James Hunt, una vita spericolata tra sogni e speranze

James Hunt, una vita spericolata tra sogni e speranze

Trent'anni fa la scomparsa di Hunt, il campione della disfida con Lauda nel 1976, ma non solo quello...

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Stefano Tamburini

15.06.2023 ( Aggiornata il 15.06.2023 10:01 )

Non c’erano confini da varcare in quella vita confusa tra sogni e desideri, un po’ fumetto e ancor più romanzo fatto di vittorie e sconfitte da festeggiare sempre e comunque, fra tante gioie e pochi dolori, in pista come fuori. Non c’erano frontiere in quel continuo slalom tra possibile e impossibile, perché uno come James Hunt non sapevi mai se fosse reale o spuntato da una sceneggiatura fiabesca sospesa tra palco e realtà. Era uno che poteva sbucare anche in un film western, in una delle avventure di 007, in un fotoromanzo e anche nel porno dell’epoca, molto ruspante e con poca trama. Non c’era niente di scontato in quella vita spericolata che altro non era che un’ubriacatura di felicità. Sì, certo, c’erano anche le sbronze da alcol e belle donne, ma era soprattutto l’acceleratore dell’esistenza a trovarsi sempre giù, a tavoletta. E quindi chi può dire se sia stata davvero troppo breve la permanenza terrena di chi non dava peso a niente, né al tempo che passava né ai consigli per una vita sana. Se non quando era ormai troppo tardi.

Uno così, per chi l’ha visto e per chi non c’era, veniva da pensare che non dovesse o non potesse andarsene mai. Invece, proprio come era accadu- to in pista, sparì dalla vita senza un’avvisaglia, trent’anni fa di questi tempi. Era il 15 giugno del 1993 e James non aveva ancora compiuto 46 anni ma era come se ne avesse vissuti il doppio, vista l’intensità di un’esistenza sempre al massimo, ben oltre quel che è rimasto negli archivi di giornali e tv. E nel film “Rush” che si sofferma sulla grande rivalità con Niki Lauda al Mondiale del 1976, l’uni- co conquistato da Hunt.

Hunt si arrese a un attacco cardiaco: il cuore sottoposto a emozioni, stress e stravizi si fermò come uno fra i tanti motori andati in fumo durante le corse. Non le trattava benissimo le auto, così come non trattava bene sé stesso. Lo chiamavano “Hunt the shunt”, lo schianto, per quelle carrozzerie ammaccate e per quei motori straziati. Ma a lui importava ben poco, perché l’importante era sempre dare tutto, così in pista come fuori. Inutile cercare paragoni, perché un pilota così non c’è stato prima e non c’è stato dopo e non potrà mai esserci in futuro, perché il Sistema non gli darebbe scampo.

Il paddock ruspante

Certo, quelli di Lauda e Hunt sono tempi molto diversi da quelli di oggi, in tutto il Motorsport. Non ci sono le faraoniche hospitality, non ci sono i paddock blindati ma quelli ruspanti, il pranzo è spesso un piatto di pasta da mangiare accovacciati sugli pneumatici usati accanto ai rivali in pista.

Tuta arrotolata ai fianchi, torso nudo, capelli al vento e due risate per stemperare tensione e non pensare al pericolo. Perché quella è una Formula Uno grandi rischi, dove le iniezioni di incoscienza servono più degli antidolorifici. Fosse solo per la mano indolenzita dal cambio manuale durissimo da smuovere centinaia di volte per ogni sfida. Non vince molto Hunt, appena dieci Gran Premi su 92 corse disputate in sette annate intensissime, anche se la prima comincia poco prima di metà stagione e l’ultima si chiude con largo anticipo. Ci sono anche 23 podi e 14 pole position ma è come se fossero state molte di più. Perché uno così non si può non notare, anche quando corre con monoposto da retrovia. Anzi, riesce proprio a vincere con una macchina che sembra un ferro da stiro, portata in pista con i soldi di un giovane miliardario per meriti ereditari, grazie a un progettista geniale che muove i primi passi rabberciando monoposto usate. E anche con l’aiuto di un capo scuderia ex pilota di Formula Ford reduce da una crisi spirituale tale da indurlo a fare per anni il guru nel Bhutan...

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