Ci avete fatto caso? Non bastasse la pallosit&agrave; dei Gran Premi stradominati da un solo pilota e da una sola monoposto, leggi Verstappen e la Red Bull RB19, vincitori in pectore dei due mondiali dai primi centimetri della stagione, adesso a rendere le cose ancor pi&ugrave; insoportabili ci si mette la Federazione, con le sue regole assurde e farragginose. Prendi il weekend del Gp d&rsquo;Austria. Discorso semplice.    Tra regole e perdita di credibilit&agrave;  A ogni qualifica e a ogni gara, tracciato pi&ugrave; tracciato meno, le violazioni per presunti impeding e infrangimenti dei track limits sono cos&igrave; variegate e copiose, che non &egrave; pi&ugrave; possibile disporre di uno schieramento di partenza credibile e di una classifica di gara definitiva se non sette, otto ore dopo la fine delle ostilit&agrave;. Tanto &egrave; il tempo richiesto dalle autorit&agrave; sportive per raccapezzarsi e stilare graduatorie rettificate. Il parossismo si tocca su un tracciato a rischio estremo d&rsquo;infrangimento di track limits come quello di Spielberg, appunto in Austria, dove tenere il conto delle violazioni diventa un&rsquo;operazione pari a contare gli acini versati dalle sorellastre di Cenerentola. Al punto che le pronunce definitive arrivano solo alle undici di sera ora italiana della domenica, con la classifica che in top ten cambia per Sainz, Hamilton, Russell, Gasly, Stroll, eccetera eccetera, facendo sprofondare la F.1 in un mare di ridicolo.  La disparit&agrave; di giudizio  Tornando alle controversie ormai tipiche delle qualifiche, peggio ancora. Sono tante e sono tali, che uno schieramento esatto ormai &egrave; una sorta di Sacro Graal, visto che gli impeding presunti e pendenti rendono inutile qualsiasi commento alla griglia di partenza per tutte le prime cinque-sei ore successive alle prove. Non bastasse questo, i verdetti continuano ad avere un tasso d&rsquo;iniquit&agrave; non lieve, se consideriamo che una manovra ostruzionistica di Verstappen ai danni di Hamilton in qualifica in Austria, per quanto apparentemente palese, non &egrave; neanche stata presa in considerazione dall&rsquo;autorit&agrave; preposta.  Ma ha senso tutto questo?  Il risultato complessivo? Un triste senso di smarrimento e sfiducia dell&rsquo;appassionato medio nei confronti di chi regge il comando di questa F.1. Una domanda semplice: che senso ha andare avanti cos&igrave;? Per esempio, &egrave; davvero fondamentale rispettare e far rispettare i track limits? Se questo &egrave; il risultato, tanto vale impedire soltanto i tagli palesi e lasciar perdere il resto, perch&eacute; cos&igrave; non si va proprio avanti. Stessa solfa, in fondo, anche per gli impeding. Una giustizia ritardata &egrave; giustizia negata. E una regolamentazione incomprensibile, macchinosa, farragginosa e odiosa esalta le violazioni anzich&eacute; reprimerle. Basta, &egrave; ora di far qualcosa, per rispetto della gente e dello sport. I veri limiti li sta dimostrando chi comanda. Per cortesia, limitate costoro. 

Ormai la questione dei track limits e degli impeding sta diventando ridicola e rovinando la F.1

I veri limiti li ha chi comanda

GP Bahrain, ultimi 3 giri. Max Verstappen passa Lewis Hamilton e vola verso la vittoria&hellip; Negata dal collegio dei commissari, che hanno intimato alla Red Bull di cedere la posizione perch&eacute; l&rsquo;azione &egrave; viziata dal superamento dei track limits alla curva 4 della pista di Sakhir. Evento che ha scatenato polemiche sulle zone grigie del regolamento visto che, in gara, in molti hanno usato quella parte della pista senza conseguenze. In poche parole, Max &egrave; stato sanzionato non per aver superato il cordolo, ma per aver ottenuto un vantaggio - il sorpasso - nel farlo&hellip; Ma allora come rendere il concetto del vantaggio perdurante citato da Masi non interpretabile? Rimettendo la ghiaia oltre i cordoli, in modo che chi ci mette le ruote sopra, la paghi sempre. Commentate e dite la vostra!

Track limits, serve chiarezza

Sinceri: a voi hanno mai convinto i track limits e la loro noiosissima, burocratica, pedante e sfiancante applicazione? O pensate piuttosto che siano uno dei mali orrendi della F.1 d&rsquo;oggi, oltre che il portato del totale stravolgimento della giusta e naturale filosofia Racing? Chiaramente per me sono domande retoriche dalla risposta gi&agrave; garantita, perch&eacute; forse non c&rsquo;&egrave; cosa che odio di pi&ugrave; dei track limits medesimi. Li brucerei, li vaporizzerei, organizzerei dei barbecue per renderli dei meri residui di carbone. Non perch&eacute; causino chiss&agrave; quale ingiustizia o provochino sfracelli, ma, molto pi&ugrave; semplicemente, a mio avviso, sono la testimonianza palmare dello stato di degrado agonistico e etico che vive non solo la Formula Uno ma con essa tutte quelle categorie che ai track limits si assoggettano, MotoGp e Motomondiale compresi.     Sticchi Damiani rieletto alla guida dell&#39;ACI, obiettivo due GP in Italia nel 2021  La tutela, l&rsquo;osservanza e la rilevanza dei cosiddetti track limits all&rsquo;interno del Motorsport, segnatamente con la F.1 a fare da punta d&rsquo;iceberg nonch&eacute; da frangiflutti, cominciano a diventare realt&agrave; rilevante all&rsquo;inizio del terzo millennio, quando Bernie Ecclestone &egrave; grande capo del Circus e il suo braccio armato di tecnigrafo (si fare per dire) &egrave; l&rsquo;architetto Hermann Tilke, il quale, anno dopo anno, diventa artefice progettuale di una nuova generazione di circuiti, della per lo pi&ugrave; famigerata schiatta dei tilkodromi, improntati alla massima sicurezza, al comfort del paddock, all&rsquo;importanza crescente delle infrastrutture e, non ultima, a una nuova concezione dei tracciati medesimi, non solo con la massimizzazione delle aree di fuga ricavabili, ma anche con la realizzazione delle stesse privilegiando, fino a diventare esclusivo, l&rsquo;utilizzo dell&rsquo;asfalto. In altre e ben pi&ugrave; semplici parole, i circuiti alla Tilke e in ogni caso tutti quelli di nuova concezione, non presentano pi&ugrave; tendenzialmente run-off areas in ghiaia o sabbia, ovvero superfici in grado di penalizzare eventuali uscite di strada con rallentamenti molto rilevanti o, nel peggiore dei casi, con danni seri alle vetture.  No, macch&eacute;, se in un tilkodromo metti le ruote fuori dal seminato, proprio non succede niente, anzi, in molti casi addirittura, paradossalmente ma non troppo, prendi vantaggio dalla violazione commessa, fatti salvi minipanettoni o dissuasori. Laddove il confine tra la furbata e l&rsquo;errore diventa non pi&ugrave; distinguibile. &Egrave; cos&igrave; che il tipico circuito della F.1 iridata moderna altro non &egrave; che un&rsquo;immensa colata d&rsquo;asfalto, nel mezzo della quale &egrave; ricavato e disegnato un tracciato, come col gessetto all&rsquo;interno di una immensa superfice pseudoaeroportuale. Vince chi riesce ad andare pi&ugrave; forte possibile restando all&rsquo;interno dei limiti tracciati a vernice, con&nbsp; i cordoli che perdono sempre pi&ugrave; importanza, tanto che rivedere di recente la F.1 a Imola, coi cordoli stessi ancora belli tosti e le vie di fuga in sabbia o ghiaia, ha dato a tutti noi sensazioni a met&agrave; tra lo straniante e il nostalgicamente vintage.    I difensori del sistema dicono che con le vie di fuga in asfalto la sicurezza ne ha guadagnato tantissimo, il che &egrave; certamente vero. Grazie alla bonifica da ostacoli fissi, grazie a sedi stradali immense e grazie alla realizzazione di faraoniche aviosuperfici diventate tavolozze sui cui disegnare e colorare piste, vedi Paul Ricard o Austin, grazie al cavolo che l&rsquo;indice di sicurezza &egrave; massimo. Ma lo spettacolo puntualmente latita, la sfida ha livelli spesso poco meno poco pi&ugrave; che ridicoli, l&rsquo;adrernalina di piloti e spettatori &egrave; quella di un versamento alla posta.  E questo &egrave; niente. Non v&rsquo;&egrave; nulla di pi&ugrave; soggettivo, cangiante, indecifrabile e incostante della disciplina dei track limits. I quali possono mutare, essere oggetto di ripensamento e in ogni caso mai rappresentare un statuizione stabile, un punto fermo. Per dirla in modo diverso, i track limits cambiano e dipendono ogni volta da esigenze, statuizioni e decisioni specifiche, senza mai fare giurisprudenza, precedente o principio pi&ugrave; o meno fisso. Semplicemente, all&rsquo;inizio di ogni weekend di Gp, ti spiegano dove e cosa puoi fare o non fare e ti devi attenere, altrimenti paghi pegno, punto. Tutto appare burocratico, precisino, scontato. Il pilota ormai &egrave; cesellatore, ricamatore di traiettorie, certosino inseguitore della linea ideale, ben sapendo che in caso d&rsquo;errore dovr&agrave; rifare il giro senza rischiare assolutamente nulla, esattamente come se stesse giocando con la Play, ovvero pagare penalty.    Cos&igrave; il Motorsport, ovvero una delle ultime famiglie di Sport estremi ancora serenamente in vigore sul Pianeta Terra, vede completamente umiliato non solo il senso della performance ma anche il concetto stesso di sfida e l&rsquo;incidenza del rischio, visto che ci&ograve; che uno ha da perdere sbagliando viene deciso di volta in volta con sanzioni presumibilmente in una cabina di regia e non fisicamente da ghiaia o sabbia.  Pochi giorni fa, non a caso, uno con la testa a posto e il cervello in ordine come Sebastian Vettel ha detto chiaro chiaro: &quot;Sarebbe bello per la Formula Uno se non fosse sempre cos&igrave; perfetta. Tutto sta diventando sempre pi&ugrave; sterile, soprattutto quando si tratta di guidare. Ogni centimetro di tracciato viene letteralmente registrato con le telecamere di bordo, le stesse linee con le quali guidiamo vengono registrate e possiamo confrontare anche tra i team, con i dati Gps&quot;.  Vettel, &egrave; qui la testa    Al resto pensano i sensori annegati nell&rsquo;asfalto, a verificare se le traiettorie sono ascrivibili tra quelle ammesse o rientrano tra le bandite che provocano tempi cancellabili, sanzioni e azzeramenti. Tutto &egrave; sorvegliato, auscultato, guardonato. Nulla sfugge al vigile occhio dell&rsquo;autorit&agrave; sportiva, che intende e sovraintende qualsiasi cosa. E allora mi viene da tornare indietro con la mente, per prendere la rincorsa e dire qualcosa di pi&ugrave;. Quando noi della mia generazione eravamo bambini costretti - dico costretti, sol perch&eacute; ai tempi non c&rsquo;era di meglio - a cimentarci a campana riposo, ovvero un giochino che prevedeva di disegnare col gessetto dei quadratini a terra che dovevano essere scavalcati a salti, senza mai bruciare le righe di distinzione da una zona all&rsquo;altra dello schema da percorrere, pena perdere la partita. Si trattava di una delle poche sfide che poteva essere giocata insieme indifferentemente da maschi e femmine, un po&rsquo; come il nascondino, per dire, quindi la sua bella funzione sociale d&rsquo;integrazione la aveva, per&ograve;, cavolo, era una cosa sostanzialmente pallosa assai. Tanto che poi negli anni abbiamo rimpianto di tutto, perfino le bacchetttate prese a scuola dai maestri pi&ugrave; maneschi, ma mai una e financo una sola volta ho sentito uno dei nostri rimpiangere la campana riposo. Perch&eacute; si tratta proprio di un giochino tonto.  E la tragedia &egrave; che da un paio di decenni la Formula Uno sta giocando malinconicamente a campana riposo e guai ricordarglielo... Anni fa parlavo con l&rsquo;immenso Arturo Merzario che in proposito vanta una filosofia assolutamente esaltante quanto meravigliosa, la quale sarebbe esattamente questa: &quot;Lo sbaglio di fondo &egrave; stato quello di rendere i circuiti facili e le curve dei disegnini, pensando che cos&igrave; la sicurezza diventasse assoluta e la competizione restasse tale. Cos&igrave; facendo si sono compiuti due errori marchiani e non emendabili. Primo, perch&eacute; la sicurezza assoluta non esister&agrave; mai e poi mai, visto che uno non &egrave; sicuro neanche quando va a piedi in un prato, perch&eacute; la vita &egrave; sempre pi&ugrave; strana di chi cerca di imbrigliarla. Secondo, e cosa ancor pi&ugrave; grave, la competizione &egrave; stravolta, perch&eacute; se nell&rsquo;affrontare una curva impegnativa il somaro non rischia nulla, dopo tre o quattro tentativi l&rsquo;affronter&agrave; pi&ugrave; o meno come quello bravo. E alla fine a fare la vera differenza sar&agrave; la macchina. Prova invece a pensare a una situazione in cui a fare la differenza &egrave; una curva importante, la quale, una volta sbagliata, ti presenta un conto, non necessariamente grave, per carit&agrave;, ma in ogni caso rilevante e bello sensibile. Allora s&igrave; che la differenza tra il top driver e la mezza calzetta si avvertir&agrave; e la forbice del divario di potenziale tra la classe dell&rsquo;uno e la scarsit&agrave; dell&rsquo;altro si allargher&agrave; nettamente. Per quanto mi riguarda, ai miei tempi tra curvoni e terrapieni finivano con l&rsquo;emergere piloti forti, intelligenti e coraggiosi davvero, perch&eacute; gli altri, i paracarri, i somari o pi&ugrave; semplicemente queli onesti ma privi di vero talento, in ogni sezione impegnativa pagavano prezzi esorbitanti in termini di cronometro, oltre che di stress e di orgoglio ferito. Per quanto mi riguarda, adesso, fosse per me, toglierei tutte quelle vie di fuga del cavolo realizzate comodamente in asfalto. E, pensa te, sulla tangente delle curve piazzarei una bella fila di lance arrugginite. Non voglio certo che qualcuno si faccia male, per carit&agrave;, e penso anche che, in definitiva non si farebbe male proprio nessuno, perch&eacute; a quel punto quelli forti andrebbero belli sicuri, mentre i meno bravi finirebbero con l&rsquo;alzare ingloriosamente in piede, incapaci di osare e al tempo stesso preoccupati solo di difendersi&quot;.  Grazie, Arturo, per esistere e continuare a essere meravigliosamente e per sempre Merzario.     Gi&agrave; che ci sono, continuo il discorso dicendo una cosina semplice semplice. Da anni e anni i grandi capi dell&rsquo;automobilismo, tra un rigurgito buonista e un impeto paraculo, continuano a ripetere salmodiante come il rosario dai frati la frase&nbsp; &ldquo;Safety first&rdquo;, ovvero prima di tutto la sicurezza, sempre e solo la sicurezza, guaimai se non nominiamo, idolatriamo e teniamo presente la sicurezza. Come se le corse dovessero diventare un ricettacolo di serenit&agrave;, un&rsquo;isola felice, una sorta di zona franca a met&agrave; tra la bocciofila e la canonica, mentre l&rsquo;arciprete si fa una briscola con l&rsquo;attempato sagrestano. Non so, magari costoro vogliono semplicemente pararsi il culo da cause, guai legali o possibili complicazioni ove qualcosa vada storto, ma da che mondo &egrave; mondo il principio costitutivo e il dosaggio sano delle componenti filosofiche in atmosfera Racing &egrave; un altro. Il rischio c&rsquo;&egrave;, &egrave; ineludibile e deve essere presente eccome, altrimenti non &egrave; pi&ugrave; automobilismo, ma filatelia. Molto pi&ugrave; semplicemente, il rischio stesso deve essere presente in dose ragionevole, ossia affrontabile e mai completamente bonificato. Cos&igrave; come mai lo sar&agrave; nell&rsquo;alpinismo, nel freeclimbing, nel paracadutismo o nella navigazione in solitaria, tanto per limitarmi a qualche esempio concreto e interdisciplinare.    Dobbiamo smetterla di pensare che le corse siano una foresta amazzonica spianata, diventata una specie di giardinetto comunale per massaie in libera uscita coi pargoli. Altro che, salviamo ci&ograve; che resta della foresta, salvaguardiamo le parti verdi, ancora selvagge e cattive, mettendo chi vuole in condizione di lanciare la sfida, con rischi ragionevoli e prezzi esistenzialmente adeguati da pagare. Ammettendo per definizione che c&rsquo;&egrave; anche la sfiga e se ci si mette quella poi non ti salva proprio nessuno.   Tornando a noi, nel nostro piccolo, a proposito dei famigerati track limits, la sola e unica cosa da fare sarebbe smettere di applicarli, e fin solo pensarli o parlarne. Con la riconversione immediata di tutte le run off areas del mondiale in vie di fuga contrassegnate da ghiaia o sabbia. Piantandolcela una volta per tutte con questa demenziale disciplina dei tempi cancellati o delle penalizzazioni solo perch&eacute; uno a 300 all&rsquo;ora si ritrova a bruciare o ad oltrepassare una fottutissima riga con tutta la macchina. I track limits sono un abominio, una degenerazione del malinteso concetto di sicurezza, un terrificante pretesto d&rsquo;ingerenza della direzione di corsa e del collegio dei commissari sportivi su questioni totalmente irrilevanti, che andrebbero, potrebbero e dovrebbero essere disciplinate solo e semplicemente dal rapporto che intercorre tra il pilota e la curva stessa.     Presa bene, te la cavi alla grande, scoprirai con che tempo. Presa male, sei costretto ad avere dei guai e dei danni, lievi o non proprio lievi al fondo, alle ruote, alle sospensioni, a quello che vuoi. Ma senza niente di burocratico e tutto di palpabile e concreto. Perch&eacute; correre, in macchina, in moto o in slitta fa lo stesso, &egrave; una cosa seria e chi sbaglia deve pagare eccome, soffrire, sentirsi graffiato, tuttavia non certo subire una sanzione amministrativa.   Di pi&ugrave;. La differenza tra un campionissimo o un paracarro non pu&ograve; essere una penalit&agrave;, ma una magia di guida, il senso autorevole nella gestione dell&rsquo;estremo, una superiorit&agrave; dirimente, non pi&ugrave; la prevalenza del precisino sull&rsquo;arruffato. E allora levate per sempre quelle maledette zona di fuga in asfalto e rimetteteci ghiaia o sabbia. Oppure, se proprio volete rinnegare - e sarebbe ora -, la vostra orripilante pussy generation, piantateci delle lance arrugginite, all&rsquo;esterno di quelle cavolo di curve. 

Non c&rsquo;&egrave; niente di peggio della civilt&agrave; dei circuiti di F.1 e non disegnati col gessetto e disciplinati da norme che richiamano la campana riposo tra i bambini di tanti anni fa. Che tornino le vie di fuga in sabbia e ghiaia

I track limits sono da abolire!

In Formula Uno smettiamo di usare a nastro la frase - che pi&ugrave; imbecille non potrebbe essere -, la quale recita &ldquo;Indietro non si torna&rdquo;. Indietro si torna, avoja, perch&eacute; se nelle corse e nella vita si sbaglia, tornare indietro &egrave; esattamente ci&ograve; che bisogna fare.  Poi e quindi, nel dettaglio, &egrave; ora di finirla con la litania della punizione a chi viola i track limits. Perch&eacute; i track limits ci devono essere, ma devono essere appunto caratterizzati in modo che chi sbaglia paga e paga mica poco.  Come? Be&rsquo; per esempio sono d&rsquo;accordo, d&rsquo;accordissimo con chi propone - e parlo di un dialogo effettivo che sta avvenendo nelle sedi preposte, F.1 compresa, non al bar dello sport o sui social, con rispetto parlando per entrambi -&nbsp;da qui in poi la realizzazione di vie di fuga nella prima parte in asfalto e poi, in uscita, in sabbia o ghiaia. In altre parole, delle run off areas buone, generose e pronte ad aiutarti nel momento critico in cui parti per la tangente e lasci la pista, offrendoti un asfalto non destabilizzante, ma subito dopo, mentre cerchi di tornare sul tracciato, ecco che incontri roba che ti rovina un po&rsquo; la corsa e un po&rsquo; la macchina, cos&igrave; la prossima volta impari a stare pi&ugrave; attento. In questo modo verrebbe immeditamente disinnescata la pericolosit&agrave; della digressione, ma nello stesso tempo l&rsquo;autore del fuoripista poi lascerebbe per strada secondi pesanti, rasperebbe il fondo macchina e magari rischierebbe d&rsquo;impantanarsi e rovinarsi la corsa.  Anche perch&eacute; non si capisce per quale motivo se mi distraggo a un parcheggio faccio un danno di mille euro in un centesimo di secondo, rovinandomi sei mesate, mentre se sono in Formula Uno e drizzo una chicane me la cavo con Charlie Whiting che dall&rsquo;interfono mi chiede: &ldquo;E adesso colpetto di freno o scherzetto?&rdquo;. Vado oltre. Non solo da un paio di decenni combatto contro l&rsquo;idiozia della frase &ldquo;Indietro non si torna&rdquo; - pensa te, la realt&agrave; dice il contrario: l&rsquo;idea di far tornare pi&ugrave; challenging e stile vecchi tempi la seconda di Lesmo &egrave; un gran bel segnale, e gli stessi impulsi di Liberty Media diretti a creare possibilmente curve pi&ugrave; selettive ne rappresenta un altro -, ma il tutto va vissuto all&rsquo;insegna di un fondamentale chiarimento di fondo.  Non si tratta pi&ugrave; di scegliere refendariamente tra sicurezza e pericolosit&agrave;, continuando a contrabbandare per sicurezza qualsiasi riforma che rovina la sfida rendendo tutto insipido. No, esiste una terza via, ossequiosa dell&rsquo;incolumit&agrave; di tutti, che &egrave; l&rsquo;inserimento di coefficienti d&rsquo;insicurezza. Ossia il pilota quando corre deve sentirsi protetto, non minacciato da ostacoli o sezioni oggettivamente pericolose, per carit&agrave;, ma nello stesso tempo deve avvertire chiaro che, se commette un errore, il prezzo in termini di crono e integrit&agrave; del mezzo sar&agrave; tangibile quanto implacabilmente non basso e a buon mercato. Il pilota stesso deve in ogni momento uscire incolume, incolumissimo da un errore di guida, ci mancherebbe, mai giammai e mai pi&ugrave; totalmente impunito.  Chiunque, da Hamilton a Chandhok, ove tornasse, dovrebbe avere ben chiaro che tutto il mondo lo vuole vedere prima, durante e dopo il Gran Premio perettamente in salute, ma anche un tantino pi&ugrave; spremuto, in ansia e col timore che in F.1 una cavolata gli rovini davvero la giornata. E basta con queste uscitine di pista su mari di catrame che non costano nulla, se non qualche spiccio di time penalty. Basta, basta, basta, con queste pagliacciate comodamente catramose da usceri in libera uscita nell&rsquo;imboscante Ministero Mondiale della Velocit&agrave;.  Il resto dell&#39;analisi lo trovate sul numero di Autosprint in edicola. 

La nuova possibilit&agrave; potrebbe essere quella delle vie di fuga penalizzanti in uscita

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Formula 1, ipotesi di track limits futuri