Dieci, cento, mille Spa

Ma il gioco maschio consentito a Verstappen deve essere permesso a tutti

30.08.2016 09:56

Nel Gp del Belgio sono successe un paio di cose semplici. Finalmente si è tornati a correre su un circuito vero e, coincidentemente quanto sorprendentemente, il collegio dei commissari, per la prima volta dopo anni luce, ha adottato un comportamento non intromissivo nelle faccende di gara.

Cominciamo dal punto uno

La Formula Uno ha disperato bisogno di tracciati come Spa. Possono essere tanti i guai del Circus, ma è sufficiente riaccendere i motori su un posto cazzuto e improvvisamente tornano sfide vere, curvoni da brivido, sorpassi ignoranti e incidenti cattivi causati da errori non perdonati, in un anfiteatro naturale caratterizzato da rischio ragionevole. 

La F.1 è questo e dovrebbe essere solo questo. 

Il resto, il glamour, il gossip, il wrestling, le sciarade gommose, l’hospitality show e il paddock club sono cose che esalterebbero tutt’al più Alfonso Signorini o Simona Ventura, non certo i duri e puri del Motorsport.

E, come potete vedere, in questa rubrica non si predica sterile nostalgia per il passato, ma semmai nostalgia per un presente agonistico rarissimo, episodico ma attualissimo. Dieci, cento, mille Spa.

Andiamo al punto due.

Il protagonista del giorno è Max Verstappen, non tanto e non solo nell’incidente del via, ma anche e soprattutto per il successivo comportamento di gara e nelle dichiarazioni post-corsa, il tutto dichiaratamente intimidatorio nei confronti di Kimi Raikkonen e la Ferrari, nonché palesemente teso a lavare la presunta offesa ricevuta, creando a suo dire le condizioni per scendere a vie di fatto.

Chiariamoci: stare a parlare accapigliandosi su quello che è successo alla frenatina della Source tra i tre boys è tempo perso. 

Quello è solo un episodio istantaneo che lascia il tempo che trova.

La vera morale, valida da qui in poi ma intuibile anche prima, è un’altra. 

Max Verstappen è uno velocissimo e, quel che più conta, malgrado i 18 anni, possiede, unitamente a capacità di guida sopraffine, una personalità tracimante, alle soglie dell’arroganza pura, e un istinto naturalmente prevaricatore, da vera bestia da corsa. 

Cose molto belle e molto brutte, tutte fuse insieme, come capita tra i rarissimi animali da corsa che appaiono sui tracciati una volta ogni dieci anni.

Max crede infinitamente in se stesso e chiede ferocemente rispetto, lanciando segnali agonisticamente e dialetticamente piuttosto spaventosi. Questo è il punto.

Okay, faccia pure. La cosa si fa maledettamente interessante.

Ora tocca ai colleghi, da Monza in poi, dimostrare che non lo temono affatto.

Bene ha fatto il collegio dei commissari a non intervenire e benissimo ha fatto la Ferrari a non protestare scompostamente piangendo per la presunta bua ricevuta.

Se c’è qualcosa da chiarire sul piano degli equilibri comportamentali collettivi - una questione complessa e affascinante, che va ben al di là di una toccatina al tornantino -, verrà fatto soprattutto in pista, dalla prima frenata di Monza in poi. Tra piloti.

Perché vedete, magari Max Verstappen ha davvero bisogno di una lezione, forse sta esagerando, eppure ancor di più la F.1 ha bisogno di qualcuno che corre fuori dal coro e che, semmai, la lezione a dargliela, pur muovendosi nel lecito, non siano i commissari preposti con un’ordinanza, ma i colleghi in pista, se hanno le capacità e le palle di farlo.

In poche parole, se alla prossima si ritrova ad assaggiare un cartellone pubblicitario a Biassono, poi non si deve lamentare. Di più. I commissari dovranno restare tranquilli e lasciar correre, perchè non è possibile che a ogni collegio corrisponda un atteggiamento giurisprudenziale diverso. Altrimenti le parole di Jacques Villeneuve, che vede Max pompatissimo e protetto, acquisterebbero senso profetico. 

Il gioco maschio dev'essere consentito a tutti o a nessuno. Se no, se il vino è truccato, le bevute non sono pari e l'oste frega, la taverna vale poco.

Il più classico spirito della F.1 vuole che la questione del rispetto sull'asfalto tra piloti scaturisca dal confronto diretto tra loro, perché in questo le belve da corsa sono come gli animali della foresta: ruggiscono, attaccano, mordono o subiscono, si ritraggono e poi capiscono.

A uno come Jack Brabham non conveniva rompergli le palle. E a Nigel Mansell neppure. Ayrton Senna lo capì non subito ma poi, diciamo da Barcellona 1991, se ne rese conto e cambiò approccio, divenne più dolce con lui.

L’importante, anche se probabilmente è irrealistico auspicarlo, è che i giudici arbitri arbitri non si intromettano troppo, poi sarà uno spasso vedere come i ragazzi si spiegheranno tra loro.

Così come gli economisti neoclassici dicevano che la mano invisibile del mercato avrebbe messo le cose a posto da sola, così il confronto secco e spietato tra piloti in pista deve, dovrebbe e dovrà chiarire le dinamiche tra le parti in causa.

Lasciamo che siano gli attributi di chi corre e non i mattinali cartacei da periti assicurativi a stabilire i rapporti di forza e capacità tra campioni in lizza.


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