Ciao, meraviglioso Patrick Tambay

Ciao, meraviglioso Patrick Tambay

Il nostro giornalista traccia un ricordo personale del forte e amatissimo pilota Francese

06.12.2022 09:23

Lo definirono “il più bel sorriso della F.1 dai tempi di Francois Cevert”. Patrick Tambay era questo e molto di più. Uno stupendo pilota, molto amico di Gilles, una cara persona, un galantuomo. Purtroppo ci ha lasciati, a causa dell’aggravarsi delle conseguenze del morbo di Parkinson, che l’aveva colpito da anni.

Molto di più del sostituto di Villeneuve

Tra gli appassionati di F.1 era noto soprattutto per il suo arrivo in Ferrari in pieno 1982, a sostituire uno dei suoi più cari compagni di gara, appunto quel Gilles Villeneuve che aveva conosciuto nel 1977, ai tempi in cui entrambi correvano nella Can-Am con le ex F.5000, Patrick per Carl Haas e l’Aviatore per Walter Wolf. Il canadese da lì si sarebbe guadagnato lo shot in Ferrari, mentre in francese avrebbe debuttato in F.1 prima con la Surtees, senza successo e subito dopo con l’Ensign, inanellando una serie di prestazioni stupefacenti, sempre a ridosso dei migliori, con una macchina da museo, tanto da sfiorare il podio nel Gp d’Olanda, exploit impeditogli solo da una panne secca nel finale di gara.

Tra Can-Am e F1

A fine stagione esce indenne da una terrificante incidente a Monza, che lo vede ribaltato strisciare per centinaia di metri sull’asfalto, salvato dal rollbar che regge. Nel 1978 approda alla McLaren diventando uomo Marlboro, ma tre macchine sbagliate di seguito distruggono la prima fase della sua carriera nei Gp. Nel 1980 eccolo tornare alla Can-Am, sempre con la Lola dell’importatore locale Carl Haas, stavolta con la T530 in luogo della vecchia T333CS guidando la quale fa il bis, portando a due i titoli vinti. Il 1981 lo rivede in F.1, prima con la Theodore e quindi con la Talbot, a sostituire l’infortunato Jabouille. E proprio con la Theodore stupisce il mondo ottenendo un sesto posto strepitoso a Long Beach. Ma il seguito della stagione lo vede ancora una volta lottare in fondo al gruppo con vetture poco competitive e da lì il secondo addio alla F.1, per tornare nella solita e solida Can-Am.

L'arrivo in Ferrari

Sarà appunto il tragico incidente di Gilles a Zolder a rilanciarlo con l’inatteso ingaggio della Ferrari, cui farà seguito, nel Gp di Germania a Hockenheim, un entusiasmante e liberatorio trionfo, il giorno dopo del terrificante crash in cui Didier Pironi ha visto spezzarsi le gambe e la carriera. A tre quarti di 1982 Patrick sembra addirittura proiettato verso una clamorosa rimonta iridata che potrebbe dargli il titolo, ma un incredibile infortunio, con un nervo leso durante una seduta di fisioterapia, lo toglie di scena per alcuni determinanti Gran Premi, tarpando le ali al suo sogno mondiale.

L'impresa a San Marino e il licenziamento

Malgrado questo, nel 1983 rieccolo al via da competitor iridato con la prima Ferrari in carbonio, la C3, che arriva a metà stagione. Nel frattempo, Patrick ha già fatto piangere mezzo mondo andando a vincere il Gp di San Marino 1983 con la C2 evoluta, correndo in onore di Gilles, in una Imola che sembra il Maracanà. Col francese trascinato al trionfo da un tifo incontenibile. Sarà quello il suo giorno di gloria più alta e idealizzata, col popolo ferrarista che lo adotta a beniamino anche per i modi gradevoli, per il fare gentile e l’atteggiamento da brava, bravissima persona. E proprio con questo spirito, a fine stagione, apprenderà e prenderà il licenziamento dalla Ferrari, che gli preferisce il giovane Michele Alboreto. Una gran brutta notizia, aggravata dal fatto che a dargliene notizia non è la casa di Marenello, ma Pino Aliievi della Gazzetta dello Sport...

L'ultima lezione di Patrick

Sbollita la delusione, Patrick passa alla Renault portandosi con sé il fedelissimo ingegnere Tommaso Carletti. Dopo quest’esperienza tutto sommato interlocutoria, a metà Anni ’80 terminerà la carriera in F.1 guidando per la Beatrice-Force-Lola, vettura di Carl Haas, lo stesso che gli aveva dato fiducia nella Can-Am 1977, spalancandogli le porte del professionismo ad alto livello. È una specie di perfetta chiusura del cerchio. A fine 1986, a 37 anni, Patrick chiude coi Gp, dandosi al’endurance con la Jaguar-Twr, prima di diradare le sue presenze nelle corse attive, fino all’addio. Nel 2006 torna alle monoposto nella MasterGp Series, partecipando a una prova a Kyalami, in Sudafrica, nel corso della quale si confida in una lunga chiacchierata col sottoscritto, confessando qualche rimpianto per quel 1982 così esaltante e sfortunato: "Senza quel problema in fisioterapia, quel mondiale avrei potuto vincerlo davvero, nel nome di Gilles e della Ferrari. Peccato, evidentemente il destino voleva altrimenti. D’altronde la vita è esattamente questa: in essa ottieni ciò che meriti, filtrato da quello che ti capita".

Una frase che resta una belissima lezione esistenziale per tutti noi. E per una fortuita chiusura tipografica anticipata, il momento non è propizio per ricordarlo da subito sulle pagine cartacee di Autosprint, per esigenze di chiusura redazionale. Ma sappiate che nel numero successivo, in edicola non questo martedì bensì l’altro, dedicheremo a lui tante pagine e un caldo Cuore da Corsa, come merita.

Ciao, Patrick.


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