Ferrari, meglio figli di buona donna che figli di un dio minore

Ferrari, meglio figli di buona donna che figli di un dio minore

È ora che la Rossa alzi la voce per farsi rispettare

10.10.2022 09:29

Adesso scrivo e provo a dare un senso a ciò che ho visto ma, al di là di tutto ciò che leggerete dalla prossima riga in poi, qualsiasi verità che posso adombrare rischierà d’essere smentita e rigirata come un calzino lunedì o al più tardi martedì dalle pronunce sul budget cap, quando questo numero di Autosprint arriva nelle edicole, perché ormai il circus iridato, gestito com’è, funziona così. A cavolo di cane, per dirla alla cinofila.

Quando l'espressione dice tutto

Poche cose sono vere, stabili e incontrovertibili e proprio su queste voglio concentrare la mia riflessione. Una su tutte. Una volta guardavo la F.1 per non pensare alle brutture del mondo, fatte di burocrazia, politicaccia, giustizia ingiusta, formalismi furbi e intrallazzi. Adesso contemplo le brutture del mondo per non pensare alla F.1. E faccio una premessa. Non sono né ferrarista né antiferrarista, non mi professo né a favore né contro il Cavallino, cerco da una vita altresì d’essere più ginecologo che amante, quando si parla di Rossa, per non seguire istinti di parte, peggio ancora squallide piaggerie, facile opportunismo ovvero il reddito di posizione dato financo dal piccato contrario algebrico di tutto ciò.

Ma, dico, l’avete notata la faccia di Leclerc dopo l’arrivo? Mai vista tanta angoscia sul volto di un pilota. Un’espressione, la sua nel prepodio e sul podio, che sembra il riassunto filosofico di una consapevolezza impotente. Perché ormai, a prescindere da cosa potrà accadere, ogni volta che in aria vola una carota, di sicuro atterrerà dalla parte appuntita nel bel mezzo di indovinate cosa di indovinate chi. Vogliamo dirlo?

Rossa senza pace

È dall’ultimo mondiale vinto da Raikkonen che la Ferrari non ha pace. Sono quindici anni, tre lustri, che il Cavallino Rampante, consapevole o no, corre col vago dubbio sfiorato dalla sicurezza di non risultare per niente simpatico alle autorità sportive. Anzi, con la malcelata certezza di colui che va a scuola con l’impressione di stare simpaticamente sulle palle ai professori che contano, peraltro senza aver fatto nulla per attirarsi antipatie di sorta.

Ripasso di storia

Occhio, tre sono i grandi digiuni biblici della storia Ferrari. Il primo ha luogo dal 1964 al 1975, da Surtees a Lauda, ed è il riflesso del passaggio non indolore da una Casa autogestita e ancestralmante autoriferita al Drake a un’entità amalgamata e ibridata da e con l’azionista Fiat. Il secondo, dal 1979 al 2000, è dovuto ad eventi traumatici e ineluttabili, ovvero la morte di Villeneuve e la carriera spezzata di Pironi, seguite dopo alcuni anni dal declino terreno di Enzo Ferrari, con un passaggio delle consegne e una riconversione di grande travaglio e delicatezza, fino alla soluzione e alla risoluzione Montezemolo-Todt-Schumacher.

Terzo di giuno per colpa di...

Il terzo digiuno, dal 2007 a oggi, mi spiace dirlo, è dovuto alla volontà scientifica da parte di tutto l’establishment della F.1 di far pagare alla Ferrari non solo lo stradominio dell’era Schumi ma anche una sua spiccata centralità politica tale da colpire a suo tempo in modo letale con la sua sfiducia la ormai delegittimata Presidenza Mosley, in seno alla Fia. Mosley stesso, non a caso, dà voti e endorsement a Jean Todt, nel frattempo lasciatosi in termini non esattamente amichevoli e gaudiosi con la Ferrari, con Jean che diventa Presidente Fia.

Da lì in poi la Rossa non tocca più palla, né politicamente, né strategicamente. La sua vera forza era la capacità di sviluppo reale data da una squadra test senza eguali, una galleria del vento all’avanguardia e tre piste prova a disposizione, due di proprietà, Fiorano e Mugello, una a due passi da casa, just in case, Imola o Monza che fosse.

Nel giro di pochi giorni, tutto azzerato, basta test, fine degli sviluppi reali e sì a quelli virtuali o al simulatore. Trent’anni di metodo e know-how buttati via in un secondo. E siamo solo all’inizio.

Gli errori dell'era ibrida

Poi sì all’ibrido, anzi, al turboibrido, e con ciò si consegna la F.1 in mano a un team, la Mercedes, il quale, proprio come la Brawn Gp dalle cui ceneri ha preso forma, si ritrova a sviluppare un tema tecnico nel quale è l’unica entità avanti anni luce su tutti gli altri.

Con delle interessanti aggravanti, perché poco dopo per la prima volta, mentre comincia a imperversare un invincibile e non casuale dominio Mercedes, si comincia a limitare, limare se non adirittura congelare lo sviluppo tecnico, di fatto obbligando chi prende botte a continuare a prenderle e consentendo a chi le dà - ovvero sempre la Casa delle Frecce d’Argento -, di continuare indisturbatamente a darle.

Fantastico. Nel frattempo la Ferrari vive il duplice trauma del passaggio dall’era di Montezemolo a quella di Marchionne e infine quello della malattia e della perdita di quest’ultimo, peraltro avvertendo più d’una volta il rumore sordo dello zoccolo di chi conta. Certo, Mercedes &C neanche hanno tanto bisogno di favoritismi in gara e in sede giudicante, perché già tanti ne hanno avuti avendo ricevuto il regalo di sviluppare un tema tecnico che conoscevano meglio di chiunque altro. Non bastasse questo, la sensazione di fondo è quella di avere a che fare con gente che sa totalmente il fatto suo non solo quando costruisce maccchine e vince Gran Premi, ma anche quando c’è da trattare con le autorità sportive e far valere le proprie ragioni.

Ferrari, ti manca qualcosa

Non altrettanto può dirsi della Ferrari, purtroppo. La quale nel 2019, quando sembra poter rialzare la testa durante la fase incipiente della gestione totale di Mattia Binotto, viene trovata presumibilmente non del tutto conforme dopo le vittorie di Spa e Monza, ed è costretta a uno stranissimo accordo extragiudiziale dal quale esce depotenziata e bella moscia per due anni di fila, il 2020 e il 2021. Cosa senza precedenti nella storia delle corse e tale da far buttare alle ortiche senza speranza 24 mesi di corse, quando perfino la McLaren della Spy Story targata 2007, dopo aver pagato pegno, era stata fatta tornare subito aggressiva e tosta, tanto da vincere il mondiale 2008 con Hamilton. Mentre Massa, fregato dall’essersi caricato il distributore a Singapore 2008, veniva beffato, più che dal ritroso Glock all’ultimo tuffo di Interlagos, dal fatto che il Gp orientale, inficiato dall’illecito sportivo di Briatore, Piquet e Alonso, incredibilmente non era stato annullato. E questo è niente.

Riscatto mancato

Nel 2022, finalmente, dopo anni e anni di calci nei denti - qualcuno francamente pure non immeritato - la Ferrari si ripresenta resiliente e meravigliosa in cerca di riscatto - in fondo questa cosa sta nel suo dna -, ed ecco che la stagione in corso diventa un inquietante florilegio di decisioni e decisioncine federali che a ogni pie’ sospinto traggono sempre il peggio nei confronti della Rossa. Monza, Singapore, Suzuka, il finale di campionato - nelle gare che danno punti pesanti per chiudere la lotta per il titolo -, parla chiaro, con qualsisi statuizione che può andare contro la Ferrari che viene puntualmente adottata. Uno sputo in faccia dopo l’altro, insomma. Perché quando per fare il massimo danno a Maranello c’è da temporeggiare a prendere una decisione, si temporeggia, e quando bisogna distribuire sentenze alla velocità della luce, si diventa spietati e decisionisti in tempo reale, vedi i 5” di penalty dati al povero Leclerc medesimo. Dai, basta. Che senso ha? Binotto ha ragione a sentirsi vittima d’ingiustizie e bisogna anche andare oltre, ormai. Cominciandosi a chiedere che cosa avrebbe fatto Enzo Ferrari, in una situazione del genere. Anche perché la sensazione è che gli avversari peggiori della Rossa non siano quelli in pista ma altri, invisibili, impuniti, a tratti financo autorevoli, i quali albergano tra i padroni del vapore di questa F.1. E allora, per cortesia, aribasta.

Ferrari, arrabbiati!

Cari signori della Ferrari, fate e dite qualcosa di sinistro. Ribellatevi esplicitamente e compostamente a tutto ciò. Non limitatevi a costruire con la F1-75 una delle F.1 più belle e competitive degli ultimi anni, ma magari trovate il modo di gestirla meglio e, soprattutto e sopra tutti, di individuare la via per farvi rispettare, tirando fuori unghie e denti. Anche perché la sensazione diffusa è che in F.1, in questa F.1, i tipici difetti degli italiani fregoni e intrallazzoni, li abbiano tutti meno che gli italiani veri. L’italianità quieta, sorvegliata, educata e galantomista di cui la Ferrari di Binotto è da anni portatrice ed emblema nel Circus, in un contesto generale così furbastro e maleodorante, ormai stona eccome. Devo proprio dirlo, Binotto & Company? In una F.1 come questa l’unico modo per smettere di sentirsi figli di un dio minore è quello di cominciare a comportarsi da figli di buona donna. Fatelo.


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