L’irresistibile ascesa dell’Olanda in F.1

L’irresistibile ascesa dell’Olanda in F.1© Getty Images

Sulla scia di Verstappen un’intera nazione è alla conquista del Circus

14.08.2023 10:37

Cinquant’anni fa nel Gp d’Olanda 1973 se ne andava tra le fiamme Roger Williamson, malgrado i tentativi eroici di salvarlo del compagno di marca e di March, David Purley. L’ho scritto poco tempo fa e lo riscrivo pure, perché ha senso assai ribadirlo. La tragedia si consumò in mondovisione, davanti a commissari in braghe corte ed estintorini che sembravano bottiglie di Coca-Coca da un litro. Una squallida e indignante vergogna, insomma.

Gli organizzatori di Zandvoort ne uscirono a pezzi, come immagine, e anche non senza ragioni, benché quella fosse una F.1 tutta da cambiare e mettere in sicurezza, mica solo in Olanda. Passa mezzo secolo e i Paesi Bassi - la raccomandazione delle autorità a livello internazionale è di non usare più il termine Olanda, sostituendolo preferibilmente con quello di cui sopra - per ironia della sorte si ritrovano in una posizione centrale nel mondo della F.1. Olandese, anzi, neerlandese, come si dice ora, è il pluricampione del mondo in carica,

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F.1 sempre più Olanda-centrica

Max Verstappen, candidato e ormai sicuro vincitore del terzo titolo consecutivo. Olandese - scusate, ma a neerlandese mi ci devo ancora abituare -, è lo zoccolo duro di tifosi che più d’ogni altro ceppo segue il beniamino orange gara per gara, con epicentro in Europa: erano in 50mila a Zeltweg e saranno ogni giorno 70mila a Zandvoort - ma potrebbero essere il decuplo, se ci fosse posto a casa -, e con tendenza a espandersi in tutti i Gran Premi del Pianeta.

E olandesissimo è il supermegasponsor ufficiale della F.1, ovvero la Heineken, che a inizio giugno ha ufficializzato l’estensione della partnership globale col Circus iridato fino al 2027. Heineken e F.1 a ogni gara creano esibizioni spettacolari dentro e fuori la pista, nelle quali si trova spesso coinvolto Martin Garrix, la superstar olandese DJ e imprenditore.

A questo è bene aggiungere che la partnership dell’olandesissima Shell - l’azionista di maggioranza è la famiglia reale -, con la Scuderia Ferrari è la più longeva e di più grande successo della storia del Motorsport. Orange al top della F.1 in tutti i sensi, quindi. Per risultati sportivi, seguito, investimenti pubblicitari, presenze complessive e immagine. Incredibile. I Paesi Bassi, per patrimonio netto medio sono il quarto paese più ricco del mondo, dopo Stati Uniti, Svizzera e Danimarca. Sul piano commerciale mercantile vantano una tradizione che affonda le radici nei fasti del diciassettesimo secolo, dalla fondazione della Compagnia Olandese delle Indie Orientali, nel 1602, in Asia, alla Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, con interessi in Africa, Nord America, Brasile e Caraibi. E adesso, c’è poco da fare, la colonizzazione arancione interessa il circo della F.1, con tutto ciò che ne consegue.

Orange al top anche fuori dalla F.1

E Verstappen, certo, è motore tutt’altro che immobile e volano della faccenda, la quale ormai sta acquisendo contorni che vanno ben al di là del semplice successo sportivo di un pilota. Col circuito di Zandvoort che dopo un timido approccio biennale ha rinnovato l’accordo per ospitare il Gp fino al 2025.

Parallelamente, gli orange sono sugli scudi anche nel ciclismo, perché Mathieu van der Poel, figlio di Adrie van der Poel e nipote di Raymond Poulidor, si è aggiudicato la scorsa settimana il mondiale su strada disputato a Glasgow, in Scozia, confermando d’essere diventato il più grande atleta di gare ciclistiche incentrate su una giornata. Bingo. In due dei tre sport più popolari a casa loro, gli olandesi schizzano al top. E pure nel calcio non scherzano. La nazionale olandese ha vinto il campionato europeo nel 1988 e ha raggiunto per tre volte la finali del campionato mondiale, (1974 e 1978 e 2010), venendo sconfitta in tutte le occasioni. Inoltre, ha raggiunto la finale della prima edizione della Uefa Nations League (2018-2019), uscendone sconfitta.

Ecco il punto. Paradossalmente le illusioni e le delusioni della fatata era Cruijff-Neeskens e dei cicli calcistici seguenti, grazie alle discipline a due, tre e quattro ruote hanno subito la trasformazione in gloriosa realtà disintossicante ed entusiasmante. Nel motomondiale il primo olandese iridato fu Jan De Vries nel 1971 in classe 50 cc, in sidecar Egberg Streuer, al top tre volte, nel 1984,1985 e 1986. Quanto alla F.1, anni fa parlavo con Gijs van Lennep, 80enne decano dei piloti olandesi, il quale mi spiegava: "La verità è che fino all’era Verstappen la cronica mancanza di finanziamenti appropriati ha sempre tarpato le ali a tutti noi. Ho vinto le Mans nel 1971, su Porsche 917 con Helmut Marko, quindi ho fatto il bis nel 1976 con Jacky Ickx, sempre su Porsche, una 936, ma non è successo mai niente. Sono anche andato a punti in F.1 nel 1975, giungendo sesto con l’Ensign al vecchio Nurburgring, ma i miei piccoli sponsor mi dissero che potevo fare meglio. Semplicemente, i tempi non erano maturi".

I 16 piloti olandesi del Circus

A conti fatti, compresi i Verstappen padre e figlio e il neogiubilato De Vries, sono 16 gli olandesi che hanno corso in F.1. A metà Anni ’80 uno di loro, il non irresistibile Huub Rothengatter (tra i primi ad aver appoggiato Max da manager, quando il baby era ancora kartista), pubblicò un annuncio sui quotidiani nazionali dicendo d’essere l’unico sportivo olandese in grado di poter pubblicizzare in tempo reale a livello globale un marchio commerciale a 2 miliardi e mezzo di persone. Sarebbe bastato appoggiarlo in F.1. In realtà si stava rivolgendo alla Philips, che però non recepì. Come non recepirono altri potenziali megasupporter negli anni successivi, lasciando spazio solo a piccoli investimenti per gli altri piloti tulipani, peraltro mai al top.

Adesso con Max tutto è cambiato. I Paesi Bassi sono al centro del ring F.1 e, proprio come ai tempi epici delle due mitologiche Compagnie delle Indie, mostrano di saper fare affari girando il mondo e perfino divertendosi. Attenti, quindi, quando vedete i fumogeni arancioni, vietatissimi ma comunque ora più che mai in auge, nei Gran Premi. Perché dietro tutto quel fumo c’è una immensa, calda e sostanziosa montagna d’arrosto.

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