo&raquo;.  &laquo;Ora vi chiediamo di rispettare la nostra privacy in questo momento molto difficile, in cui cerchiamo di affrontare la perdita di Jules&raquo;, ha concluso la famiglia del 25enne pilota francese. La redazione di Autosprint si unisce al dolore della famiglia Bianchi e al cordoglio di quanti sono vicini.

La triste notizia comunicata dalla famiglia, che conferma la dipartita del pilota francese ieri sera a Nizza 

Jules Bianchi ci ha lasciato

Una doppia emorragia cerebrale &egrave; stata fatale per Jean-Pierre Beltoise mentre si trovava in vacanza nei dintorni di Dakar (la citt&agrave; in Senegal, non il raid in corso proprio in questi giorni). All'et&agrave; di 76 anni, lascia la moglie Jacqueline (sorella di un altro pilota francese, Francois Cevert) e i figli Anthony e Julien.  Beltoise era stato uno dei protagonisti delle gare F1 e Sport negli anni '60-'70, contribuendo alla popolarit&agrave; delle serie in Francia. Dopo gare in moto e formule minori, in F1 corse per Matra e BRM e vinse a Montecarlo nel 1972. Ben pi&ugrave; numerosi i successi fra i prototipi: con questi si annoverano le 1000 km del N&uuml;rburgring, di Brands Hatch e di Buenos Aires, oltre a una 6 Ore di Watkins Glen.  In questa categoria fu per&ograve; anche la causa dell'incidente in cui perse la vita Ignazio Giunti nel '71, quando nella gara in Argentina tampon&ograve; violentemente la vettura che Beltoise stava spingendo verso i box perch&eacute; rimasto senza carburante. Una manovra non inusuale nelle gare Endurance di quegli anni, ma che in quel caso si risolse tragicamente: Beltoise venne comunque ritenuto responsabile e gli venne sospesa la licenza per un mese.  Maurizio Voltini      

Il campione francese degli anni '60-'70 si &egrave; spento all'et&agrave; di 76 anni

Ci ha lasciato Jean-Pierre Beltoise

Rally di Roma: ricordiamo Emanuele Garosci

Se n&rsquo;&egrave; andato in motocicletta, una delle sue passioni assieme alla F.1 e al windsurf. Andrea de Cesaris ha sempre vissuto una vita alla Vasco Rossi, al massimo, per godere appieno tutte le emozioni. Tragico destino il suo, di un ragazzo che amava la velocit&agrave;, che nella sua carriera ha sfidato la sorte con le F1 degli Anni &lsquo;80, quelle da mille cavalli dure e rudi che ti spaccavano le mani, ed &egrave; andato a morire a 55 anni in un banale, maledetto e comune incidente stradale.  Andrea lo conoscevo da tantissimi anni. L&rsquo;avevo incontrato la prima volta quando aveva 18 anni, correva ancora in kart, al mondiale della categoria a Parma, nel 1977. Era uno dei piloti della nazionale italiana: ragazzi che si sarebbero fatti le ossa in automobilismo: Roberto Ravaglia, Corrado Fabi, Felice Rovelli (che vinse quel mondiale e si ritir&ograve; dall&rsquo;attivit&agrave; agonistica) e poi c&rsquo;era lui: Andrea. Gi&agrave; allora aveva la grinta e l&rsquo;irriducibilit&agrave; che lo avrebbe caratterizzato in F1: guidava tutto cuore e aggressivit&agrave;. Fin&igrave; fuori pista in quel mondiale karting, perch&eacute; non voleva accontentarsi del quarto posto e con un sorpasso impossibile cerc&ograve; di salire in posizione da podio. Quella sarebbe stata la sua ultima gara di karting: due mesi dopo era gi&agrave; nella F3 inglese, a nemmeno 19 anni. Sempre appoggiato dalla Marlboro che aveva un rapporto privilegiato con lui, fu l&rsquo;unico italiano che corse per ben due volte con Ron Dennis che con Andrea condivideva lo sponsor: prima in F2 poi in F.1 con la McLaren nel 1981, al fianco di John Watson.    Ma il carattere irruento di Andrea mal si sposava con l&rsquo;atteggiamento pacato di Dennis e il legame non funzion&ograve;. I suoi tanti incidenti nelle formule minori in Inghilterra gli valsero il soprannome di &ldquo;De Crasheris&rdquo;, un po&rsquo; come James Hunt che era chiamato &ldquo;Hunt the shunt&rdquo; (lo schianto). Solo che Hunt era inglese e quel vizietto di andare sempre al limite e rompere spesso la macchina gli veniva perdonato e faceva un po&rsquo; glamour, Andrea invece era italiano e nel panorama anglosassone sempre un po&rsquo; ipocrita verso gli stranieri, lo stesso vizietto diventava una macchia per l&rsquo;immagine agonistica.  Ho conosciuto Andrea nei kart, l&rsquo;ho ritrovato anni dopo e abbiamo passato tanto tempo insieme all&rsquo;epoca della F1 a met&agrave; Anni &lsquo;80. Spensierato, divertente, estroso. Sembrava un gladiatore invincibile immune ai rischi di una F1 che all'epoca era ancora maledettamente pericolosa. Eppure una mattina, aspettando un aereo al bar di un aeroporto, mi confess&ograve; che mai e poi mai, quando avrebbe avuto un figlio, gli avrebbe permesso di fare il pilota. Troppo pericoloso. Strano detto da lui, che rischiava la vita e sembrava non avesse paura di niente.  Andrea amava la velocit&agrave;, il brivido, le emozioni. E soprattutto gli piaceva padroneggiare qualsiasi genere di veicolo. A motore o a vela. Mi insegn&ograve; lui ad andare in windsurf, durante una vacanza. E per farmi imparare meglio fece a modo suo: mi butt&ograve; subito via la deriva - a me principiante sulla tavola!. Quella non serve, disse. Fai come ho imparato io, devi sforzarti di controllare subito la tavola prendendo velocit&agrave;, senza altri aiuti. Finii in mare aperto e dovetti nuotare a lungo per tornare indietro. Ma lui era fatto cos&igrave;: tutto e subito al limite. Voleva migliorare la tecnica in windsurf e non si limit&ograve; a praticarlo spesso, no: and&ograve; a vivere alle Hawaii surfando con Robby Naish, il pi&ugrave; grande campione della storia del surf. E divenne un maestro della tavola a vela.    Uguale con le moto: lo appassionavano, si mise a correre in motocross, tanto che a un Motor Show di Bologna decise di sfidare in gara i migliori crossisti del mondo e i piloti di velocit&agrave; americani dell&rsquo;epoca a due ruote. Una pazzia. C&rsquo;erano gente tipo Bob Hannah, Rick Johnson, Freddie Spencer, Eddie Lawson. E i migliori crossisti italiani e... De Cesaris in mezzo a loro! Come decidere di giocare a calcio contro Messi e il Barcellona in una partita valida per gli europei. Ma Andrea in quella specialit&agrave; che non era sua ci mise grinta e fisico, e non sfigur&ograve; affatto. Era aiutato da un fisico eccezionale e da una determinazione irriducibile. Era il pilota e lo sportivo pi&ugrave; eclettico che avessi mai visto. L&rsquo;importante che come denominatore comune vi fosse la velocit&agrave;. Su due ruote, quattro o nella planata di una tavola da surf. Aveva una predisposizione naturale per la guida, un piede pesante incredibile e un coraggio (forse temerariet&agrave;) da vendere. Avesse fatto il pilota F1&nbsp;all'epoca di Fangio e Ascari&nbsp;avrebbe vinto tanto, ma forse non sarebbe sopravvissuto a quella F1.  Amava sdrammatizzare situazioni e pericoli. Una volta torn&ograve; con la tuta infangata e disse: "Che ho fatto? Me so' girato!". Si era cappottato su un terrapieno con la&nbsp;Ligier. Nella sua testa si era girato s&igrave;, ma la macchina aveva ruotato sull'asse longitudinale rovesciandosi, non era un&nbsp;semplice testa-coda sull'asse verticale!  Andrea ha corso ininterrottamente in F1 per 15 anni, dal 1980 quando esord&igrave; con l&rsquo;Alfa Romeo F1, fino al 1994, quando chiuse la carriera prima con la Jordan e poi con la Sauber-Mercedes. Ha guidato un po&rsquo; di tutto, ma sempre macchine di mezza classifica anche quando erano scuderie prestigiose: dalla Ligier, alla Minardi, alla Rial, alla Brabham, alla Dallara, alla Tyrrell. Finiva nelle squadre &ldquo;giuste&rdquo; sempre al momento sbagliato, ma non per sua cattiva scelta. Era un duro, uno tosto, s&rsquo;era fatto una grande esperienza perch&eacute; in carriera ha corso 208 gran premi F1, uno dei pi&ugrave; longevi di sempre; i team lo sapevano e ricorrevano a De Cesaris e alla sua capacit&agrave; di portare al limite anche macchine non competitive quando c&rsquo;era da tirar su una squadra dalle retrovie per mettersi in luce. Un po&rsquo; come quegli allenatori alla Carletto Mazzone chiamati a riportare su dalla serie B ex squadre blasonate ma a cui non viene mai affidata una squadra da scudetto.    Lo chiam&ograve; Minardi nel 1986 per svezzare l&rsquo;acerba Minardi con il turbo Motori Moderni di Chiti e Andrea alla prima gara quasi la port&ograve; in zona punti prima che il V6 cedesse. Lo volle Ecclestone per far correre la Brabham-Bmw nel 1987 e metterla in luce soltanto allo scopo di trovare un compratore per una squadra allo sbando perch&eacute; Bernie aveva ben altri interessi, e De Cesaris port&ograve; quella macchina - che era la &ldquo;sogliola&rdquo; fatale a De Angelis l&rsquo;anno prima - a un fantastico terzo posto a Spa.  Secondo Gordon Murray, storico ingegnere Brabham, era il pilota che aveva fatto pi&ugrave; giri in testa senza vincere un Gp.&nbsp;Ma lo diceva in forma di complimento, non in segno d'irriverenza.  Solo un paio di volte De Cesaris ha avuto davvero in carriera una monoposto per vincere: l&rsquo;Alfa Romeo 182 nel 1982 e forse la Jordan-Ford del 1991. Quella verde con cui debutt&ograve; anche Schumacher. E c&rsquo;&egrave; andato vicinissimo. Con l&rsquo;Alfa fece la pole a Long Beach 1982, due volte secondo nel 1983. Con la Jordan fu sfortunato ma avrebbe probabilmente vinto proprio il Gp del Belgio 1991 a Spa - quello dell&rsquo;esordio di Schumacher - se il suo V8 Ford non si fosse rotto nel finale di gara quando era secondo in rimonta. Pensate alle sliding doors della F1: se con la stessa Jordan con cui debutt&ograve; Schumi quel giorno in F1 Andrea fosse finito a podio, la prestazione del giovane Michael all&rsquo;esordio che tanto colp&igrave; gli esperti di F1 si sarebbe ridimensionata al paragone col risultato del compagno di squadra. Invece il destino ha voluto diversamente e ancora una volta Andrea rimase con le pive nel sacco.  Ma noi ricorderemo sempre Andrea come un vero racer, come dicono gli inglesi, un corridore, uno dal piede pesante come nessun altro. Uno che il piede destro dal gas non lo toglieva mai fino all&rsquo;ultimo. In fondo detiene ancora il platonico record di esser stato il primo a osare e riuscire a fare in pieno il terribile curvone di Signes al Castellet con una F1. Come racconta Cesare Mannucci nel bellissimo articolo che uscir&agrave; su Autosprint in ricordo di Andrea.  Alberto Sabbatini

La storia, le passioni sfrenate e l'ingiusto destino di un grande pilota come Andrea raccontate da chi lo ha conosciuto bene

Il ricordo di De Cesaris, una vita sempre al limite

Stroncata da una male incurabile, s'&egrave; spenta una leggenda: quella di Bjorn Waldegaard, il pi&ugrave; grande pilota svedese nella storia dei rally. A 71 anni scompare il primo pilota a vincere il campionato del mondo piloti rally nel 1979, una vera icona nella specialit&agrave;. Capace di imprese impossibili, Waldegaard conquist&ograve; il Mondiale con la Ford Escort Rs 1800.  Svedese dannatamente veloce, Bjorn ha corso anche per la Porsche e la Lancia. In carriera ha ottenuto 17 vittorie nel Mondiale. Quattro volte vincitore del Safari, Waldegaard &egrave; stato una vera stella del mondiale. Nel 2011 ha ottenuto il suo ultimo successo all'East African Safari Classic. La sua ultima apparizione pubblica quest'anno &egrave; stata al Festival della Velocit&agrave; di Goodwood al volante di una Toyota turbo.  

Lo svedese vinse il primo mondiale rally, nel 1979, e ci lascia all'et&agrave; di 71 anni dopo aver partecipato anche a Goodwood

Si &egrave; spento Bjorn Waldegaard

All&rsquo;et&agrave; di 80 anni, &egrave; scomparso ieri Martino Finotto, uno dei protagonisti italiani delle gare Turismo negli anni &rsquo;70 fino a met&agrave; anni &rsquo;80. Ne danno oggi la notizia i famigliari.  Finotto ha corso soprattutto assieme a Carlo Facetti - con il quale fond&ograve; poi una societ&agrave;, la Carma (dalle iniziali dei nomi di battesimo) - ma anche con Giorgio Pianta, Giorgio Sch&ouml;n, Ruggero Melgrati, Guido Dacc&ograve;, Aldo Bertuzzi e cos&igrave; via. Ha partecipato sei volte alla 24 Ore di Le Mans, vinto su piste come il Nordschleife del N&uuml;rburgring e corso con macchine come le Ford Escort, le BMW 3.0, le Ferrari e le Beta Montecarlo, arrivando a gestire anche delle Brabham di F1 e realizzando la Alba, prototipo che corse anche in Usa.

Si &egrave; spento ieri all'et&agrave; di 80 anni uno dei protagonisti italiani delle gare Turismo anni '70-80

Ci ha lasciato Martino Finotto

Oltre a Montezemolo, come abbiamo gi&agrave; riportato qui, anche Piero Ferrari rilancia sul sito della Casa di Maranello qualche parola per ricordare il padre a 26 anni dalla morte. E lo fa toccando l'argomento forse un po' "scomodo" della Scuderia di F1, i cui risultato non sono all'altezza delle aspettative. Per&ograve;...  &laquo;Iniziamo con il dire che sportivamente parlando mio padre ha vissuto momenti ben peggiori di questo &ndash; ha iniziato Piero Ferrari. &ndash; Certamente sarebbe contento di vedere oggi con quale spirito le donne e gli uomini della Scuderia stanno affrontando la stagione: nessun abbattimento o sconforto, nessuna reazione dettata dall&rsquo;emotivit&agrave;, ma un&rsquo;analisi attenta e meticolosa di quello che bisogna cambiare, decidere e poi avanti convinti, senza dimenticare che siamo Ferrari&raquo;.

"Avrebbe apprezzato l'attuale spirito che mettiamo nella F1", precisa, sottolineando che anche Enzo avrebbe reagito allo stesso modo

29 risultati per 'morte'

Addio a Wilson Fittipaldi: l'ex pilota di F1 aveva 80 anni