Bianchi, quell’abbraccio che resterà

La famiglia Bianchi ha voluto che l’ultimo abbraccio al figlio Jules non fosse in forma privata. Voleva sentire un ultimo abbraccio, prima del silenzio che calerà inevitabilmente. E l’abbraccio è stato forte, commosso, arrivato da una comunità (quella da corsa) che non era pronta. Forse non lo si è mai, ma per questa generazione di piloti l’aria inevitabilmente pesante che si è respirata ieri nella cattedrale Saint Reparate di Nizza è stata una amara novità. Tanti, tanti piloti sono arrivati alla spicciolata dalle prime ore del mattino. Ex colleghi del karting, altri delle formule minori, fino ai volti più conosciuti della Formula Uno. Sono entrati in chiesa senza un protocollo, ma quando al termine della cerimonia il feretro di Jules è stato spostato sul piazzale della Cattedrale, proprio loro, quei ragazzi che senza casco e tuta sembravano così giovani e spaesati, si sono stretti spontaneamente in un abbraccio. Un gesto che ha riassunto tutto. C’è chi inevitabilmente ha accusato il colpo più di altri, ma ha subito trovato un braccio in più a cui appoggiarsi. Ci sono modi diversi di vivere questi atroci passaggi che a volte il destino riserva ad amici e familiari. C’è chi sceglie la riservatezza, e chi come i genitori e i fratelli di Jules, sente la necessità di essere circondati dall’affetto. E il piccolo mondo della Formula Uno (quasi al completo) ha risposto, facendo la cosa giusta nel modo giusto. Papà Philippe, tra le tante lacrime di dolore, ne avrà versata anche qualcuna di orgoglio ed emozione. Ora per la famiglia Bianchi verrà la parte più difficile, ma se vorrà sfogliare qualche foto e leggere le testimonianze lasciate davanti alla Cattedrale Saint Reparate, ne avrà tante con cui alleviare, anche solo un pochino, il suo dolore. Roberto Chinchero

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