Tanti auguri Jacques Villeneuve: i 50 anni di un personaggio originale

Tanti auguri Jacques Villeneuve: i 50 anni di un personaggio originale© LaPresse

Il 9 aprile 1971, a Saint-Jean-sur-Richelieu, in Canada, vedeva la luce Jacques Villenuve, figlio dell'indimenticato Gilles e campione del mondo 1997. Un pilota, ed un personaggio, che oggi andiamo a riscoprire

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08.04.2021 17:56

Jacques Villeneuve è un tipo originale, istintivo, mai banale. Con il piede pesante e la lingua tagliente. Un cinquantenne a cui la carta d'identità non interessa e, vedendo come sia sempre stato un tipo tutto particolare, probabilmente non interesserà mai. 

Subito al top in F1, poi...

Su di lui la critica si è spesso divisa, a causa di una carriera per niente lineare. Jacques arrivò in Formula 1 nel 1996 come un uragano, con pole e 2° posto all'esordio, vincendo il titolo l'anno successivo e, di fatto, sparendo completamente dai vertici della categoria l'anno dopo ancora. Tutto questo dopo aver fatto faville nelle serie precedenti, tra cui la Indycar, dove vinse meritatamente titolo e 500 Miglia di Indianapolis, un biglietto da visita niente male. Dopo il successo del 1997, poi, quasi solamente delusioni, e qui gli esperti si dividono: i trionfi iniziali furono anche questione di fortuna, oppure è la seconda parte di carriera ad essere stata molto più amara?

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Rimpianti? Uno

Ultimamente nella diatriba la maggioranza va ai secondi, concordi nel dire che la bacheca del canadese sia più vuota di quanto il talento avrebbe meritato. Storia comune ad altri assi del volante, ma a Jacques di arrotondare le vittorie in F1 è dispiaciuto il giusto: se deve scegliere un vero rimpianto, per lui è quello di non essere riuscito ad imporsi alla 24 Ore di Le Mans, la classicissima francese dell'Endurance; avesse vinto anche lì, sarebbe stato il secondo di tutta la storia delle quattro ruote a far suo mondiale F1, 500 Miglia e 24 Ore, un traguardo ad oggi raggiunto solo da Graham Hill, il quale per non farsi mancare proprio niente ha fatto suo anche il Gran Premio di Monaco.

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Le passioni nascoste

Jacques è così, è uno che guarda avanti anche se ogni tanto gli piace pure guardarsi indietro. Come quando accende qualche vecchio videogioco degli anni '70 e '80 ("Ogni tanto torna la voglia di gioventù", si giustifica), giochi che si era messo di persona a sviluppare. Perché oltre alla musica, al poliedrico Jacques piaceva un sacco anche programmare al computer: era diventato bravino e dice che l'approccio alla programmazione lo ha aiutato pure nelle gare, nella ricerca degli assetti con gli ingegneri, nel tentativo di trovare l'azzardo giusto. La musica, invece, è stata più un passatempo: vi si è dedicato soprattutto dopo la F1, con un album composto con la sorella e dedicato al padre, insieme ad un disco da cantautore.

Sentirsi pilota

Oggi, con un microfono in mano, anziché cantare Villeneuve junior dice sempre la sua e non si preoccupa di ferire niente e nessuno. Parla liberamente, come ha sempre fatto. Spesso andando sopra le righe, caratteristica intrinseca del personaggio. Fa così perché ha sempre fatto così, mettendo su una buona schiera di nemici: un carattere tutto d'un pezzo, incapace di modellarsi a seconda delle evenienze; fu per questo che il rapporto con Michael Schumacher, tra gli altri, non decollò mai. Se la giocarono in pista fino alla fine arrivando alla ruotata (di Michael), e vinse Jacques. Anche per questo, non si sono mai stati simpatici. Eppure, sotto sotto, c'è da scommettere che si rispettavano. Perché tra grandi piloti il rispetto c'è sempre, al di là delle antipatie: "Oggi Eau Rouge a Spa la fanno tutti in pieno, ai nostri tempi non era così. Gli unici a farla in pieno eravamo io e Michael, e non era questione di tempi sul giro, perché al massimo guadagnavamo un centesimo. Era proprio una questione di sentirsi i piloti più forti".

Solo che mica vero che Jacques riusciva a farla in pieno sempre e comunque, della serie "conta il piede ma conta anche la macchina". Andiamo al 1999, il canadese corre per la Bar, va dal compagno Zonta e gli dice "Ehi, facciamo una scommessa: guardiamo chi dei due riesce a fare Eau Rouge in pieno". Scommessa accettata, ma la sfida termine in... pareggio: finiscono per schiantarsi tutti e due. Peraltro, Jacques era recidivo, perché aveva fatto la stessa fine l'anno prima con la Williams.

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Il bilancio finale

Ecco, questo era Jacques Villeneuve. Un pilota all'antica, uno che viveva di corse, non importava quali. Cercava la sfida, sempre. Come quando lasciò la Williams per la Bar: "Il titolo ormai lo avevo vinto, cercavo qualcosa di nuovo". Era la risposta a chi gli rinfacciava di essersene andato alla Bar solo per soldi, mettendo a repentaglio una carriera che effettivamente vedrà solo una manciata di podi fino al 2006, quando la sua carriera in F1 finirà definitivamente contro un muretto di Hockenheim. Fu fatto passare da infortunato, ma la realtà era che la sua squadra, la BMW-Sauber, non vedeva l'ora di mettere in macchina Robert Kubica. Il bilancio finale in F1, dunque, fu di 164 GP, 11 vittorie, 13 pole, 23 podi, 9 giri veloci, 235 punti ed un titolo mondiale. Tanto? Poco? Giudicate voi.

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Solo le corse

La durezza di un carattere spigoloso si era ramificata in lui nei primi anni di vita. Quando papà Gilles volò per l'ultima volta, Jacques aveva da poco compiuto 11 anni ed era casa con la mamma perché lui e la sorella dovevano preparare la comunione. Quel giorno la sua vita cambiò, e dopo aver pianto per giorni decise che era arrivato il momento di reagire. Divenne uomo tutto d'un pezzo, irrobustendo una scorza già dura nei successivi anni in collegio. Era uno studente brillante quanto si metteva d'impegno, ma la testa vagava troppo spesso alle corse. E non per papà, ma per se stesso. Lo sci fu un diversivo, ma non bastò a distoglierlo dal desiderio di correre in macchina. Mamma Joan provò a dissuaderlo a tutti i costi, ma non ci fu verso: Jacques voleva correre. E corse.


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