Uffa, tutte ’ste bandiere rosse manco alla festa de l’Unità

Uffa, tutte ’ste bandiere rosse manco alla festa de l’Unità

Usano le interruzioni di gara per mascherare la noia dello strapotere di Red Bull e Verstappen

03.04.2023 09:30

Ormai la F.1 è come Iva Zanicchi: ha passato i settanta da un pezzo, arriva, racconta la sua barzellettaccia e poi giuliva passa per l’incasso. Ma se con l’Aquila di Ligonchio tutto ciò ci può anche stare, per la massima espressione dell’automobilismo vedere in mano ai marshal più bandiere rosse che alla Festa nazionale dell’Unità mette gran tristezza e fa provare qualcosa di peggio che una quieta e rassegnata indignazione.

Lo spettacolo artificiale, unica arma contro Max

Perché la sensazione è che i padroni della F.1 abbiano trovato l’espediente orrendo di spezzettare, sfigurare, centrifugare e sfregiare la gara, trasformandola in qualcosa di sincopato, caotico, casinaro e incomprensibile per mascherare la vera vergogna della situazione. La quale recita chiaro che dopo il tentativo di strombazzata rivoluzione tecnologica e narrativa grazie alla seconda generazione turboibdrida, qui ci si ritrova con due mondiali 2023, Piloti e Costruttori, già assegnati praticamente dopo la prima frenata della gara iniziale, con trame scontate per ventitré Gp più sei Gran Premietti, più mosci della erre di merci, e una leadership Maxiana probabilmente e presumibilmente più lunga di quella di Fidel Castro. Non a caso adesso andare a prendere la Red Bull risulta impossibile per chiunque, a test zero e potenziale di spesa imbrigliato dal budget cap. E continuando con queste regole la più temibile rivale della futuribile RB99 potrebbe essere per il novantaquattrenne Max Verstappen una sospetta ipertrofia prostatica, peraltro curabilissima, quando e se sarà. Dai, tre bandiere rosse in una gara sono una follia.

Così, nemmeno la Safety Car ha più senso

Non s’erano viste manco a Imola 1994, nella corsa ahinoi più tragica, caotica e assurda (ma ben diretta) nella storia della F.1 moderna. E le bandiere rosse non s’erano viste neanche alla Indy 500 1992, quando, con una temperatura da polare in piena primavera, le gomme non andavano in temperatura e più di dieci vetture s’erano schiantate a muro polverizzandosi e mandando diversi piloti in ospedale, tra milioni di detriti in pista. Ma nessuna paura: arriva la pace car, tutti in fila, due colpi di scopa e si torna a correre a 350 di media. In questa F.1 no. Prima un mezzo annuncio di safety-car e poi red flag una dietro l’altra, che non avevano dato manco a Le Mans 1955, alla 1000 Miglia 1957, in Belgio 1960 o al Gp d’Italia 1961, ossia tra i giorni più neri nella storia delle competizioni a motore. Su, nella cultura di chi le corse le conosce e le respira da una vita, utilizzare la bandiera rossa vuol dire fare i conti con una situazione gravissima e non diversamente padroneggiabile. Feriti gravi in pista, mezzi di soccorso in azione, mancanza totale di condizioni di sicurezza non altrimenti ripristinabili, un tifone in atto o un cataclisma in corso. Invece a Melbourne 2023 ci si ferma tre volte in pit-lane per motivi che a Monaco col braccio di una gru e una passata di aspiratutto andavano a posto in due balletti.


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