Ricordando Stommelen

20.03.2013 ( Aggiornata il 20.03.2013 11:37 )

La memoria calda è l’unica forma di giustizia delle corse. Troppe le variabili, i retroscena, le incognite, le unghiate folli del destino per fidarsi di quella strana e frettolosa storia ufficiale che emerge dai libri grandi e dalle realtà patinatamente sovracutanee della Tv. Stando alla vulgata che emerge a 70 anni dalla nascita di Rolf Stommelen e a 30 esatti dalla sua scomparsa sembrerebbe quasi che il pilota tedesco non sia mai esistito. E invece no. Rolf era uno di quelli che col casco in testa andavano di fretta davvero. In F.1, nei prototipi, con le Silhouette e in Gt. Preferibilmente sui luoghi più pericolosi del pianeta sparato alla velocità d’una pallottola. Dai saliscendi del Nurburging al profondo della notte di Le Mans, al volante di una Porsche 917, passando per le affascinanti pieghe quasi intestinali della Targa Florio, piuttosto che sul banking a bucare la notte di Daytona o sui curvoni assassini del parco del Montjuich, a pelare le lame dei rail.



Quella faccia un po’ così
Una faccia come tante, la sua, appartenente a un passante a 300 all’ora, tutt’altro che causalmente presente nei posti e nei luoghi in cui altri scrivevano la storia ufficiale. Capelli scuri, mossi, labbra carnose solo quando si staccano dagli angoli della bocca, quasi per una forma strana di discrezione somatica. E gli occhiali. A volte fumé, in tanti altri casi no. Simbolo d’un deficit visivo raro per i piloti dei Sixties e dei Seventies, da compensare con una montatura Ray-Ban style e un cuore immeso. Aveva iniziato a correre serio nel 1964, con una sua Porsche 904 Gts. Da quanto andava forte, a forza di battere le vetture Casa, lo avevano chiamato nella squadra ufficiale e aveva subito mostrato talento da vendere e coraggio mostruoso. Classe 1943, un anno in meno di Rindt. A quei tempi, alla fine degli Anni ’60, non era facile trovare un pilota di lingua tedesca che filasse a razzo e senza paura comunque, ovunque e con qualunque tipo di macchina. A 26 anni assaggià già la Formula 1, nel Gp di Germania 1969, visto che per completare la griglia nell’immensa Nordschleife vengono ammesse anche le F.2 e lui fa capolino con la Lotus di Winkelmann.



Domatore della Porsche 917 a Le Mans
Sempre nel 1969 porta per la prima volta a Le Mans la mostruosa Porsche 917 prima versione, che sta in strada solo grazie agli iposostentatori mobili. Quando divampa la polemica sulla regolarità del dispositivo, Stommelen viene mandato fuori con la 917 neutra, per dimostrare l’inguidabilità della mostruosa vettura senza il suo salvavita e le acrobazie del tedesco per tenere in strada l’agghiacciante e incontrollabile creatura entrano di diritto nell’immaginario collettivo degli appassionati. La dimostrazione riesce. La 917 senza i suoi marchingegni è così spaventosa, che tanto vale ammetterli per il bene di tutti. Rolf esce da Le Mans 1969 vivo e con la pole position. L’anno dopo inizia con la F.1, quella vera. È pilota Brabham grazie alla sponsorizzazione del periodico tedesco “Auto Motor und Sport” ed è terzo al Gp d’Austria, nell’anno della consacrazione postuma di Jochen Rindt. Resterà il suo miglior risultato in F.1. Da lì in poi nei Gp solo delusioni, a volte cocenti, in un caso addirittura tragiche. Nel Circus disputa solo altre due vere stagioni complete, nel 1971 con John Surtees, col quale a fine anno è protagonista di una memorabile litigata con tanto di divorzio. Niente di che, è l’abituale epilogo di chiunque si perigli di guidare agli ordini del bizzoso “Figlio del Vento”. Poi l’altra annata buttata via, con una March avveniristicamente trasformata in Eifelland, azienda leader nel settore di roulotte, che produce alla fine una monoposto visivamente shockante quanto prestazionalmente sterile. Basta così. Da lì in poi capisce che le vere soddisfazioni se le potrà togliere con i prototipi e si lascerà la F.1 solo per dignitose comparsate, con predilezione per il Gp di casa al Nurburgring, perché nel frattempo sulla Nordscheife vige una specie di leggenda: sulle 176 curve più cattive e strappacuore del pianeta delle corse, non c’è essere umano capace di frenare un istante più tardi di Rolf Stommelen.



Specialista dell’endurance
Le corse di durata rappresentano la sua dimensione naturale. Perché è intelligente, non prevarica, in squadra non mette casini e pesta giù deciso senza rompere le macchine. E ha fegato, sia quando va che quando si schianta. All’inizio degli Anni 70 sbriciola il suo prototipo Alfa Romeo contro i micidiali rail del Watkins Glen, riuscendo a trarsi miracolosamente in salvo mentre il fuoco avvolge spietato il rottame della vettura. A chi gli chiede con struggente candore se il suo gesto significa sfiducia nei commissari, Rolf risponde con una battuta che lo dipinge tutto: «Sono assolutamente certo che i marshal avrebbero spento l’incendio e subito dopo estratto me dalla vettura. Ho solo un lieve dubbio: sarebbe accaduto con me vivo o bruciato? Vede, se sono qui a parlare con lei è perché sono uno che ogni tanto dà importanza ai dubbi». Stommelen non è mediatico, ma ha l’ironia affilata di chi parla poco però con la dialettica trova subito il punto di corda dell’essenziale. E vince non tantissimo, ma corse che restano. La Targa Florio 1967, su Porsche 910, piuttosto che la 24 Ore di Daytona, la sua vera corsa fortunata, ghermita quattro volte in tre decadi, nel 1968, nel 1978, nel 1980 e nel 1982.



La leggenda di Nurburgring 1976
Rolf è amato da queli della Porsche. È l’uomo che ha tolto la verginità alla 917 a Le Mans e nel 1976 gli tocca di svezzare la sua erede, la 936. Il Mondiale Sport si apre alla 300 Km del Nurburgring, una gara sprint e lì Rolf fa faville e spiega alle rivali Renault Alpine che il retrotreno del suo “Diavolo Nero” lo vedranno solo al via. Poi in gara le cose vanno a modo loro e la 936 ancora acerba lo costringe lungamente ai box, ma Stommelen è così veloce da terrorizzare costantemente i rivali francesi. Nessuno lo sa, ma anche quand’è in pista i guai sono micidiali. Difatti il suo acceleratore è bloccato a fondo corsa, ma Rolf non s’arrende. Escogita un modo folle e geniale di guidare, un inquietante on-off: nelle curve spegne l’interruttore generale e in uscita lo riaccende, tanto che guidando così a vita persa alla fine quasi vince. Pazienza, ormai tutti lo sanno: sulla Nordschleife quando ha la macchina giusta nessuno può battere Rolf Stommelen. E al volante di una Porsche 935 o 936 è un brutto cliente ovunque e per chiunque. Come a Le Mans 1979 quando è capomacchina della 935 in coppia con l’attore Paul Newman e il team manager Dick Barbour. È un anno strano, i prototipi saltano come tappi di champagne e nella notte rimangono a giocarsi tutto Stommelen contro la 935 K3 dei Kremer guidata da Whittington-Whittington-Ludwig. La Sarthe nelle tenebre è una trappola maligna per Rolf, che avendo gli occhiali sembrerebbe meno ficcante, eppure se quella gara che gli sfugge la vuole vincere deve evitare di pensare che sta dividendo l’abitacolo con un attore daltonico e un simpatico pancione. E Stommelen nel buio di Le Mans è imprendibile, viaggiando 25” al giro più veloce dei suoi coequipier e gettando nell’inquietudine gli avversari fino a che un dado ruota che non si vuole svitare gli fa perdere ai box manciate di minuti tombali. Okay, sarà secondo pur essendo il più bravo in pista.

    

L’occasione del Montjuich 1975
Ci sono giorni nella vita di un uomo in cui la fortuna passa, come un treno senza orario. Se sei lì, sali e lo prendi. Se esiti sei fregato. Per Rolf Stommelen il solo direttissimo in F.1 transita nel 1975, quand’è al volante della Lola del team di Graham Hill. La pista è insopportabilmente pericolosa, diversi big hanno rinunciato a proseguire la corsa, altri hanno semplicemente alzato il piede, fatto che che a trovarsi al comando lanciato verso un inatteso trionfo è proprio Rolf Stommelen. Sembra una bella favola dell’uomo invisibile ai media e ai giri giusti del Circus, con la macchina di Graham Hill che sta per ritirarsi dalla carriera di pilota. Una storia struggente di cui la F.1 avrebbe bisogno. Invece no. L’ala posteriore cede e vola via, la Lola di Stomelen diviene un missile cieco impazzito che cerca bersagli a bordo pista, facendo strage. Muoiono Mario De Roia, 31 anni, canadese, giornalista, il collega spagnolo Antonio Font Bayarri, 28 anni, Andrés Ruiz Villanova, 38 anni, spettatore e Joaquín Benaches Morera, 52 anni, commissario antincendio. Stommelen è ferito e se la caverà.



La delusione con l’Arrows
Nel 1978 l’ultima vera grande chance in F.1. Da una costola della Shadow nasce la Arrows e Stommelen trova i marchi in contanti della birra Warsteiner, per assicurarsi il secondo sedile della Fa1, al fianco di Riccardo Patrese. L’italiano vola, rischia anche di vincere il Gp del Sudafrica, mentre Rolf va onestamente e niente più. Il trattamento non è di prima classe, ma il tedesco deve ammettere che nei Gp la sua stagione volge al termine. È un anno particolare, coi piloti non al top che si devono accontentare di gomme di legno. Da giugno in poi Rolf lotta con coperture da museo e piomba in una sequela annichilente di non qualificazioni consecutive. A un giornalista tedesco che ai box gli chiede le ragioni della crisi, il pilota gli mostra un suo pneumatico che reca un marchio inconfondibile: sta correndo con un set di vecchie gomme provenienti dalla antica F.5000 britannica, morta l’anno prima. ÈÈ la fine. L’ultimo Gp in cui prende il via è al Watkins Glen, poi, dopo la mancata partenza in Canada, il definitivo addio alla F.1.



Un uomo sfortunato
Il resto della sua carriera è tutto con le ruote coperte. Lì sì che il suo canto del cigno potrà diventare un meraviglioso e lungo addio. Rivince Daytona, nel 1982, ed è sempre tra i più forti nel mondiale Marche, nell’Interserie piuttosto che nel campionato tedesco Sport, dove di soldi ne girano tanti. Il 1983 potrebbe essere un anno interessante, perché finalmente la nuova Porsche, la 956, sarà disponibile anche per i privati. Un buon terzo posto a Monza, tanto per cominciare e poi quella gara dell’Imsa a Riverside, dove Rolf, con una vecchia 935 di John Fitzpatrick, lotta per la vittoria. Il resto è un racconto che a chi scrive fece Bob Wollek, per simboleggiare la metafora dell’inesorabilità del destino. «Rolf Stommelen morì nel 1983, in un giorno d’aprile, su una pista apparentemente non così pericolosa. A parte un punto, nel quale però era difficile sbagliare e Rolf non sbagliò. Gli cedette il supporto dell’alettone, un po’ come gli era accaduto in F.1 al Gp di Spagna, e la Porsche andò per conto suo. La traiettoria casuale fu precisa, millimetrica e puntava verso un muro di cemento. Non sarebbe bastato: per farsi male ci voleva un angolo d’impatto sfortunato e Stommelen, ormai passeggero, subì anche quello. Non ebbe scampo. Le ferite alla testa si sarebbero rivelate mortali. Se qualcuno conoscesse la storia e la fine di Rolf Stommelen, non penserebbe mai che nelle corse la sfortuna non esiste». Trenta anni sono passati da quel giorno. La classe, il cuore, il coraggio di Rolf Stommelen la meritano tutta quella memoria calda che rapresenta l’unica forma di giustizia vera, nelle competizioni. E per chi non si limita a leggere e basta ma lo fa pure col piacere di sentirsi giudice delle proprie emozioni, sa che l’unica sentenza che deve emettere sta in due righe. L’uomo e il pilota Rolf Stommelen rappresentano il simbolo di qualcuno e qualcosa da ricordare per sempre.

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