Enzo Ferrari? Manca a tutti, non solo alla Rossa

Enzo Ferrari? Manca a tutti, non solo alla Rossa

Come diceva Gianluigi Bonelli di Tex Willer, l’hanno fatto buttando via lo stampo

21.02.2023 15:34

Il 20 febbraio si sono celebrati i centoventicinque anni dalla nascita di Enzo Ferrari, coetaneo di Totò e dell’ex Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Poi, certo, c’è la faccenda del nevone che fece registrare due giorni dopo l’atto al comune, perché in realtà il Drake era venuto al mondo, de facto, il 18 del mese, ma questi son particolari. La verità è che, a quasi trentacinque anni dalla scomparsa, di lui si sente una mancanza dolorosa e bruciante e, ogni anno che passa, nell’animo di chi l’ha conosciuto anche solo tramite interviste, vulgata e conferenze stampa, il senso di disorientamento e dolce rimpianto si acuisce.

Perché? Per pochi e semplici motivi. Il primo. Chiedete al mondo chi è il calciatore più grande e scatenerete una bagarre a due, tra voti per Pelé e per Maradona. Domandate qual è il pilota più grande, e darete vita a un referendum infuocato, che toccherà epoche e campioni di più eterogenea natura. Ma provate a chiedere il nome del patron/costruttore più di culto e chiunque vi risponderà Enzo Ferrari. A maggioranza bulgara. Per la sua storia, unica e inimitabile, fatta di passione, cinismo, alfieriana volontà e voglia di non arrendersi mai. Per il suo carattere ferreo, permaloso, arcingno, esplosivo e a tratti introverso. Per il carisma, mai eguagliato da nessuno, nel mondo delle corse. Per la capacità di reggere la scena, con conferenze stampa istrioniche, temute e amate, teatrali, egoriferite e spettacolari. Monologhi infiniti con cui e in cui l’antico attorone lasciava il mondo pendere dalle sue labbra, quand’anche il palcoscenico, ovvero la scrivania, caracollasse tra le nebbie di Casinalbo, a due passi da Maranello.

La verità è che Enzo Ferrari era ipermediatico nei decenni della F.1 non mediatica e raggiungeva chiunque e qualsiasi entità sol perché ci arrivava, a prescindere dal medium e dai principi cardine di McLuhan. In fondo Socrate e Gesù Cristo, con rispetto e debite proporzioni parlando, non hanno mai lasciato niente di scritto eppure raggiungono da più di due millenni, volendo, ogni nato. Sì, quando sei speciale il contenuto prescinde dal mezzo e l’agente propulsore diventa lui stesso fuoco e ineludibile e precisissimo vettore. E della saggezza, della spettacolarità, dei difettacci, della permalosità, della dolente coerenza, dei motti di spirito, delle battute fulminanti e dei trionfi, delle infatuazioni e delle idiosincrasie e non di meno perfino delle indimenticabile sconfitte sue, sentiamo tutti profonda nostalgia.

Perché un Grande è un Grande e non manca solo alla Ferrari ma alla F.1 intiera, allo Sport, all’industria, alla mitografia e all’universo mondo, uno così. Tanto per dire, uno che fondò la Ferrari a 49 anni e a cinquantacinque, dopo aver vinto dappertutto e ripetutamente, era già leggenda. Lui era musica, financo esistenziale, e si propagò senza che ancora avessero inventato gli amplificatori e gli impianti voce d’oggi. Adesso abbiamo ripetitori che arrivano oltre Marte, ma tanti neo-padroni del vapore, quasi tutti, nel Motorsport e anche e soprattutto oltre il Motorsport, non hanno niente da dire e s’arrabattano a sussurrarlo con grazia unta, andando a sbattere contro il modello del Vecchio che proferiva solo sostanza e coraggio. Sempre, magari con qualche indoratura quasi invisibile di politica paracula ma puntualmente maschia assai e mai lontanamente liquida.

Chiaro, il concetto, no? E allora smettiamo di dire che Enzo Ferrari manca tanto alla Ferrari di oggi, poiché non manca solo ad essa ma a tutte le Case da corsa del mondo e anche al mondo stesso. In fondo, come Gianluigi Bonelli diceva e scriveva di Tex Willer e Kit Carson, di gente così, subito dopo averla fatta, il Padreterno buttò via lo stampo. E le Ferrari possono evolversi e replicarsi, gli stampi dei ferri nobili si fanno e rifanno, ma quelli d’un cristiano così, mai più. E, ponendo mente all'Enzo Ferrari neocentoventicinquenne percepito oggidì, vien da dire la stessa cosa che i chimici più romantici e sensati pensavano degli eroici alchimisti: non è che siamo alti noi, no: ce ne stiamo quassù sol perché siamo nani sulle spalle dei giganti. E il Drake, tra l’altro, era un meraviglioso omone.


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