Haas, esperienza cercasi: non è tempo di un pilota USA

Haas, esperienza cercasi: non è tempo di un pilota USA© sutton-images.com

Gene Haas spiega perché è prematuro parlare di un pilota statunitense in Formula 1 con il suo team. Al terzo anno nella categoria servono piloti in grado di guidare la crescita della squadra: Grosjean e Magnussen spesso migliori della macchina nel 2017

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Fabiano Polimeni

14.02.2018 14:35

L'orgoglio a Stelle e strisce può attendere. Perlomeno sul fronte piloti. Altre le priorità e necessità Haas nel 2018 che non disquisire del se e quando un driver statunitense tornerà in Formula 1. Dai piloti serve l'esperienza per indirizzare lo sviluppo della monoposto, quella che Gene Haas è certo abbiano Romain Grosjean e Kevin Magnussen.

«Credo di sapere piuttosto bene da dov'è saltata fuori questa storia. A Guenther Steiner, il nostro team principal, è stato chiesto della possibilità di avere un pilota americano in Formula 1 e, nello specifico, con il team Haas. Ha risposto dicendo qualcosa sul fatto che non fosse in cima alle nostre priorità, da lì le cose sono andate in più direzioni, con le persone a fare un mucchio di supposizioni.

Siamo ancora in una fase di apprendistato in Formula 1 e portare un pilota che ha bisogno di imparare nella categoria probabilmente non è la cosa migliore né per noi né per loro. Sento che lo scorso anno ci sono stati momenti nei quali i nostri piloti erano migliori delle macchine che riuscivamo a dargli. Quindi, dobbiamo rafforzarci e sappiamo dove migliorare grazie, in gran parte, all'esperienza dei nostri piloti», racconta.

Per un Alexander Rossi che un breve assaggio di Formula 1 lo ha avuto con la Marussia, nei mesi scorsi Josef Newgarden ha manifestato il desiderio di avere una chance nella categoria. Entrambi in Indycar, categoria che assegna punti utili pesanti per la Superlicenza FIA: al vincitore del campionato ne vanno 40, tanti quanti una stagione da campione in Formula 2. Gene Haas guarda alla vicenda anche da un'altra prospettiva: «Non diciamo no alla possibilità di avere un pilota americano, la realtà però è che i piloti statunitensi che hanno una superlicenza e potrebbero davvero correre in Formula 1, dovrebbero essere in un team che possa essere per loro un riferimento e non il contrario.

Adesso, ci aspettiamo di poter essere noi pienamente in quella condizione, preferibilmente al più presto, ma siamo solo al terzo anno di Formula 1 e dobbiamo progredire in diverse aree».

L'ambizione nel 2018 è di incorniciare un campionato memorabile, tale sarebbe se davvero il gap dalla Ferrari dovesse essere di 5 decimi, limite fissato da Gene Haas per dire di un team competitivo, stante l'elevato numero di componenti acquistati a Maranello. Piena fiducia sui due piloti attuali, confermati con largo anticipo lo scorso anno: «Romain Grosjean e Kevin Magnussen stanno giocando un ruolo importante in questo miglioramento, grazie proprio alla loro esperienza. Ci aiutano, anche rapidamente, a definire se la strada che stiamo prendendo è quella giusta o se serve ripensare il nostro approccio. E' un bagaglio d'esperienza non quantificabile, per un team che punta a essere in lotta per ottenere dei podi anziché dei semplici punti.

Il dibattito sui piloti americani in realtà non esiste, credo in loro, il mio team NASCAR ne è peno e abbiamo vinto tante gare e campionati. Ovviamente è una categoria diversa, di sicuro ci sono dei piloti validi statunitensi che possono competere in Formula 1. Ma non siamo ancora pronti e, con i pochi test a disposizione delle squadre, sarebbe difficile portare chiunque – che non abbia già fatto parte di un programma di sviluppo - a essere al passo».


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