Il 7 gennaio 2005, 20 anni fa, Christian Horner debuttava come team principal Red Bull; fu il coronamento di una carriera da manager cominciata dopo aver abbandonato quella di pilota, una scelta in cui Juan Pablo Montoya ebbe un ruolo decisivo: ecco come
Probabilmente, ammesso che non l'abbia già fatto, Christian Horner deve dire grazie a Juan Pablo Montoya. Perché senza di lui, può darsi che tutto quello che è arrivato dopo quel fortuito incontro (in pista), non sarebbe accaduto. E se oggi Christian Horner è ciò che è, ovvero il team principal più longevo in Formula 1 nonché uno dei più vincenti di sempre nella sua vita con la Red Bull, forse lo deve anche a quella giornata rivelatrice.
Occorre fare un passo indietro, per spiegare come ha fatto Christian Horner a passare da pilota di (poche) speranze a team principal pluri-iridato. E se ieri, 7 gennaio 2025, ha festeggiato i 20 anni alla guida della Red Bull, il motivo forse è legato a quel segnale che lui seppe intercettare con lucidità, lungimiranza e tanta sincerità nei confronti di se stesso.
Siamo sul circuito dell'Estoril, all'alba della stagione 1998, ed a 25 anni ancora da compiere Christian Horner è uno dei tanti che sognano un futuro da star dell'automobilismo, anche se nel dubbio ha già fondato la Arden, la sua squadra. Corre in Formula 3000 e spera di aprirsi qualche chance per campionati maggiori, anche se quella è solamente una giornata di test. In fondo al rettilineo dell'Estoril, c'è una veloce curva a destra: Horner sta uscendo dai box, ed in fondo al dritto vede sfrecciare Juan Pablo Montoya. Funambolico come suo solito, "Juancho" butta la macchina dentro, lotta con essa. Sta per perdere il controllo, ma tiene giù il piede. Ecco, questo basta per far scattare nel Christian Horner di allora un'amara consapevolezza: io questo non sono in grado di farlo.
Serve sincerità, a dirsi una cosa del genere. Soprattutto quando sei ancora giovane, sogni in grande e ti stai cimentando in una delle categorie, quella di pilota di auto da corsa, con l'ego più elevato che ci sia. Solo che Christian Horner ha deciso di non prendersi in giro: ha capito che non avrà mai la sicurezza, l’abilità o il coraggio per affrontare una curva in quel modo. Ha capito che di fare il pilota non se ne parla più. Il ruolo da team manager, già avviato con la fondazione della Arden (con un camper acquistato, pensate un po', da Helmut Marko, pure lui in quel campionato con la sua RSM Marko), sarà il suo futuro.
Oltre un quarto di secolo dopo, eccolo qui. E' un cinquantunenne felice, che ha speso quasi metà della sua esistenza in Formula 1, nel ruolo da un certo punto di vista più enigmatico che ci sia. E lui, che le epoche le ha attraversate, può dire di aver resistito a tutto, in un ruolo logorante e per un tempo che nessun altro tra i colleghi, finora, è stato in grado di sostenere. Essere al vertice di una scuderia di F1 è appagante, ma pure usurante da un punto di vista mentale. E invece lui è ancora lì, forte dei suoi 14 titoli, dell'orgoglio di aver portato la Red Bull dal ballo delle debuttanti a regina del Circus, della consapevolezza della tenacia che ci è voluta per tenere testa a tutto: al tempo, alle critiche, alle stagioni e pure al terremoto di circa un anno fa, quando in una spiacevole settimana di febbraio erano partite accuse ed illazioni senza controllo. Christian Horner ha resistito, come solo quelli dotati di granitiche certezze e forza mentale possono fare: era una situazione che rischiava di esplodergli tra le mani e di far implodere la squadra, invece lui ha tenuto la barra dritta. Simpatico è sempre risultato a pochi, almeno a tanti della F1; tuttavia, non si può non sottolineare la fermezza e la caparbietà con cui è stato in grado di resistere all'urto. Ha messo il team al primo posto, ha accettato a malincuore l'addio di nomi illustri (Newey su tutti), ma ha pure saputo ricorrere alla diplomazia quando è servito: si è chiarito, almeno così sembra, con Jos Verstappen ed Helmut Marko, ritrovando un'unità d'intenti che sembrava smarrita. E dopo il terremoto di inizio anno, Max Verstappen ha fatto il resto. Senza più l'appoggio dell'immenso fondatore Dietrich Mateschitz, scomparso nell'ottobre 2022 (Christian, vincendo il Costruttori proprio nel weekend della tragica notizia, si commosse pensando a lui), è una vittoria che vale ancora di più: perché Mateschitz era stato il vero collante della scuderia, e non avere più un appoggio del genere è stato un qualcosa che qualunque capo avrebbe sofferto. Ci ho sofferto anche Horner, certo: ma ha risposto presente di fronte a quella che era un'altra grande sfida.
In queste due decadi Christian Horner è, inevitabilmente, cambiato. Nell'aspetto, nel fisico, nelle parole, nella vita privata. Ha fatto spallucce anche di fronte ad un matrimonio chiacchierato, perché chiacchierati sono stati i modi e la persona al sua fianco: quando ha conosciuto Geri Halliwell, che insieme a Melanie Chisholm, Victoria Adams, Melanie Brown ed Emma Bunton ha formato quella band mondiale nota come Spice Girls, non ha esitato a mettere da parte il vecchio matrimonio pur di prendere una nuova strada. Oggi, con Geri, compongono una famiglia felicemente allargata: c'è spazio per tutti. Grazie a lei, il Chris privato frequenta amicizie nel mondo della musica, si gode una bella vita ed una bella casa, si diverte a seguire, dove e quando può, il suo Coventry, da circa un quarto di secolo alla ricerca del ritorno nella massima serie calcistica inglese.
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Magari ce l'avrebbe fatta lo stesso, o forse no. Fatto sta che quel pomeriggio all'Estoril, Juan Pablo Montoya gli ha dato una grande mano a schiarirsi le idee sul suo futuro. Da ragazzino Chris stravedeva per la Leyton House di Newey, lottava con la mamma di Verstappen nei kart e sfidava piloti che, proprio come Juan Pablo, sarebbero arrivati in F1. Con Montoya, seppur in vesti diverse, si sono a malapena sfidati: il colombiano è stato fatto fuori dalla McLaren a metà del 2006, dopo appena un anno e mezzo dal debutto della Red Bull, allora progetto ancora in piena ricostruzione. Oltre un quarto di secolo dopo, comunque, Chris Horner continua a non dimenticarsi della "lezione" di JP: può dire che sia stato meglio così.
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