<p>Nel 2021 Autosprint compir&agrave; 60 anni ed &egrave; gi&agrave; tempo di celebrare l&#39;evento degnamente. Sul settimanale in edicola, &egrave; iniziato un mini-ciclo&nbsp;di articoli dedicati ai Direttori degli anni ruggenti della rivista, ecco qui il primo approfondimento, dedicato a Marcello Sabbatini&nbsp;</p> 

Marcellino pane al pane

Il &ldquo;prego, si accomodi!&rdquo; di Bottas a Hamilton alla curva 13 con cui ha ceduto la prima posizione al suo capitano nel GP Russia ha scandalizzato un po&rsquo; tutti. Sui social &egrave; stato tutto un esplodere di offese e insulti, rivolti sia a Toto Wolff (&ldquo;bugiardo&rdquo; l&rsquo;epiteto pi&ugrave; elegante!) che a Bottas definito senza mezzi termini &ldquo;cagnolino&rdquo; oppure &ldquo;servo&rdquo;. Ma diciamoci la verit&agrave; senza fare i falsi ingenui: non trovate davvero ipocrita lamentarvi del gioco di squadra in F1?  Alzi la mano chi non ha invocato un gioco di squadra da parte di Raikkonen a Monza a favore di Vettel per permettergli di vincere e recuperare punti su Hamilton. Inutile fare le verginelle. L&rsquo;amara verit&agrave; &egrave; che i grandi team hanno sempre dato team orders. Tutti quanti. Perch&eacute; quando l&rsquo;interesse &egrave; alto, non si guarda in faccia a nessuno. Nemmeno al rispetto per gli uomini della propria stessa squadra. Tutti si scandalizzano e giocano a fare i puri, per&ograve; quando viene utile il gioco di squadra lo fanno eccome. Anzi, la prima squadra a dare un plateale team order in F1 fu proprio la Ferrari. Nel lontano 1956. Al GP d&rsquo;Argentina di quell&rsquo;anno, Juan Manuel Fangio con la Lancia-Ferrari dovette ritirarsi. E il team del Cavallino cosa fece? Costrinse l&rsquo;altro pilota della squadra, Luigi Musso, a fermarsi ai box; lo fece scendere dall&rsquo;auto per far salire al suo posto Fangio; il quale cos&igrave; vinse la corsa e quei punti preziosi gli servirono per laurearsi campione del mondo. Incredibile no? Ma all&rsquo;epoca era permesso che un pilota del team sostituisse un altro in corsa sulla stessa macchina perch&eacute; nei primi anni della F1 era un&rsquo;eredit&agrave; del regolamento delle gare sport dov&rsquo;&egrave; la macchina a vincere, non l&rsquo;uomo che la guida. Poi questa stortura fu vietata perch&eacute; in F1 era giusto fosse il pilota il protagonista principale e non pi&ugrave; l&rsquo;auto. Ma pensate se quella libert&agrave; esistesse ancora oggi, cosa succederebbe? Meglio non pensarci.  La madre di tutti i giochi di squadra invece - lo ricordano bene i ferraristi - fu l&rsquo;ordine perentorio di Todt a Barrichello al GP Austria 2002 di rallentare all&rsquo;ultimo giro per far vincere Schumacher. Fu clamoroso e indecente perch&eacute; port&ograve; davanti agli occhi di tutti in modo sfacciato quella che fino a quel tempo era sempre stata una pratica nascosta. Far rallentare il pilota da sacrificare con qualche scusa concordata e un linguaggio in codice ma senza mai scoprire il gesto. Invece Todt lo rese palese al mondo dicendolo via radio in chiaro, e lo ascoltarono le orecchie di milioni di spettatori perch&eacute; ebbe la sfortuna che all&rsquo;epoca il cameraman della F1 fosse al muretto Ferrari per inquadrarlo da vicino in quel momento topico. Cos&igrave; il microfono della telecamera, all&rsquo;insaputa del team principal ferrarista, registr&ograve; e diffuse in mondovisione le parole con cui Todt prima supplicava, poi ordinava a Barrichello di rallentare.    La plateale violazione di un codice etico in modo cos&igrave; lampante fece impazzire di rabbia il presidente della Fia Mosley perch&eacute; dimostr&ograve; al mondo che quello sport di eroi che sembrava puro agli occhi della gente la F1 perch&eacute; i suoi protagonisti rischiavano la vita per vincere, si poteva manipolare per interesse come una qualsiasi partita di calcio. Cos&igrave; Mosley, non potendo penalizzare la Ferrari per lo scambio di posizioni - era permesso dalle regole - ma volendoli comunque punire per il cattivo esempio sportivo in qualche modo, commin&ograve; al Cavallino una multa salatissima esemplare. Un milione di dollari per l&rsquo;infrazione della cerimonia di premiazione. Una punizione che fece scalpore sia per l&rsquo;entit&agrave; della cifra che per il pretesto con cui fu data. Un po&rsquo; come quando lo stato americano, non potendo incarcerare Al Capone per omicidio perch&egrave; non trovava le prove, non trov&ograve; altro modo che metterlo in manette per evasione fiscale...  Per un po&rsquo; gli ordini di squadra, dopo quel GP Austria 2002 vennero vietati, ma i team continuarono a farlo di nascosto usando linguaggi in codice. Tutti i team principali, nessuno escluso. Ai tempi di Vettel e Webber in Red Bull nel 2011, un bel giorno Horner disse via radio ai due piloti una frase criptica: &ldquo;Eseguite la strategia multi two -one&rdquo;. Chiss&agrave; a che si riferiva, pensarono in tanti. Magari a una mappatura speciale da inserire sul volante. Invece poi si scopr&igrave; che non voleva dire altro che la macchina numero 2 (Webber) doveva arrivare davanti alla macchina numero 1 (Vettel). Sebastian invece non lo esegu&igrave; e vinse lo stesso la corsa e nessuno al di fuori del team si rese conto che aveva violato un ordine di squadra segreto.  Chiunque in F1 si lamenta o fa la verginella accusando scandalizzato gli altri di aver praticato giochi di squadra o dato team order, probabilmente ha compiuto pure lui il &ldquo;misfatto&rdquo;. Volete un altro esempio? Jacques Villeneuve. S&igrave;, proprio lui che dopo il GP Russia dai microfoni di Sky ha platealmente criticato il gioco di squadra Mercedes. Pochi sanno che anche lui fu costretto a farlo. Addirittura proprio nel GP Europa 1997 - quello famoso di Jerez del fallo di Schumacher - che sanc&igrave; la vittoria del mondiale di Jacques. Villeneuve, dopo che Schumi era finito fuori gara nel tentativo di speronarlo, aveva il titolo iridato in tasca. Ed era primo. Poteva chiudere in bellezza l&rsquo;impresa vincendo anche la gara. Invece rallent&ograve; e fece passare le McLaren-Mercedes di Hakkinen e Coulthard che ottennero vittoria e doppietta. Un caso? No, perch&eacute; mesi dopo si scopr&igrave; che via radio l&rsquo;ingegnere di pista di Villeneuve in Williams, Jock Clear - lo stesso che oggi siede al muretto Ferrari! - lo aveva supplicato in corsa di lasciar passare Hakkinen dicendogli: &ldquo;Devi farlo Jacques! Ricordi? Ne avevamo parlato prima della corsa se andava in un certo modo...&rdquo;. Evidentemente la Williams aveva stretto un&rsquo;alleanza con la McLaren per la gara in chiave anti-Ferrari per aumentare le proprie probabilit&agrave; di successo. E la contropartita evidentemente era di lasciargli la vittoria del GP. Se Villeneuve avesse conquistato il titolo, avrebbero dovuto lasciar trionfare la McLaren-Mercedes. In realt&agrave; la McLaren in gara non aiut&ograve; pi&ugrave; di tanto Jacques perch&eacute; fu Schumacher a danneggiarsi da solo con quella scorrettezza. Ma tanto bast&ograve; al team per ricordare al suo pilota di onorare il patto stretto prima del via.    Tutto questo per dire che i giochi di squadra ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Per un motivo semplicissimo: perch&eacute; chi comanda sono i team, non i piloti che da questi sono stipendiati. Il titolo mondiale Piloti d&agrave; prestigio al corridore. Ma &egrave; il mondiale Costruttori che riversa denaro nelle casse della squadra. Perch&eacute; il particolare meccanismo del Patto della Concordia, che regola gli accordi commercial-sportivi della F1, prevede che i punti iridati e la posizione di classifica valgano milioni e milioni di euro. Vincere il titolo Costruttori o arrivare secondi pu&ograve; fare una differenza anche di decine di milioni di euro. E nessuna squadra rinuncia a quei soldi perch&eacute; &egrave; determinante per il bilancio finanziario. Quindi siccome sono le squadre che stipendiano i piloti, &egrave; anche logico e giusto che il team chieda ai suoi piloti di anteporre gli interessi della squadra a quelli personali.  Si pu&ograve; insultare finch&eacute; uno vuole il povero Bottas, ma visto che la Mercedes lo paga 4 o 5 milioni di euro di stipendio, perch&eacute; dovrebbe farsi licenziare e perdere i soldi del suo compenso per opporsi a un team order pur se mortificante per lui? Vorrei vedere quelli che insultano Bottas sui social e si scandalizzano per il suo comportamento cosa avrebbero fatto nei suoi panni. Siate onesti: foste Bottas, chi di voi avrebbe disobbedito a Toto Wolff sapendo che poi sareste stati appiedati dalla gara successiva, magari sostituiti da Ocon, e che avreste perso per sempre uno stipendio milionario? Quando si dice che i piloti sono soltanto un ingranaggio della F1 non si capisce fino in fondo la crudezza di questa definizione.  Purtroppo non ci sar&agrave; mai un modo per azzerare i giochi di squadra per i motivi prima esposti. Forse basterebbe usare il buon senso. Quando si vince, non sempre &egrave; un bene stravincere. Non costava tanto alla Mercedes restituire a Bottas la vittoria che si era guadagnato sul campo. Avrebbe fatto un bel gesto come al GP d&rsquo;Ungheria 2017 e non avrebbe mortificato un proprio pilota a rischio di distruggerlo psicologicamente e sportivamente. Come successo a Barrichello, Massa e Raikkonen in Ferrari negli anni passati. Invece Toto Wolff ha messo l&rsquo;ingordigia sopra a tutto. A Mercedes cosa fregava se Hamilton avesse conquistato soltanto tre punti di vantaggio su Vettel invece di dieci? Ne avrebbe avuti pur sempre 43 di vantaggio che a cinque gare dalla fine &egrave; un&rsquo;enormit&agrave;.  Invece il messaggio finale che esce dal GP Russia &egrave; la dimostrazione che la F1 &egrave; prima business e soltanto poi sport. E che tutti sono uguali. Inutile che qualcuno si atteggi al ruolo di &ldquo;diverso&rdquo; in senso di purezza sportiva come aveva fatto la stessa Mercedes un anno fa in Ungheria. Quando il gioco si fa duro, nels enso che la classifica lo esige, tutti diventano cinici e non guardano in faccia a nessuno. Lo aveva dimostrato la Ferrari in passato tante volte, oggi sappiamo che lo fanno tutti. Vabb&eacute; se proprio dovete farlo, almeno non fatelo in modo cos&igrave; sfacciato. 

<p>Nessuno si lamenti. La prima a dare un plateale team order in F1 fu proprio la Ferrari,&nbsp;nel lontano 1956. Come dimenticare l&#39;episidio del&nbsp;GP Austria 2002?&nbsp;Jacques Villeneuve? Ricordiamoci del &quot;patto&quot; di Jerez 1997..</p> 

Giochi di squadra e ipocrisie

Ora &egrave; uno degli artifici televisivi per rendere pi&ugrave; frizzante un'intervista, quello di fare le stesse domande a due piloti, magari con l'assillo del cronometro che scorre, per vedere direttamente nel successivo montaggio video le diverse maniere di affrontare la stessa questione. Ma non era la normalit&agrave; quando Marcello Sabbatini, nel 1974, varc&ograve; i cancelli di Fiorano per incontrare contemporaneamente Niki Lauda e Clay Regazzoni, all'epoca alfieri della Ferrari F1, e intervistarli "in parallelo" prima della partenza per la gara di Digione. Il tutto con Luca di Montezemolo a fare da "ospitante-controllore".  Una doppia intervista che abbiamo ripreso sullo Speciale Autosprint in edicola in questi giorni, e dalla quale vi proponiamo alcuni significativi stralci, alcuni dei quali utili a far capire come le problematiche dei piloti non siano cambiate poi tantissimo, da quarant'anni a questa parte&hellip;  Quanto del successo lo si deve alla Ferrari o alla macchina e quanto invece a loro o comunque ai piloti, &egrave; il succo di una delle prime domande, alla quale i due rispondono davvero coerentemente con il loro modo di intendere le corse. Niki Lauda: &laquo;Un elemento completa l'altro. Pi&ugrave; questa comunione &egrave; totale, pi&ugrave; sono possibili i risultati. Io non so cosa accadeva prima alla Ferrari, so che adesso i risultati ci sono, perci&ograve; la Ferrari mi piace&raquo;. Clay Regazzoni: &laquo;Oggi conta la macchina. Anche un superman, un superpilota col 20-30% di capacit&agrave; di pi&ugrave; degli altri, non riesce a dimostrare nulla se non ha una macchina valida&raquo;.  Una domanda successiva e forse cattivella verte sul fatto se Niki, alla prima stagione in Ferrari, fosse gi&agrave; alla pari con Clay&hellip; &laquo;Certo - risponde l'austriaco - sono alla pari con Regazzoni&raquo;. Che invece nega: &laquo;No, non si sta ripetendo quello che &egrave; successo a fine stagione con la BRM (quando cio&egrave; secondo lo svizzero diedero la macchina migliore a Lauda, ndr). Almeno non credo. Le macchine sono completamente eguali. Penso piuttosto che lui abbia un vantaggio su di me perch&eacute; collabora in una maniera pi&ugrave; diretta, continua e totale con quelli delle gomme (Goodyear, ndr), cosa che io non riesco a fare, per natura&raquo;. Effettivamente a fine stagione Regazzoni arriv&ograve; davanti a Lauda, per&ograve; 2&deg; in campionato dietro a Emerson Fittipaldi. Questo anche per presunti favoritismi della squadra nei confronti dell'austriaco che compromisero il rush finale.  Sempre utile da confrontare e misurare con il passare del tempo, pure la domanda su come avrebbe reagito Lauda qualora la Ferrari fosse stata austriaca e avesse assunto un pilota italiano in sua vece. &laquo;Non avrei avuto niente da dire. Perch&eacute; &egrave; un problema professionale e non credo ormai conti pi&ugrave; la nazionalit&agrave; nel nostro sport&raquo;, &egrave; la risposta di Niki. Mentre Clay aggiunge: &laquo;Che vuoi? Ormai sono solo i giornalisti italiani, argentini o brasiliani che fanno di queste storie&hellip;&raquo;.  Molto interessante la risposta di Lauda su chi l'avesse aiutato per cominciare e quanto ci fosse di vero su un prestito chiesto ad una banca austriaca, come un normale investimento d'affari sulla sua professione. &laquo;&Egrave; un po' differente. Fu nel '69, quando dovevo cominciare a correre con la March in Formula 2. Avevo bisogno di 16 milioni. La mia banca me li avrebbe dati, mi dissero. Ma improvvisamente, al ritorno da Londra a contratto firmato, salt&ograve; fuori che tutto era cambiato, che i miei genitori avevano messo il veto. E allora andai in un'altra banca, quella che ho attualmente, e chiesi un prestito al 6%, cos&igrave; come si fa per un investimento di una casa&raquo;. Insomma, un mutuo, anche se certe cifre oggi faranno sorridere (amaramente): altri tempi, altre situazioni e altre nazioni, come sottolinea Regazzoni: &laquo;Ah, certo in Svizzera non &egrave; mai successo nulla del genere, figurati in Italia&raquo;.  Queste e altre domande con le relative repliche di Niki Lauda e Clay Regazzoni, per un totale di 30 "botta e risposta", li trovate sullo Speciale con le "interviste ritrovate" attualmente in edicola, che ripropone le migliori "interviste giovanili" di Autosprint a vari campioni, da Gilles Villeneuve passando per Ayrton Senna fino a Sebastian Vettel.    Maurizio Voltini

Uno stralcio dallo Speciale Autosprint in edicola con le risposte parallele dei due alfieri Ferrari nel 1974

Interviste ritrovate: Lauda & Regazzoni

&nbsp;Un enorme sorriso sulla calotta. &Egrave; il disegno che campegger&agrave; sul casco di Daniel Ricciardo. Sar&agrave; infatti proprio la caricatura di un Daniel sorridente la decorazione del casco che il pilota di Formula 1 indosser&agrave; nell&rsquo;ultima gara della stagione Abu Dhabi.  Il disegno &egrave; stato realizzato dal 23enne Andrea Menardo che &egrave; stato ufficialmente decretato vincitore di Red Bull Helmet Art, il contest che ha messo alla prova la fantasia di creativi e appassionati del mondo della Formula Uno per disegnare il casco del pilota rivelazione dell&rsquo;anno. I partecipanti dovevano colorare un casco attraverso la piattaforma digitale a computer indicata e caricarla sul sito di Red Bull Italy.  Il disegno vincitore &egrave; stato scelto tra oltre 600 disegni da una giuria di esperti di cui facevano parte i rappresentanti di Red Bull Italy, la conduttrice di Sky Sport F1 HD Marta Abiye e Alberto Sabbatini, direttore di Autosprint, il settimanale specializzato media partner del contest.  Il vincitore del contest, Andrea Menardo, di Lusia in provincia di Rovigo, ricever&agrave; un duplice premio: voler&agrave; con un accompagnatore negli Emirati Arabi Uniti per vivere l&rsquo;emozione del circuito di F1 nell&rsquo;ultimo weekend di campionato, dal 21 al 23 novembre, ma soprattutto avr&#136;&agrave; la straordinaria opportunit&#136;&agrave; di conoscere Daniel Ricciardo e consegnargli personalmente il casco da lui creato.&nbsp;Non solo, il casco col sorriso sar&agrave; realizzato in duplice copia e la seconda rester&agrave; al suo ideatore quale ricordo dell&rsquo;esperienza vissuta grazie a Red Bull.  Il vincitore del contest ha spiegato cos&igrave; il suo disegno: &ldquo;Daniel Ricciardo mi colpisce soprattutto per la sua abilit&agrave; e determinazione in pista, ma &egrave; la sua solarit&agrave; anche fuori dalla pista la caratteristica che pi&ugrave; mi ha ispirato, mentre la grafica laterale del casco vuole ricordare le sfumature azzurre che contraddistinguono il circuito di Yas Marina&rdquo;.  Disegnare un casco per un pilota &egrave; cosa difficile, perch&eacute; i piloti in questo frangente hanno un atteggiamento molto personale: sono scaramantici, amano certi simboli e certi colori e storcono il naso davanti ad altri. Ma il casco col &ldquo;sorriso sulla calotta&rdquo; ha conquistato anche Ricciardo: &ldquo;Mi complimento con Andrea, questo casco rispetta pienamente le premesse del concorso in quanto, pi&ugrave; di ogni altro progetto caricato sulla piattaforma Red Bull Helmet Art, ha colto un lato della mia personalit&agrave; che amo e lo ha raffigurato in modo originale. Se il casco deve rappresentarmi in pista, &egrave; bello che il pubblico veda il mio sorriso anche mentre corro&rdquo;.  Aggiornamento: In merito alla protesta di alcuni lettori per l'ipotesi di non originalit&agrave;&nbsp;nel disegno vincente, abbiamo interpellato la Red Bull Italy che cos&igrave; ha spiegato la scelta: &ldquo;Abbiamo&nbsp;provveduto ad effettuare le verifiche del caso avvalendoci del parere di esperti indipendenti e&nbsp;siamo giunti&nbsp;alla conclusione che il design selezionato dalla giuria, nella sua composizione complessiva, &egrave; da ritenersi opera originale e presenta pertanto caratteristiche di conformit&agrave; al regolamento e pu&ograve; dunque ritenersi valido&rdquo;.    &nbsp;

Disegnato da un italiano fra oltre 600 proposte, ha vinto il contest di Red Bull di cui Autosprint era partner (aggiornato)

Il "casco col sorriso" che Ricciardo user&agrave; ad Abu Dhabi

Ieri a Montecarlo Adrian Newey, direttore tecnico della Red Bull, ha ricevuto dal direttore di Autosprint Alberto Sabbatini, il Casco d'Oro Iridato di Autosprint per la vittoria nel mondiale F1 2013.  La premiazione si &egrave; svolta nella hospitality Red Bull, sul porto, nella pausa tra il primo e il seocndo turno di prove libere del Gp. Il Casco d'Oro iridato era stato assegnato a Newey per il progetto vincente della monoposto che ha dominato il mondiale 2013 conquistando 13 vittorie.  Newey non aveva potuto partecipare lo scorso dicembre alla premiazione a Bologna ed era intervenuto in diretta video dalla sede della fabbrica di Milton Keynes conversando brevemente con gli ospiti in sala. Ma Newey, molto legato ad Autosprint, ci teneva a ritirare di persona questo riconoscimento che si era aggiudicato gi&agrave; nel 2012, cos&igrave; Autosprint ha voluto premiarlo formalmente "sul campo" e gli abbiamo consegnato il suo trofeo a Montecarlo nel cicuito-salotto per antonomasia.

Il direttore tecnico della Red Bull ha ritirato il trofeo che gli era stato assegnato lo scorso dicembre per la vittoria nel mondiale F1 2013 

5 risultati per 'sabbatini'

Marcellino pane al pane

Giochi di squadra e ipocrisie

Interviste ritrovate: Lauda & Regazzoni

Il "casco col sorriso" che Ricciardo userà ad Abu Dhabi

Newey riceve a Montecarlo il Casco d'Oro di Autosprint