Addio, Forghieri, custode dei nostri sogni

Addio, Forghieri, custode dei nostri sogni

Aneddoti e ricordi di una persona formidabile che ha segnato un'epoca. Ecco chi era Mauro Forghieri

02.11.2022 12:48

Una volta, anni fa, ci dovevamo vedere per un’intervista e Mauro Forghieri mi dette appuntamento fuori dal casello di Modena Nord. All’ora convenuta pagai il pedaggio, vidi alzarsi la sbarra e sulla destra cercai l’ingegnere, che già era lì ad aspettarmi. Tirai giù il vetro e lui venne a parlarmi, appoggiandosi al montante della macchina. "Allora, tutto bene? Come è andata? Traffico?".

Momento memorabile

Lo guardai e il cuore mi mancò un colpo. Ero al volante e lui chino a parlarmi, con quelle domande. Poco importa avessi una Skoda da 200mila chilometri e non una Ferrari 330 P4. Era la sua postura a mandarmi in orbita. Sai quando ti si apre un universo in due secondi? Col cuore a mille stavo pensando in diretta: "Forghieri chino a farmi domande mentre lo guardo dall’abitacolo. È una cosa sacrale, la porta del paradiso, vedere un uomo che per decenni è stato in questa posizione con i più grandi piloti del mondo facendoli vincere, è un’immagine laicamente messianica, il senso della passione di noi tutti. Il simbolo del cuore per le corse, delle emozioni più belle, di Clay, Niki, Gilles e Jody. Questo non è solo un genio, un vincente, un uomo piacevole, l’effige fosforica della Ferrari primordiale e verace e il testimone privilegiato e decisivo del suo tempo... No, Mauro Forghieri è anche molto di più, per tutti noi malati di corse, specie di una certa Ferrari di una certa epoca. È la romantica password della nostra passione, il custode di un paradiso nostalgicamente perduto, che quando vuole tira fuori le chiavi e ci riaccompagna amabilmente dentro. Tra i nostri sogni belli che furono realtà. Quest’uomo è magico, ora come allora. È magico e lo sarà per sempre, perché ha il potere di far viaggiare le anime nostre solo evocando un ricordo, un nome, una sigla di macchina. È uno degli uomini più importanti delle nostre vite di appassionati e di sicuro il più evocativo, il più caldo, il più vero".

"Be’, alora ? - Con una elle sola, all’emiliana, mi disse lui -: che hai, lacrimi?". Ma no, ingegnere, sarà l’allergia.

Custode dei sogni

Fine dell’aneddoto, che precede la notizia secca, anche se nel giornalismo serio non bisognerebbe mai fare così. Ho scritto queste righe subito e davanti, perché penso sia così per tutti noi, adesso. Non se ne va solo un grande della F.1, dell’endurance e del Motorsaport, ma il custode caldo dei nostri sogni motoristicamente più nostalgici ed esaltanti. Se n’andato a ottantasette anni, ma è uno di quei pochi uomini che ha sempre avuto la stessa età.

L’età di Mauro Forghieri. Una cosa unica, tutta sua. Maturo già quando era giovanissimo, fresco, freschissimo nel momento in cui l’anagrafe avrebbe potuto farlo vecchio. Lui è stato sempre lui, altroché. Il più rinascimentale dei geni ingegneristici della F.1, perché sapeva e sapeva fare tutto. Telaio, aerodinamica, motore, e che motori, sospensioni, viti, rondelle e prigionieri. Tutto. Come Pico della Mirandola. Dal foglio bianco alla macchina finita, passando per gestione in pista, sviluppo, tattiche, rapporto coi piloti e, ovviamente, litigate con Enzo Ferrari. "Ho anche dato consigli sentimentali a Chris Amon, peraltro sbagliando", ricordava. Brenda Vernor, la mitica segretaria particolare del Commendatore, lo dice ancora: "Mauro è il solo che poteva strillare nel’ufficio di Enzo Ferrari. Poi tutto si calmava. Cominciava la spiegazione dolce e alla fine si salutavano di buon grado. Funzionava così".

Una vita di corsa

Arriva in F.1 a ventisei anni, da neolaureato in ingegneria meccanica e, essendo bravissimo e figlio di Reclus, capomeccanico della Ferrari dell’era ruggente, il Vecchio lo mette subito nel giro dei Gran Premi, sulle prime a vivere il clima della squadra dominatrice con la Sharknose, nel 1961. "A dire la verità in Ferrari c’ero già stato per una specie di stage, poi alla chiamata vado felice, anche se il miuo sogno è sempre stata l’aeron autica. Debutto in F1 assistendo al Gp di Montecarlo 1961 e mi godo la vittoria di Moss con la Lotus di Rob Walker. Il solo campione della storia che cava la carrozzeria per guidare refrigerato. E fa bene. Cioè, al mio esordio, la più grande lezione di ingegneria me la dà un pilota. “Cominciamo bene...”, penso. Poi tutto scorre veloce. Il gran capo Chiti litiga con Ferrari, con lui Tavoni e altri che se ne vanno. La Rossa resta sguarnita e il Commendatore resta quasi solo e mi chiama. “Mauro, tocca a te”. Ho ventisei anni e mezzo".

Gli dico che so di una gran cazziata che prese da Chiti, a metà stagione, al Gp di Francia 1961. Lui mi guarda e fa "Vero, ma non ricordo perché. E se non lo ricordo, vuol dire che era una cosa da niente. E non ne ricordo altre, di cazziate prese".

Neanche da Enzo Ferrari? "Quelle erano discussioni in modenese, altra roba".

Campione del mondo con Surtees nel 1964, a 29 anni. Campione del mondo con Lauda, a quaranta. Poi ancora con Lauda, quindi con Scheckter nel 1979. Iridato con la Ferrari in endurance nel 1962, 1963, 1964, 1965, 1967 e 1972. In tutto fanno dieci. Dieci e lode, Ingegnere. E poi c’è la Ferrari 330 P4, il bolide più bello nella storia del creato. "Dai, non esageriamo - commentava lui - . Mi spiace solo che ne abbiam fatte poche e che non me ne sono fatta regalare una", chiosava ridendo. Direttore tecnico e timoniere in pista della Ferrari dal 1962 al 1984, poi Lamborghini, Bugatti, Oral e le consulenze per la Bmw. Tante cose. Ma lui è lì, a rappresentare molto di più. Lui è e resterà per sempre l’uomo immagine della nostra passione.

Se la F.1 ha una effe davanti, bloccata da un punto, l’unica spiegazione possibile è che quella effe, nel cuore di noi tutti, vuol dire Forghieri.

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