Uffa, tutte ’ste bandiere rosse manco alla festa de l’Unità

Uffa, tutte ’ste bandiere rosse manco alla festa de l’Unità

Usano le interruzioni di gara per mascherare la noia dello strapotere di Red Bull e Verstappen

03.04.2023 09:30

La verità è che la F1 è in crisi

Sapete come la penso? Lorsignori padroni della F.1 sono nei guai grossi perché hanno venduto e stanno vendendo a prezzi da miniera di diamanti uno show che sul piano dello spettacolo vale due cocci di bottiglia e così stanno facendo di tutto per mascherare il loro totale fallimento agonistico-narrativo e, soprattutto, il pacco rifilato ai clienti più ricchi del mondo. Cercando di dare vita a non-gare frammentarie, illeggibili, incomprensibili e tali da creare controversie che a otto ore dalla bandiera a scacchi non hanno ancora una classifica definitiva. Superate e battute per chiarezza e linearità di svolgimento perfino dal Festival di Sanremo di Amadeus, con Chiara Ferragni al posto di Niels Wittich. E la paura ancestrale che la F.1 potesse svoltare verso le stranezze meno digeribili dell’Indycar ormai non c’è più. Magari fosse, perché in confronto la F.Indy è sfida vera.

Paragoni impietosi

No, qui ormai il modello di riferimento è il football americano, con l’interruzione di show cercata, voluta e istituzionale: la pausona ben accetta per mandare pubblicità e mettere a friggere più pop corn, altro che storia. Il senso di tutto è che questo decisissimo, scontatissimo e previdibilissimo mondiale, che si sapeva dove andava a parare fin dopo la prima mezz’ora del primo giorno di test pre-campionato in Bahrain, adesso è tenuto in vita con l’ossigeno, l’assenzio e l’olio santo solo per non far accorgere del paccone rifilato a chi paga di più per avere una gara in calendario. Con Abu Dhabi che spende una cifra buona per farci una guerra al fine d’ospitare un finale di stagione lapalissiano e bell’e deciso già da nove mesi prima. E poi tocca anche sentire Liberty Media fare il predicozzo e il pistolotto e Monza e Imola che devono sbudellarsi per rendersi più credibili, tra rifacimenti di sottopassi, ruote panoramiche e fan zone, mentre loro promuovono e organizzano gare che non sono in grado neanche di produrre uno straccio di classifica certa dopo mezza giornata d’attesa, manco fossero le corse dei sacchi alle sagre di paese.

Quanto conta poco la FIA

E non vale prendersela con la Fia, perché la Federazione ormai conta quanto il due di coppe quando briscola è denari. Col Presidente Ben Sulayem al quale hanno già detto che deve starsene buono buono a casina sua, sennò gli tirano fuori un paio di antichi commentini sessisti non suoi sulla sua paginetta nei social, per rovinargli l’abitino bianco con qualche figuraccia che, a dire il vero, suona un po’ artefatta e lievemente intimidatoria, nei confronti dell’unico del mazzo che sembrerebbe invece avere un atteggiamento equo, misurato e credibile, nel tentare di gestire questo tragicomico baraccone che sta diventando la F.1 di oggi. Invece no. Come sempre, le rivoluzioni più insidiose e reali son quelle mai annunciate e striscianti quanto silenziose. Così adesso ecco emergere questa della bandiera rossa utilizzata a nastro, come livella azzerante e giammai quale freno d’emergenza o sistema estremo di sicurezza. Al contrario, dando vita grazie a essa a tre, quattro, venti stop seguiti da altrettante potenziali partenze da fermo, si moltiplicano i fattori di rischio, dando più importanza alla frizione più affidabile nello staccare che non alla capacità dei campioni di scattare come razzi dalla casella del via. Eh no, la canzoncina noi la vogliamo cantare a modo nostro, per amore dello sport e rispetto della sicurezza e della credibilità dei Gran Premi, dicendo bello chiaro: avanti popolo, alla riscossa, bandiera rossa NON trionferà.


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