Con la pioggia le nuove F1 non stanno in pista: ecco perchè

Con la pioggia le nuove F1 non stanno in pista: ecco perchè

Il parco chiuso tra prove e gara impedisce ai meccanici di modificare gli assetti delle monoposto. Con le conseguenze viste al GP del Brasile

Alberto Sabbatini

14.11.2016 09:17

Due bandiere rosse, tre ripartenze da safety car, una gara lunga quasi 4 ore. Tutto per un po’ d’acqua. Pioggia, non diluvio. Non era un acquazzone tropicale da allagare ovunque quello che è caduto su Interlagos domenica mattina, ma una pioggerellina persistente e continua. Non stiamo parlando di un monsone che rovescia tonnellate d’acqua in pista rendendo proibitive le condizioni. Insomma è stata una pioggia come tante, del tipo che nelle gare F1 s’è vista spesso e che non ha mai fermato i Gran Premi prima d’ora. Tanto che a un certo punto i piloti con le intermedie giravano più forte di quelli con le rain. 

Ci sono stati acquazzoni ben peggiori nella storia della F1, quelli sì che hanno condizionato le corse: Monaco 1984, quando la vittoria di Prost fu salvata dalla direzione gara (Jacky Ickx che interruppe con la bandiera rossa la rimonta di Senna). Zeltweg 1975, quando Brambilla vinse e andò a sbattere a fine corsa perché aveva sollevato una mano dal volante per esultare.E poi Estoril 1985, un vero diluvio, quando Senna vinse il suo primo GP in condizioni quasi impossibili, con le monoposto che patinavano in sesta marcia in rettifilo quando acceleravano. E poi Donington ‘93, quel primo giro da favola di Senna con cinque sorpassi. E la peggiore di tutte, Australia 1991 ad Adelaide, con talmente tanta acqua in pista che Nakajima tamponò una F1 davanti a sé perché non l’aveva nemmeno vista, e la gara fu sospesa dopo 14 degli 81 giri e non ripartì mai più.

Però quelle F1 di una volta correvano sul bagnato. Le gare si facevano; i piloti guidavano, forse sbagliavano ogni tanto ma le gare raramente venivano neutralizzate dalla safety car appena l’acqua comincia ad aumentare. Sono peggiorate le gomme? Sono diventati più scarsi i piloti di oggi? Assolutamente no, perché Verstappen ed Hamilton, ma anche Nasr e e Rosberg, hanno fatto vedere come si può guidare sul bagnato e completare un Gran Premio senza fare errori. E allora di chi è la colpa? Un poco delle gomme, molto degli assetti e dei regolamenti. Le gomme full wet Pirelli in effetti non sono perfette per la pioggia battente: le sue scolpiture evacuano 65 litri d'acqua al secondo dal battistrada, mentre le intermedie che hanno tagli sulla superficie molto più diradati, ben 35 litri. C'è poco divario.

Viste le caratteristiche delle monoposto, forse Pirelli dovrebbe aumentare la scolpitura delle full wet visto come le monoposto moderne soffrono l'aquaplaning. Però a Interlagos gli incidenti non sono capitati per le gomme, ma perché i piloti hanno toccato i cordoli e soprattutto per gli assetti sbagliati. Cerchiamo di capire perché. Chiunque abbia un po’ d’esperienza sulla guida o la messa a punto di auto da corsa, pilota o ingegnere, sa che quando piove si devono fare tre o quattro modifiche importanti per guidare meglio la macchina: alzare l’auto da terra; ammorbidire il set up delle sospensioni; se poi la macchina ha le ali, bisogna anche aumentare la deportanza di alettoni e spoiler. E se possibile accorciare i rapporti del cambio.

Sul bagnato serve un assetto morbido, la macchina deve rollare di più per far “mordere” di più le gomme perché la velocità in curva è inferiore. Infatti il primo trucco, prima ancora di ammorbidire la taratura delle sospensioni con molle più tenere, è quello di staccare la barra antirollio. Nel vero senso della parola: smontandola proprio dai supporti così smette di fare il suo lavoro di collegare, irrigidendoli, gli assi delle ruote. E infine, cosa più importante, bisogna alzare la vettura da terra di alcuni millimetri.

L'ANALISI DELLA GARA

L’auto che quasi striscia sull’asfalto serve a aumentare la deportanza su asciutto; ma quando è bagnato una monoposto quasi rasoterra diventa inguidabile. Perché il fondo può facilmente “fare aquaplaning” più dello stesso pneumatico. Che significa che il velo d’acqua che si forma fra asfalto e fondo della monoposto spezza di colpo il flusso d’aria che si crea sotto la vettura e che è quello che provoca il risucchio della monoposto a terra, cioé l’effetto-deportanza.

Il problema è che in F1 da un po’ di d’anni tutti questi interventi di setup non si possono più fare. Le nuove regole impongono il parco chiuso fra prove e gara. Che significa che i meccanici non possono lavorare sulle auto per modificare gli assetti e adattarli al clima variabile. Una volta, di domenica mattina quando si palesava pioggia per il GP, era tutto un lavorìo frenetico dei meccanici per smontare la vettura, cambiare molle, barre, alettoni, rapporti del cambio. Oggi è semplicemente proibito. E sapete perché? per una ipocrisia assurda. 

Per risparmiare sul costo della manodopera dei meccanici! I team, nei vari accordi volti a contenere i costi di gestione, hanno un bel giorno escogitato questa bella trovata: ridurre le ore di lavoro quotidiano ai box per i meccanici per non aumentare il personale o dover pagare gli straordinari. E la Fia ha ratificato il tutto con il regolamento del “parco chiuso”. Che significa il divieto di modificare la monoposto dopo i turni di prova. Non c’è più l’abitudine di lavorare sull’auto a qualsiasi ora del giorno; si può fare solo in certe fasce orarie ben definite, poco prima e poco dopo le prove. Il team che subisce un incidente ha una deroga speciale per riparare l’auto. Ma niente di più. Chi sbaglia, paga. Nel senso che chi fa fare gli straordinari e viola la regola del parco chiuso, viene multato. Addirittura a Singapore, dove la F1 “vive” col fuso europeo nel paddock, chi si presenta ai box troppo presto viene multato.

Questa regola del parco chiuso col tempo si è rivelata stupida e andrebbe modificata perché impedisce di cambiare assetti quando le condizioni atmosferiche mutano drasticamente. Diventa anche un problema di sicurezza, perché - come è successo a Interlagos - si si finisce col mandare a correre piloti con macchine che non stanno in strada quando c’è appena un velo d‘acqua sull’asfalto. Senza tornare alle esagerazioni degli Anni ‘90, quando i meccanici F1 lavoravano notte e giorno senza dormire, basterebbe un semplice provvedimento: stabilire che in caso di improvviso mutamento delle condizioni atmosferiche (pioggia al mattino del GP come a Interlagos, per esempio) il parco chiuso venga abolito. E che i meccanici possano intervenire sulle monoposto per stravolgere a piacere gli assetti per adattare le macchine al bagnato.

Al massimo si potrebbe anche instaurare un mini turno di prove di 10/15 minuti pre-gara per collaudare la scelta degli assetti e non partire proprio alla cieca. In fondo basta dire: se piove, saltano le regole. È quello che si fa già con le gomme, no? Se viene a piovere si usano le full wet o le intermedie e non vale più la norma regolamentare che prevede l’alternanza delle due mescole differenti di gomme. Si creerebbe anche una possibilità di spettacolo in più. Magari qualche team minore potrebbe scegliere assetti da bagnato più estremi e diventare un outsider in corsa. Forse lo spettacolo indegno della gara interrotta tre volte a Interlagos, e il probabile calo degli ascolti TV tra uno stop e l’altro, indurrà i nuovi proprietari della F1 a far pressioni sulla Fia per abolire finalmente questo anacronistico e maledetto parco chiuso. Ce lo auguriamo tutti.


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