Cosa cavolo aspettano a dire di sì a Andretti?

Cosa cavolo aspettano a dire di sì a Andretti?

I padroni della F.1 dovrebbero fare salti di gioia e invece nicchiano...

16.05.2022 09:49

Greg Maffei, presidente di Liberty Media, nel corso di un evento organizzato da Bloomberg, ha parlato della possibilità di un undicesimo team in griglia di partenza dal 2024 in poi, rilasciando una dichiarazione stupefacente: "In certi casi ci sono in realtà dei problemi: i paddock in alcuni posti non hanno più di 10 garage. E aumentare il numero di squadre nel tempo non è una priorità pressante. Non abbiamo sentito questa esigenza".  Ricordo anche che per iscriversi al mondiale di F.1 occorre versare preventivamente una cauzione di 200 milioni di dollari, a titolo di garanzia.

Andretti, voglia di F1

Nel frattempo dal 18 febbraio scorso giace inevasa la richiesta d’entrata di Andretti Global, ossia la possibile nuova squadra di F.1 gestita da Michael, figlio di Mario, il quale vanta la gestione di un top team in IndyCar, ovvero l’Andretti Autosport, con ramificazioni in Indy Lights, Indy Pro 2000, Formula E e in Extreme E. In poche parole, Andretti, insieme a Penske e Ganassi, in monoposto ha la squadra più solida e vincente negli Stati Uniti. E, tramite la discendenza lineare del patriarca Mario, la trigenerazionale Andretty dinasty resta la più forte, gloriosa e radicata di sempre nel Motorsport a livello mondiale. Di più. Michael Andretti non solo ha capitali e pedigree per entrare in F.1, ma è pronto a espandere il raggio d’azione, realizzando un’antenna tecnologica in Gran Bretagna e a schierarsi pure in F.2 e in F.3, per allevare giovani talenti.

Andretti, cuore e dinastia da corsa

Gli Andretti sono nelle corse da sessantaquattro stagioni e non hanno mai piantato un chiodo a nessuno. Sono amati, stimati, corretti. Le corse sono la loro vita. Semplice. La presenza aggiuntiva di Andretti Global in F.1 sarebbe un ponte importante tra Stati Uniti e F.1, con conseguenze interessanti per entrambi i mondi. Da qui la domanda: cosa aspetta la F.1 a spalancare le porte ad Andretti? Nel migliori dei mondi possibili la domanda di partecipazione alla F.1 2024 di Michael sarebbe stata accettata di default, senza neanche stare a discutere, invece qui no. Macché. Il contario. Passano mesi e mesi senza avere uno straccio di riposta ufficiale e addirittura il promoter, nella figura del Presidente, lancia un messaggio trasversale freddino e anche una puntina schifato.

Perché tanta attesa?

Ma, dico, stiamo scherzando? Possibile che questa cosa passi del tutto inosservata? Prima di tutto la selezione, la scrematura istologica e la certificazione dei partecipanti spetta alla Fia, non a Liberty. Anche perché giudicare le attitudini di capacità tecnologica e dei requisiti economici, strutturali e logistici di Costruttore e della rispondenza ai regolamenti, è materia basica connessa anzitutto alla sicurezza e quindi a una valutazione di merito riservata alla Federazione.

I controsensi della faccenda

Altra cosa è un eventuale veto dato dall’ipotetica indegnità o incompatibilità morale ovvero da una palese e preclara oltre che pregiudiziale insussistenza di requisiti economici: situazioni limite per le quali, allora sì, il promoter potrebbe eccome storcere il naso e dire la sua, mettendosi di traverso. Ma, francamente, non mi sembra questo il caso. Anzi. Vado oltre. Quando Maffei sostiene che in alcuni posti sedi di Gp non ci sono più di dieci garage dice il vero, ma si dà la zappa sui piedi. Perché box limitati ce ne sono solo in quelle location del cavolo che lorsignori prediligono sol perché gravide di petroldollari o dollaroni, preferibilmente ancorate a circuiti cittadini d’inesistente tradizione ed esotica quanto dollarosa identità. I tracciati permanenti veri e di antica storia di posti macchina per le Formula 1 ne vantano a dismisura, tranquilli.

E questo è niente. La storia del campionato dice chiaramente che solo in tempi di chiari di luna, leggi alla fine degli Anni ’60, si ebbero così poche monoposto al via, venti, come oggi. E il principio della porta semi-chiusa e dell’esclusività dell’appartenenza al club F.1, anche tramite una cauzione d’ingresso devastante sul piano economico per gli aspiranti nuovi team, è tutto ciò che resta della filosofia ecclestoniana. Il credo di Mister E, in sintesi, diceva e continua a dire questo, anche se Bernie adesso sta a casa e comanda Liberty Media: le squadre in F.1 devono essere pochissime e rappresentare soggetti fortissimi, la crema dei Costruttori mondiali che si sfidano in mondovisione con budget illimitati, generando un giro d’affari stellare: difatti su Audi e Porsche che vogliono entrare, nessuno dice niente, son già le benvenute, ci mancherebbe altro.

Questione di visioni

In altre parole, è la visione della F.1 come una specie di Coppa America con regate su un mare d’asfalto sparso in tutto il globo, ovviamente nei siti dei Paesi più ricchi, con le macchine e i marchi che diventano più importanti degli uomini, tanto che il mondiale Costruttori distribuisce stramiliardi di dollari, di fatto impallando e facendo ombra al titolo piloti. Il quale geneticamente era il primo e il solo alloro iridato che la F.1 doveva assegnare, e che invece da allora diventa una specie di investitura onoraria. Perché la ciccia vera la si mangia mordendo il torneo dei team. Team che sono iperselezionati e ammessi con criteri misteriosi ed esoterici, che neanche il dopolavoro aerospaziale o il club dei Templari. Poi, ovvio, se mi stai a genio, entri, sennò stai fuori.

Per esempio, appena Gene Haas - che non aveva mai costruito un mezzo semovente in vita sua -, ha detto di voler correre in F.1, s’è trovato disco verde. Tre lustri fa, quando SuperAguri chiese d’iscriversi un mese per l’altro e i termini d’invio erano già bell’e scaduti da un pezzo, fu ammesso da Bernie, per far felice la Honda, con tanto di bacio accademico.

Ultime considerazioni

Da tutto ciò ne faccio derivare qualche considerazione di puro buon senso. Punto uno, storicamente venti monoposto iscritte al mondiale sono pochissime. Una miseria agonistica. Punto due, la selezione e i criteri d’ingresso spettano alla Fia e a nessun altro. Liberty si preoccupi di organizzazione, calendari, Gran Premi e Gran Premietti, catering e Paddock Club. Punto tre: ricordo a titolo di ripasso che questo è uno Sport. E come tale per principio d’ingresso non deve avere la porta chiusa, ma quella aperta. Cioè, una volta fissati requisiti d’adesione, chiunque in possesso di tali qualità e rispondente in tutto e per tutti ai criteri d’ammissione, non solo può, ma DEVE poter entrare. Sennò la Formula Uno funzionerebbe alla stregua di una consorteria e allora sì che si rischierebbe di meritare ben più penetranti attenzioni da parte di autorità competenti che si occupano di situazioni al limite della regolarità. Negli Anni ’90 Mario Monti - futuro Presidente del Consiglio del Governo Italiano - quando era ancora Commissario Europeo, ebbe anche la ventura di occuparsi di possibili violazioni dell’AntiTrust da parte della gestione della F.1, proprio per comportamenti a tendenza esclusivista e piuttosto simili nella filosofia a quelli sopra accennati. Poi il tutto finì in nulla, come spesso accade, ma il segnale resta. E forte. La Formula Uno dall’entrata quasi impossibile, dalle sbarre impenetrabili non solo per gli spettatori ma pure per i team, non ha ragion d’essere. Anzi, viola gli ideali dello Sport e i princìpi del libero mercato. "L’incontro con la FIA è andato bene, abbiamo lasciato la riunione con sensazioni positive. Penso che Ben Sulayem sia a supporto, però c’è un grande percorso da compiere. La risposta potrebbe arrivare a settembre-ottobre", ha spiegato Michael Andretti, a Miami. C’è da augurarsi che tutto possa procedere liscio. E non solo per amor di giustizia e calda stima nei confronti degli Andretti, ma anche per il bene stesso della Formula Uno.


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