L’incredibile storia della ultima vittoria Ferrari a Le Mans

L’incredibile storia della ultima vittoria Ferrari a Le Mans

Anche un... pilota fantasma sulla 275 LM che si affermò nel 1965!

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10.06.2023 ( Aggiornata il 10.06.2023 12:53 )

Siete dei razionalisti, dei granitici concreti e nelle corse, in fondo in fondo, credete solo agli albi d’oro e alla storia scritta solo dai vincitori? Bene, stavolta c’è qualcosina che fa per voi. Intanto rassegnatevi: dopo aver letto queste righe non sarete più gli stessi. Il ramo dell’albero su cui sedete sta per essere lentamente ma inesorabilmente segato. Il mistero ha inizio qualche anno fa. Durante una chiacchierata con Brian Redman, ultra80enne signore dell’endurance degli anni ruggenti. L’uomo che in biposto ha vinto tutto meno che Le Mans. Basta buttare là una frase. Questa: «Uno che trionfa due volte a Daytona può farlo anche a Le Mans». «Tre Daytona, prego», fa lui. Beh, gli albi d’oro dicono due. «No, tre. Ho guidato anch’io la vettura vittoriosa nel 1970: una Porsche 917, di notte, ma la cosa è segreta, non risulta nelle cronache ufficiali.

Quell’anno, con problemi ai freni, giunsi primo e secondo correndo in due equipaggi». Ma... «Niente “ma”, è così. Sarebbe stato peggio se avessi vinto Le Mans e nessuno se ne fosse accorto. Si dice in giro che a qualcuno sia capitato...». Cosa? «Beh, scava...».

Torna alla mente quella frase del film “Il Buono, il Brutto e il Cattivo”: «Il mondo si divide tra chi ha una pistola carica e chi scava. Tu scava».

Redman ha la pistola, a me la pala. Senza fretta, tra un colpo di badile e un’asciugata di sudore, i sospetti si concentrano su un’edizione della 24 Ore. La 1965, con la sfida al calor bianco tra Ferrari e Ford. Una delle più epiche e palpitanti, con ogni probabilità tra le dieci corse più importanti della storia. Vinta dalla Ferrari 275 LM della Scuderia NART di Luigi Chinetti con Jochen Rindt e Masten Gregory al volante. Ad una ad una le vetture ufficiali, favorite, togate e ultraveloci, progressivamente si ritirano e prende corpo l’ipotesi di vittoria di un’auto data solo per piazzata, guidata da un 23enne di belle speranze, Rindt, appunto, e da un 33enne reduce da mille battaglie, coperto più di ferite che di medaglie. Sì, lui, Gregory.

Ma è proprio questo il punto. Solo da loro due? Piano piano il colpo di scena comincia a prefigurarsi. Alcuni tra i più valenti studiosi americani della storia delle corse, gli Art Evans, i Janos Wimpffen, i Mike Argetsinger, sussurrano e poi scrivono su carta grossa che a Le Mans ’65 su quella Ferrari è salito un terzo uomo. Un pilota senza volto. Ma con un nome: Ed Hugus. Nato nel ’23 in Pennsylvania e cresciuto nell’Ohio. Valente e oscuro veterano di dieci 24 Ore, che nella notte tra il 19 e il 20 giugno 1965 avrebbe preso il volante della 275 LM in una situazione d’emergenza, salvando capra e cavoli. Perché col buio e la nebbia Gregory, uno dei rari occhialuti nelle corse degli anni d’oro, non ci vede e Rindt in giro proprio non si trova. Insofferente ai saggi dettami delle corse di durata, il futuro iridato postumo di F.1 non vede l’ora di piantarla lì e accetta la sfida solo a patto di poter correre una 24 Ore a ritmo da Gran Premio. Il gioco riesce. Il pomeriggio di domenica Gregory e Rindt sono proclamati vincitori. Già, ma Ed Hugus dov’è finito? Perché non festeggia anche lui? Di più. Per quale motivo Rindt, Gregory e lo stesso Chinetti non riconoscono i suoi meriti, anzi, tengono le bocche ben cucite? I tre non potranno mai rispondere. Sono morti rispettivamente nel ’70, nell’85 e nel ’94 portandosi il segreto nella tomba. Ma a complicare le cose c’è dell’altro. Passano i decenni e lo stesso Ed Hugus non parla. È un muro. La faccenda della 24 Ore 1965 non la vuole affrontare. E il mi- stero diventa affascinante enigma. Cosa accadde quella notte a Le Mans? Perché l’argomento non si può neppure sfiorare? Esistono ri- svolti ancora oscuri che potrebbero cambiare per sempre il giudizio storico su quell’impresa? Il margine per ipotizzare l’inimmaginabile c’è. Perché le corse, per certi versi - tanto per dirla alla Gianni Brera -, restano un mistero agnostico.

Lo spazio per un pizzico di magia c’è sempre. Per esempio, nel settembre 1921 a Brescia Niccolini si trova in testa al “Gp Gentlemen”, ma la sua Fiat prende fuoco ai box in fase di rifornimento. Il pilota si scotta di brutto e lascia la corsa, ma uno sconosciuto meccanico sale a bordo e fa tornare la macchina in gara. Già che c’è, va oltre. Facendo segnare il giro più veloce e rifilando 26” alla Mercedes del conte Masetti. Il meccanico viene subito fermato con bandiera nera. Lui scende e... - puff! - scompare: la sua identità resta per sempre incognita. Non male, vero?

In fondo nella stessa Indy 500 i vincitori del 1911, 1912 e 1923 godono per dei brevi turni del cambio garantito da piloti che però non sono coaccreditati della vittoria. Altro? Sì, certo. Targa Florio 1956, quella vinta dalla Porsche di Maglioli-von Hanstein. Dieci giri d’inferno. Parte Maglioli, va in testa e lì resta. Ai box di Cerda von Hanstein è pronto a sostituirlo, ma Umberto tiene duro. Fino alla fine. Però nella maggior parte degli albi d’oro von Hanstein viene riconosciuto co-vincitore. Ma non lo è affatto. E di Le Mans ’85, ne vogliam parlare? Il compianto “John Winter”, al secolo Louis Krages, guida solo un’ora e 10 minuti la Porsche vincente di Barilla-Ludwig, la maggior parte del tempo in regime di safety-car, e sul podio si gode il trionfo. Per carità c’è di peggio. Sei anni prima, sempre alla Sarthe, il pilota di F.1 Gaillard qualifica la ACR e, visto che i due gentlemen che corrono con lui non sono schegge e rischiano di restar fuori, Patrick indossa casco e tuta di uno di loro qualificandolo da “mascherato”. In F.1 coi caschi cromwell e jet, fino all’inizio degli Anni ’70 la gabola è più problematica, ma poi con gli integrali... A precisa domanda il leggendario Jo Ramirez, che, da meccanico a team coordinator, di Gp ne ha visti e vissuti 482, risponde: «Sì, la cosa è capitata. È meglio che lasciamo stare. Al coperto dei box ne ho sentito parlare eccome».

Ma torniamo a Le Mans ’65. Andando incontro ad alcune realtà scomode. Per chi, lo vedremo. Prima un punto fermo. Ed Hugus è regolarmente iscritto a quella 24 Ore, in un’altra 275 LM sempre della NART, che in prova dà forfait. Così lui resta a piedi. Ma in extremis, con una mossa sconosciuta ai più, Chinetti lo iscrive come riserva sulla n. 21 di Gregory-Rindt. Tutto regolare, quindi. Nel cuore della notte il pilota prende il volante e piazza uno stint di quelli buoni, poi, verso l’alba, riconsegna la 275 LM a Gregory che sentitamente ringrazia. Secondo il regolamento di Le Mans ’65, ciascun equipaggio è formato da due piloti, più una riserva. Il panchinaro può prendere il posto di un titolare, stante una situazione di emergenza. Quello che capita ai box della NART. Momento, però. È qui il problema. La sostituzione ammessa - per intenderci -, è stile calcio: esce Totti, entra Del Piero, ma poi Totti non può rigiocare. E invece Gregory al volante ci torna, altroché. Sì, ammesso e non concesso che Hugus abbia guidato, emerge una tonitruante realtà che sconvolge e tritura il mito: la vincente Ferrari di Gregory-Rindt era immediatamente da squalificare per infrazione del regolamento sportivo. Fermi sulle sedie, però: non passa mica la storia che la Ferrari abbia “rubato” una delle sue vittorie più belle. Primo, perché con la gestione del team NART Maranello (in questo caso) non c’entra niente. Secondo, perché dietro quella Rossa in classifica finale ce ne sono imbullonate altre due, quindi, comunque la si metta, il Cavallino stravince.

Piuttosto in questa chiave i silenzi di tutti i protagonisti della faccenda da inspiegabili diventano spiegabilissimi. Addirittura surrettizi. E acquistano ciò che prima mancava: un movente. Puntuale, concreto, immediato, condiviso. Grande come un foruncolo sulla chiappa di un neonato. Una sola parola sul caso Hugus e il trionfo NART si squaglie- rebbe, quindi zitti tutti per un terzo di secolo. Ma davvero per sempre? Signori, siamo all’epilogo. Nel 2003 Ed Hugus compie 80 anni e rivela di custodire un segreto. Quale, non si sa. Il 29 giugno 2006, un giorno prima del suo compleanno, Ed Hugus muore. Però per l’ultimo viaggio l’uomo nero della notte di Le Mans parte a bagaglio leggero. Perché il 24 maggio 2005 ha inviato una lettera autografa a un affezionato fan, Hubert Baradat, il quale, pochi giorni dopo la morte di Ed, la rende pubblica. Eccovela: «Grazie per avermi scritto. È carino ricordarsi di me. Molti giornalisti dicono che ai miei tempi io sia stato l’americano con più km a Le Mans. Non saprei. Fatto sta che sulla faccenda del 1965 va detto che dovevo guidare una Ferrari di Luigi Chinetti. Ma la vettura non fu pronta in tempo e fui dirottato come riserva sulla 275 LM. Durante la notte - saranno state le quattro? - Masten se ne uscì per il turno, ma incontrò tanta di quella nebbia - mista a buio -, da impedirgli di vedere, lui che di problemi di vista già ne aveva di suo. In quel momento ai box Rindt non c’era, nessuno sapeva dove s’era ficcato, e Chinetti mi disse di prendere il casco e salire in macchina. Così feci, per un’ora e più, per conto di Masten. Da quella notte Chinetti mi ha detto tante volte che lui gli ufficiali di corsa li aveva informati, di quel cambio. Ma, come Luigi ripeté, forse loro erano troppo occupati nel retro-pit con una bottiglia di vino rosso, per ricordarsene. Alla fine a Chinetti la cosa dispiacque e anche a me. C’est la vie. Grazie ancora e spero che questa mia lettera possa servire a qualcosa». Firmato Ed Hugus.


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