Il mondiale lo sta perdendo il cosiddetto direttore di corsa

Il mondiale lo sta perdendo il cosiddetto direttore di corsa

Nulla di personale, ma Michael Masi la F.1 non la sa reggere. Uno che va nel panico, contratta decisioni e ci mette ore per dire la sua, rischia solo di rovinare tutto

06.12.2021 10:48

Niente di personale contro Michael Masi, magari è un grande uomo di corse e un meraviglioso ragazzo di famiglia e amico degli amici. Però se c’è una figura apicale di questo mondiale che esce malconcia da una stupenda e tiratissima stagione, è proprio lui. In Arabia Saudita i mille indizi, le tante sensazioni e le enormi perplessità acquisite altrove sono diventate improvvisamente realtà, con le ombre che hanno preso corpo e i fantasmi che son diventati prove schiaccianti.

Prima bandiera rossa senza senso

Che senso ha quella prima bandiera rossa data a causa delll’uscita di Mick Schumacher al decimo giro, che permette a Verstappen di ripartire in pole e con le gomme giuste e cambiate nell’intervallo? Una manipolazione di classifica pesante, rilevante, immotivata, con un titolo mondiale tutto da giocare, a fronte di una Haas da rimuovere che non aveva neppure rovinato le barriere ma solo un po’ stracciato la scritta di uno sponsor. E poi l’assurdo, insopportabile e trafelato clima da contrattazione, da mercato del pesce, da bar affollato nei dialogi radio, tra team principal e direttore di corsa, tra offerte, controfferte, polemiche in diretta, nuovi schieramenti di partenza che si decidono un tanto al chilo e un senso di desolante e scarsa autorevolezza di chi invece dovrebbe averne a bizzeffe.

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Quando c'era Charlie Whiting

E, soprattutto, un dato di fatto che fa inorridire: i disciplinati, ovvero i sottoposti, ossia le squadre, i piloti e i team principal, di Michael Masi non hanno alcun timore e vantano evidentemente non tantissima stima, perché si rivolgono a lui o a chi per lui mediamente con un atteggiamento così aspro e alle soglie dell’insolenza, che dice già tutto, a prescindere da chi nella singola tra le infinite polemiche abbia ragione o torto. C’era una volta Charlie Whiting, con la sua infinita esperienza, la sua autorevolezza e la sua rara capacità di accettare e stabilire un dialogo pur mantenendo una posizione di preminenza e supremazia su tutti. Tanto che lo chiamavano tutti “Ehi, Charlie”, ma poi le decisioni venivano rispettate senza troppe preteste e in genere con tutti zitti e mosca. Michael Masi no.

Masi in affanno

Altra roba. Appare trafelato, ondivago, dà troppe spiegazioni quando non dovrebbe darne affatto e non ne dà quando farebbe bene a esser più chiaro e motivato. Nel Gp d’Arabia, all’interno di una gara sicuramente e oggettivamente difficile da disciplinare, su un circuito fonte di mille problemi alla minima emergenza, perché quasi totalmente sprovvisto di vie di fuga, Masi invece d’apparire la torre ferma che non cade, punto di riferimento del Circus e anche superarbitro, garante nelle cui mani riposano l’equità e la regolarità dell’epilogo della sfida mondiale, appare una volta di più alle soglie della zona panico: incerto, balbettante, inutilmente dialogante, logorroico e anche, tutto sommato, scarsamente reattivo oltre che lento, lentissimo nelle decisioni da adottare. Financo decretando Virtual Safety Car per raccogliere semplici detriti una ben diversa dall’altra quanto a durata, quando in tutti i casi c’era solo da raccogliere un pezzetto di carbonio e via. Insomma, se in pista la lotta è stata ancora una volta estrema e spettacolare, il feedback che ha dato il timoniere della gara è stato, una volta di più, sconfortante, se non agghiacciante.

Quando serve fermezza

Anche perché dall’uomo forte della F.1, dall’autorità permanente che discilplina ogni volta la corsa ci si aspetta fermezza, totale polso della situazione e capacità di tenere a bada tutti i possibili questuanti via etere con una personalità che, oltre a non ammettere repliche, non accetta proteste, rimbeccate o polemiche in diretta. Proprio non si capisce per quale motivo ci sia più rispetto, allure e sottomissione nei campetti di terza categoria per un arbitro di calcio qualsiasi, che magari nella vita fa l’assicuratore e da uomo nero può contare solo sui rimborsi a pie’ di lista, mentre nei posti più ricchi del mondo, durante la messa in scena dello sport più danaroso e corporated del Pianeta, tutti i partecipanti sono pronti a imbestialirsi e a spernacchiare in diretta chi dovrebbe tenerli al guinzaglio e invece appare spaventatissimo e solo desideroso di blandirli, di compiacere i più potenti in modo bipartisan manco fosse a un congresso democristiano, in cui bisogna acquietare tutte le correnti prima di riuscire a far sera. No, così non ci siamo. Il messaggio che arriva dal Gp d’Arabia è che in F.1 ormai l’arbitraggio ha troppo spazio e poca consistenza, tanto protagonismo mediatico e, in proporzione, ben poca e condivisa autorevolezza nelle decisioni. Il mossiere ufficiale, colui che tiene in mano per tutto il campionato le redini dello svolgimento e della disciplina di gara deve essere uno che mette paura a tutti. Uno con lo sguardo di Diabolik e la cultura agonistica di Stirling Moss, buonanima. Uno che ti toglie la voglia di contraddirlo fin da un’ora prima del via. Uno che comanda e che sa comandare.

Il "consiglio" a Masi

Un dittatore assoluto e credibile, perché in un Gran Premio di F.1 la democrazia non esiste, non deve neppur lontanamente esserci, il dialogo neanche e tantomeno le contrattazioni, le trattative e gli aggiustamenti strada facendo con caciara da mercatino della Vucciria. A dirigere un Gran Premio ci vuole un uomo forte, uno che ha la divisa soprattutto perché deve condurre le operazioni in modo militare e non militaresco, con l’autorevolezza del capo assoluto e non coi tentennamenti e l’andamento ondivago di un nocchiero tremolante, contraddittorio e incerto. Per questo, quando ancora non è chiaro chi sarà il vincente in pista tra i due infiniti contendenti di questo mondiale, a oggi il perdente ahinoi già si conosce ed è l’arbitro assoluto, colui che tiene le redini delle operazioni di corsa. E Dio voglia che alla fine della gara di Abu Dhabi non risultino determinanti per l’assegnazione del titolo i mezzi puntacci maledetti assegnati nel corso della sfilata farsa di Spa, nel piovasco culminato con quella vergognosa e fulminea oltre che laica processione, perché a quel punto uno dei campionati più belli e tirati della storia della F.1 finirebbe inquinato da una delle decisioni formalmente giustificate da qualche comma di regolamento alla purchessia ma più sostanzialmente e sportivamente vergognose in tutta la storia delle corse.

Caro Michael Masi, massimo rispetto per il tuo ruolo, la tua esperienza, la gavetta fatta e le tue responsabilità: chi scrive odia frasi arruffapopolo tipo dimettiti o vattene perché non fanno parte della cultura delle corse e tantomeno di questo giornale. Però, credimi, come si dice negli uffici seri, se hai un po’ di ferie arretrate, a questo punto pensaci su e, intanto, vedi di scaricarle.


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