Macché bibitari, la Red Bull si beve tutti

Macché bibitari, la Red Bull si beve tutti

Merita più rispetto: da tre lustri è la squadra più stabile, monocratica e immutabile nel mondiale di F.1 con una visione che sta cambiando la storia delle corse

27.06.2022 09:52

Trovo sempre più spiacevole sentire o leggere a proposito di F.1 il termine di bibitari spregiativamente e sferzantemente utilizzato per etichettare gli uomini forti del team Red Bull. Bibitari ’sto cavolo, perché bisognerebbe piantarsela di cercare di ridicolizzare, minimizzare o ridimensionare un fenomeno di rilevanza commerciale e sportiva planetaria.

Red Bull, un po' di storia

Per riconoscere che Red Bull è la più grande, abbacinante e sconvolgente sorpresa, sia nel mercato turbocapitalista globale che nel mondo delle corse turboidride e non, da mezzo secolo a questa parte. La Red Bull è una bevanda energetica nata nel 1987. Tempo dieci anni di rodaggio e nelle rispettive discipline d’appartenenza in tempi diversi si è messa a creare guai, grossissimi guai, problemi grandi come montagne, ai più noti, riconoscibili e tesaurizzati marchi nella storia dell’umanità imprenditoriale, tipo Coca-Cola, Mercedes e Ferrari. Se negli Anni ’90 un qualsiasi Nostradamus da strapazzo avesse previsto che la F.1 sarebbe stata sconvolta, mutata e influenzata come non mai da una squadra nata dal nulla, priva di qualsiasi precedente motoristico e composta al vertice da un pilota deluso dalla F.3000, da un pensionato e da un tecnico altrove considerato geniale ma quasi ingestibile perché strano, estremo e bizzoso, sarebbe stato preso per matto e incamiciato.

E invece no. Eccola qui, la Red Bull di F.1. Struttura originalissima, mai vista prima, del tutto inimitabile, ipermoderna, monocratica, superverticistica ma anche dal variegato e stratificato impegno, tale da segnare passi avanti strutturali fondamentali nel modo di gestire e creare una realtà da corsa, cogliendo traguardi importanti e anche edificando nuovi forme d’intendere il mondo racing.

Non paragonatela alla Benetton

Qualcuno storcerà il naso e dirà che anche la Benetton, in tempo recente, è stata un ottimo e precedente esempio di gestione di sponsor che sa diventare Costruttore, ma non è affatto vero che il ciclo del marchio trevigiano in salsa racing abbia qualcosa di paragonabile o omogeneo all’epopea Red Bull. Perché l’energy drink team nasce da zero, dalle ceneri della fallimentare Jaguar F.1, di fatto azzerando qualsiasi asset precedente per ripartire da zero e non come la Benetton che sfruttava le immense potenzialità di una piccola ma meravigliosa squadra preesistente, ovvero la Toleman, alla quale mancavano solo capitali e certezze di programma per affermarsi e deflagrare nel mondo delle corse. Red Bull no.

Operazione vincente

Quando subentra a ciò che resta della Jaguar sembra tanto d’assistere a una di quelle operazioni di breve e malinconica durata, con un po’ di cinema al paddock e niente più. Anche perché nelle corse il marchio aveva iniziato in F.3000 con Enzo Coloni portando qualche soldo vero ma anche il pesante fardello dell’inquietante Markus Friesacher, uno dei piloti più lenti mai visti su una macchina da corsa.

La triade

E invece l’operazione di Costruttore F.1 non solo regge ma divampa, mutando per sempre approccio e dettami gestionali, con la creazione di una struttura importante ma agile, solidissima e maneggevole, dotata di un centro di comando semplice, chiaro e sintetizzabile in tre figure: Helmut Marko, collante e terminale del gran patron Dietrich Mateschitz, Christian Horner, responsabile sul piano gestionale, e Adrian Newey, patron indiscusso e indiscutibile sul piano tecnico. In altre parole, un plenipotenziario, un team principal e un genio, punto. Una triade immutabile nei decenni, caso unico in F.1 Tutto il resto sta sotto, ubbidisce e tace. Ragazze e ragazzi mediamente freschi e motivati come non mai, dal muretto delle precise strategie alla pit-lane.

La rivoluzione nella selezione dei piloti

E quanto ai piloti la filosofia è anche in questo campo innovativa, rivoluzionaria e duttile, flessibile, adattabile a ogni esigenza. Red Bull, tanto per cominciare, è la prima realtà di F.1 che crea una vera e propria università del campione. Non un ateneo finto per spulciare soldi ai figli dei ricchi ma un Erasmus del motore che alleva baby dal kart in poi, plasmando generazioni di eletti investendo su di essi allo scopo di portarli al successo. Ma occhio, perché se c’è bisogno i giovani si acquistano direttamente ai supermercati altrui, come nel caso di Vettel strappato alla Bmw F.1 e condotto a segnare un vero e proprio ciclo di trionfi iridati, nella prima fase matura del team, dal 2010 al 2013.

Oppure i piloti si acquistano già bell’e maturi all’hard discount, alla voce potenziali ma ingiusti disoccupati, tipo Sergio Perez. Il tutto però, tornando a ragionare di giovani, con uno stile inconfondibile: Red Bull ti prende, ti protegge, ti fa crescere e saltare di categoria progredendo, a patto che tu vinca, sennò fuori dalle scatole.

Gestione spietata

Non si comporta, ad esempio, come Toyota e Renault dei bei tempi andati, che se ti prendono a benvolere poi diventano delle zie sempre presenti, proprio no. Da un momento all’altro un Red Bull boy può ritrovarsi dalle stelle alle stalle e non sempre con spiegazioni cogenti o motivazioni stringenti. Se vuoi stare sicuro, devi trionfare spesso, vincere gare e titoli, sennò vattene a lavorare, riga. Quelli che contano in Red Bull sono tre, due dei quali Horner e Marko, molto duri e cattivi, all’occorrenza.

La libertà

Horner è un leader che tiene basso profilo, ma se s’incazza è una biscia velenosa e quanto a politica sportiva e regolamenti non teme lezioni da nessuno. Marko è un comunicatore costante, tosto, furbissimo e ruvido, capace di mettere i rivali costantemente sotto pressione dalla mattina alla sera, tutti i giorni, con dichiarazioni puntuali, fastidiose e ficcanti. Newey per parte sua nella Red Bull ha finalmente trovato, al contrario delle parentesi precedenti alla Williams e alla McLaren, un datore di lavoro che gli lascia carta bianca, non lo controlla poliziescamente, gli si affida completamente senza coartare nessuna delle tante sue geniali e non irreggimentabili inclinazioni. Vuoi progettare pure barche? Okay. Supercar? Perché no. Desideri correre a Le Mans da pilota? Ma sì, dai. Hai in mente di realizzare F.1 estreme e sperimentare idee che altri non hanno anche quando non ce ne sarebbe bisogno? Fai come vuoi, ci fidiamo di te. Ed è così che Newey, il Leonardo da Vinci della F.1 posteroica della sintonia fine, trova in Red Bull l’unico paradiso a lungo sostenibile, all’interno della sua gloriosa e variegata carriera. E quanto alla gestione del punto debole strutturale dell’impresa, ossia, a differenza di Mercedes e Ferrari, la fornitura della power unit, la Red Bull non fa altro che muoversi alla grande. Creando prima un cliclo vincente con la Renault e poi edificandone un altro con la Honda, reduce dalla catastrofe con la sinergia McLaren. Due cicli.

Cicli vincenti

Unico team a riuscirci dal 2000 in poi, perché il titolo di Kimi fa parte ancora dell’era Schumi, avendone tutti gli uomini. In altre parole, tornando a parlare di motori, anche adesso che la Honda stessa almeno formalmente ha fatto un passo indietro, Red Bull ha trovato le alchimie giuste per andare avanti alla grande. E così facendo RB sta anche realizzando uno dei sogni di Enzo Ferrari, ossia vincere mondiali a mitraglia con piloti che non avevano ghermito prima titoli correndo per la concorrenza, visto che lo stesso Max Verstappen è a tutti gli effetti una creatura di Marko, che ha investito e creduto su di lui, facendolo diventare il primo e unico minorenne della F.1 da qui all’eternità, visto che ormai i teenager sotto i diciotto anni sono stati vietati per sempre.

Bibitari? Basta!

Insomma, basta, finiamocela di svilire, rimpicciolire e sminuire l’immagine, il senso e la visione di Red Bull nel mondo delle corse perché, al contrario, il Toro Rosso è simbolo di lungimiranza, innovazione, cambiamento e successo. Creando anche, in quel di Faenza, una seconda squadra satellite capace di vincere a più riprese in entrambe le sue incarnazioni di marchio, a chiudere il cerchio. Per questo, comunque vada, rispetto per Red Bull. E basta chiamarli bibitari, perché rappresentano in F.1 esattamente il contrario. Visto che sono quelli che da anni si stanno bevendo tutti.


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